Acquedolci

 

veduta.jpg

Acquedolci è un comune italiano di 5.493 abitanti della città metropolitanadi Messina in Sicilia. Il moderno abitato fu fondato durante il primo governo Facta con la legge n. 1045 del 9 luglio 1922 in seguito alla frana che distrusse l'abitato di San Fratello la notte tra il 7 e l'8 gennaio dell'anno 1922.
Area: 12,93 km²

Il moderno abitato fu fondato durante il primo governo Facta con la legge n. 1045 del 9 luglio 1922[5] in seguito alla frana che distrusse l'abitato di San Fratello la notte tra il 7 e l'8 gennaio dell'anno 1922. Divenne comune autonomo con la legge regionale n. 42 del 28 novembre 1969. Il santo patrono è San Benedetto da San Fratello, il compatrono è San Giuseppe. Ad Acquedolci si parla il siciliano nella forma della eteroglossia interna del dialetto sanfratellano di tipo gallo-italico.

acquedolci4.jpg

Acquedolci si affaccia sulla costa tirrenica settentrionale siciliana di fronte alle Isole Eolie. Il paese si sviluppa alle falde del Monte di San Filadelfio o monte San Fratello, popolarmente chiamato dagli abitanti del posto " 'U Munti" (la Montagna). Il centro abitato si estende lungo l'omonima pianura che origina il proprio nome da un piccolo torrente che corre lungo il Monte, un massiccio calcareo (816 m) che, nella sua estrema propaggine nord costituita da Pizzo Castellaro, ospita la suggestiva Grotta di San Teodoro, sito paleontologico che conserva una documentazione molto ricca e importante della storia faunistica e antropologica preistorica della Sicilia. Sulla sommità della montagna, nel territorio del Comune di San Fratello, sorgono antichi insediamenti greco-romani ed il santuario normanno dedicato ai santi martiri Alfio, Filadelfo e Cirino.

Il territorio comunale di Acquedolci è delimitato dal torrente Furiano ad ovest e dal torrente Inganno ad est. Il Comune fa parte del Parco dei Nebrodi. Il paese, distante 92 km da Messina e 125 km da Palermo, si sviluppa lungo la fertile pianura "Acquedolci", dove scorrono altri piccoli torrenti (denominati in epoca spagnola baranche) conosciuti come "valloni": sono l'Acquafredda, il Favara, il Cruzzuluddu, il Barranca, il Corvo.

Il territorio di Acquedolci è caratterizzato da colture agrarie di vigneti, oliveti, agrumeti e diversi frutteti. Negli ultimi anni il territorio si è rivelato ottimale per l'introduzione di coltivazioni di Mangifera indica (mango), Carica papaya (papaya) e Kiwi (frutto) che vengono esportati verso il nord Italia e l'estero.

La storia della moderna Acquedolci iniziò circa un secolo fa, la notte dell'8 gennaio 1922, quando un imponente smottamento colpiva il centro abitato di San Fratello distruggendo i tre quarti delle abitazioni e oltre dieci chiese. Migliaia di sfollati in fuga cominciavano a stabilirsi in ricoveri di fortuna ad Acquedolci, all'epoca piccolo borgo con circa 800 residenti, frazione di San Fratello denominato Marina di Acquedolci. Il borgo si sviluppava nei pressi dell'antico castello Cupane, attorno alla torre medievale "Atàlia" ormai in condizione di rudere.

castello.jpg

Gli sfollati della frana che si rifugiarono ad Acquedolci furono oltre 1500 e trovarono rifugio nei pressi del Borgo della Marina, all'interno del Castello, in contrada Tressanti e in località Buonriposo. Ma in realtà la storia di questa ridente Città giardino è molto antica. Durante l'epoca romana, Acquedolci, attraversata dalla Consolare Valeria, diventa una località di sosta presso la quale è possibile cambiare muli e operare lo scambio di posta. La località diviene parte della "Tavola Peutingeriana". In epoca medievale, la via Valeria diventa anche via Francigena percorsa da pellegrini che ad Acquedolci si riposano negli Hospitalia vicini al castello e si recano in preghiera alla Chiesa di San Giacomo, meta da tempo immemorabile di pellegrinaggi giacobei. Secondo la legenda la località attorno alla chiesa di San Giacomo, conosciuta anticamente come contrada " Tre Santi" ospitò per qualche tempo alcune reliquie dei tre santi martiri Alfio, Cirino e Filadelfo.

