Il mistero risolto delle due navi di Torre Faro

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di Marcello Bottari e Lucio D'Amico

Anni di ricerche da parte del gruppo Ecosfera Diving. Il cargo inglese affondato nel 1892 portava carbone

L'identificazione della Bowesfield, relitto affondato a Sud della piazzetta della chiesa di Torre Faro, ha richiesto mesi di lavoro e approfondite ricerche condotte dal gruppo Ecosfera Diving. Con un cospicuo numero di collaboratori e un lavoro minuzioso è stato possibile recuperare preziosi riferimenti per l'accertamento della nave di Faro. La Bowesfield giace poggiata nel tratto di mare a sud della piazza principale del villaggio. La prua si raggiunge a una profondità di 32 metri ed è rivolta verso terra in posizione di navigazione. Il cargo è completamente sommerso e tutte le stive sono piene di sabbia. Nella stiva di prua è possibile trovare pezzi di carbon fossile appartenente al carico dell'ultimo viaggio. Sulla murata di dritta è presente uno squarcio.

Ad attrarre la curiosità è la mancanza di indizi ed elementi per l'identificazione. Anche perché questa nave è stata più volte scambiata con altre due che ai primi del '900 hanno avuto una collisione nelle stesse acque, la Solferino e l'Amerique. Della prima si sa con certezza che dopo l'incidente fu mandata in riparazione e risulta affondata a Sollum. Della seconda sono stati riscontrati dati certi sulla sorte e sul posizionamento da escludere che la "nave di Faro" possa essere l'Amerique. La ricerca dell'identificazione della Bowesfield nasce anche dalla narrazione popolare di "U vapuri inglisi", che gli abitanti di Faro le hanno attribuito, e una targa asportata dalla nave e sulla quale, si racconta, sono incisi il nome del cantiere, "Richardson & Duck" e il luogo di costruzione, Stockton on Tees.

Nel Database storico "Miramar ship index", di R.B. Haworth, Wellington (Nuova Zelanda) sono state riscontrate indicazioni di una nave a vapore costruita da "Richardson Duck", battente bandiera inglese, che il 22 maggio 1892 affondò nei pressi di Punta Faro. Coincidono i dati costruttivi, perché fu completata a dicembre del 1880 e probabilmente varata nel 1881, sia le informazioni sul cantiere: "Richardson Duck". L'archivio e il registro storico "Mystic Seaport, The Museum of America and the Sea" riporta quanto fornito dai Lloyd's nel loro "American Lloyd's Register of American and Foreign Shipping", e cioè l'annotazione degli ingressi nei porti d'America. Nel periodo compreso tra il 1886 ed il 1896 la Bowesfield risulta iscritta nei registri d'approdo tra il 1887 ed il 1892. La "Stockton Reference Library", biblioteca del comune di Stockton, ha invece fornito la scheda di fabbricazione della nave dalla quale si evincono il tipo di carico, il numero di stive e le dimensioni. Un sopralluogo di misura con un team di 10 subacquei, quindi, ha consentito di confermare le misure di lunghezza, larghezza e pescaggio "stimato" rilevate sul documento.

Incrociando i dati con i giornali dell'epoca, la somma degli indizi ha confermato l'identità della "ritrovata" Bowesfield. Il n° 119 del 23-5-1892 de "Il Nuovo Imparziale", un quotidiano locale dell'epoca: «Naufragio – Ieri, il piroscafo inglese Bovvesfiled, al comando del Capitano Bayley, proveniente da Swansea (Inghilterra), carico di carbone, giunto dietro la punta del Faro, incagliò in quei scogli producendosi un enorme falla. – Il capitano cercò di retrocedere con la speranza di poter disincagliare il vapore, ma tutti gli sforzi fatti furono inutili, e poco dopo il piroscafo è colato a fondo. L'equipaggio, di 23 uomini, si è salvato completamente. – Il carico andò perduto. Il vapore, diretto a Bari, ci si dice che era assicurato».

Un reportage fotografico nella stiva prodiera del cargo ha permesso di rinvenire una discreta quantità di carbon fossile. Una comparazione delle immagini della nave attuale con la Elmfielduna, costruita dallo stesso cantiere della Bowesfield e per lo stesso armatore, mostra una somiglianza notevole per la collocazione del ponte di comando, la presenza di alcuni oblò e per la collocazione della scaletta.

I dati storici, le misurazioni, i rilievi del carico, la comparazione tra foto dell'epoca e i dati presenti sulla targa "Yard n. 263" e l'anno di varo "1881" fanno emergere notevoli corrispondenze.