acquedolci1.jpg

La denominazione "Acquedolci" però è avvolta nel mistero. L'origine di questo nome non è sicuramente riconducibile agli scoli dei trappeti che lavoravano la canna da zucchero in epoca araba, che rendevano dolciastra l'acqua del mare. Mentre alla dominazione araba è riconducibile il nome della contrada Favara. La teoria dei trappeti che avrebbero dato nome alla località è tuttavia adottata per la realizzazione dello stemma comunale: "alla piantagione di canna da zucchero, fiorita, al naturale, terrazzata di verde; alla campagna di argento mareggiata di azzurro".

Tuttavia il nome del sito è ancora più antico dei trappeti stessi. Cicerone nel libro VII delle Verrine parla del porto commerciale e militare di Apollonia (l'antico nome greco di San Fratello), base per le imbarcazioni che difendevano la costa. Attraverso il "Carricatorum Aquarium Dulcium", Apollonia riforniva di viveri i romani e viveva del commercio dei prodotti locali (formaggi, olio, vino, frumento). Nell'Eneide si indica questa zona come il luogo secondo cui Enea sbarca durante il suo peregrinare attraverso il Mediterraneo. È certo che, in epoca araba, era presente un fondaco, un magazzino attorno al quale ruotava il commercio dei prodotti locali. Di questa struttura, presumibilmente affiancata da una locanda, da un ricovero per i cavalli e da una stazione di posta, si ritrovano riferimenti sia negli scritti di Tommaso Fazello che cita le "Acquae deinde cognomate Dulce cum taberna Hospitatoria", sia negli scritti di Maurolico che annota "Acquae Dulce Fundaco". In questa località, in epoca romana, si trovava una stazione per il cambio dei muli lungo la Via Valeria che attraversava questo territorio.

duomo.jpg

L'antico porto di cui parla Cicerone si trovava probabilmente in via del Caricatore nei pressi del castello, la "Taberna", di cui parla il Fazello, ed era posta nelle vicinanze dell'attuale stazione ferroviaria. La ricchezza di acqua nel territorio e la presenza di trappeti per la lavorazione dello zucchero sarebbero alla base dell'altra teoria sull'origine del nome.

Una terza teoria sull'origine del nome ha natura leggendaria. Secondo questa leggenda, sotto il territorio di Acquedolci scorrerebbero copiosi fiumi sotterranei, a causa dei frequenti smottamenti del monte San Fratello. Questi fiumi affiorerebbero a poche miglia dalla costa, rendendo l'acqua del mare dolce e potabile. La leggenda racconta inoltre, che gli antichi Romani, durante le guerre puniche, spesso attingevano acqua potabile direttamente in mare, evitando così di scendere sulla terraferma.

acquedolci3.jpg

Questa teoria dei fiumi sotterranei sembra essere confermata dalle recenti indagini effettuate nel sottosuolo dopo l'ennesima frana che ha colpito nel 2010, il paese di San Fratello. I rilevamenti indicano che la montagna rappresenta un enorme bacino idrico. Il nome Acquedolci quindi deriverebbe dalla presenza di sorgenti d'acqua dolce nel suo territorio. Ancora oggi una località della zona si chiama Favara, termine arabo che indica appunto una sorgente d'acqua. Fino a qualche decennio fa, prima di essere ricoperto, il piccolo torrente Favara faceva ruotare la macina del mulino posto a ridosso del muro di cinta del castello.

La storia dell'antico borgo ha origine tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo quando il feudo venne affidato dal re Martino I di Sicilia al cavaliere Ugerotto della casata catalana dei Larcan De Soto. Prima di Ugerotto il feudo era possedimento di Federico figlio di Vinciguerra d'Aragona il quale si ribellò a Martino e venne punito per il reato di fellonia. Dopo questi fatti Ugerotto avviò la costruzione della Torre dell'Atàlia che fu ultimata nel 1405 e fu il primo nucleo del complesso architettonico del Castello "Larcan-Gravina".

La grotta di San Teodoro