Infine perché la nave di Faro non è l'Amerique o la Solferino lo si può stabilire dalla comparazione tra le foto dell'epoca e le foto attuali: il posizionamento dell'occhio di cubìa è nettamente differente. Sulla "Nave di Faro" è collocato più in basso di circa un metro e mezzo ed è più vicino all'opera viva e le forme sono differenti. E poi da un estratto dei giornali dell'epoca in cui si parla dell'evento su fa riferimento anche al carico della Solferino: «..200 sacchi di caffè, terraglia, olii minerali, farine, tessuti e cotone manifatturato». E si evidenzia che la Solferino dopo l'incidente riparava in porto a Messina. «Il Solferino a bordi a cui c'era sei marinai dell'Amerique, restò per più di un'ora in balìa delle correnti e poi fece rotta per Messina». La Solferino è affondata a Sollum nel 1914, così come nella scheda pubblicata dall'archivio "Miramar Ship Index". Altri elementi possono aver indotto in errore nell'identificazione della nave. La Solferino batteva bandiera inglese, come la Bowesfield; il cantiere di costruzione "Richardson" ha un nome molto simile a "Richardson Duck", costruttore della Bowesfield. Ma il confronto del numero identificativo della nave, del costruttore e del luogo di costruzione riferiti alla "Bowesfield" con quelli presenti nella targa già citata, fanno escludere con certezza che la nave di Faro si chiami "Solferino".

Tornando all'Amerique, invece, e a quanto descritto dai quotidiani sul suo carico, è facilmente verificabile che adesso nel luogo dove si trova il "relittino" (così i sub messinesi chiamano il relitto che giace 100 metri più a nord della nave di Faro) si trovano i resti dello scafo e una grossa quantità di tegole prodotte dalla "goichard Freves" di "Seon st Henri - Marseille". Negli stessi giornali si parla della provenienza della nave, proprio da Marsiglia, luogo nel quale sono state prodotte le tegole qui ritratte. Il sito web, specializzato in disastri marini, www.wrecksite.eu riporta le dimensioni della nave, in particolare la lunghezza di 94 metri (10 metri superiore a quella attuale della "nave di Faro").

Dalla scheda riportata dal Miramar Ship Index l'Amerique era una nave passeggeri costruita dai cantieri McMillan. Da riproduzioni di cartoline dell'epoca, in una in particolare è evidente la scritta "AMERIQUE" sulla fiancata a dritta della nave ed è evidente il luogo dell'insabbiamento (si scorge la chiesa di Faro come riferimento) e corrisponde al luogo in cui si trova adesso il "relittino ". A conclusione della ricerca Ecosfera ha effettuato l'ennesimo confronto con una foto sovrapposta della situazione attuale con la foto dell'epoca, a ulteriore conferma del posizionamento. L'Amerique (dalla foto dell'epoca) è posizionata a Nord della Chiesa di Torre Faro, la "Nave di Faro" invece giace 80 metri a sud rispetto alla stessa chiesa.

Marcello Bottari

 

Ritagli d'epoca
Quanto materiale per un Museo del Mare

di Lucio D'Amico

I Tra le tante sventure del mare quella del piroscafo francese "Amerique" colpì particolarmente i messinesi. La "Gazzetta di Messina e delle Calabrie", nell'edizione del 24 marzo 1904, raccontava i momenti drammatici dell'affondamento nella rada del Faro. «Danni gravissimi, scene pietose, si lotta con la morte, un milione di danni, tre arresti», intitolava così il quotidiano. «Ieri sera verso le 19,50 alcuni fischi ripetuti e incalzanti – scriveva il cronista dell'epoca – diedero l'allarme alla pacifica gente di Torre Faro, la quale, accorsa, fu spettatrice di una scena veramente emozionante. Il piroscafo Amerique della compagnia Frassenet, al comando del capitano Augusto Sanchè, proveniente da Marsiglia, con un carico di 1300 tonnellate di merce diversa (sacchi di caffè, terraglia, olio minerale, farine, tessuti, cotone manifatturato), entrando nello Stretto proprio a 200 metri da Capo Peloro, si accorse che il piroscafo della Ngi "Solferino", proveniente da Reggio Calabria, stava per sbucare dallo Stretto. E poiché erano a brevissima distanza l'uno dall'altro il piroscafo Amerique, con un fischio di macchina, annunziò che si sarebbe accostato alla sua diritta; cosa che fece effettivamente. Il Solferino, che avrebbe dovuto rispondere con un solo fischio per determinare la sua destra, risponde invece con "vado a sinistra". Erano già uno sopra l'altro e malgrado la luna, i fanali e le voci assordanti degli equipaggi il Solferino dava con la prua sul fianco sinistro dell'Amerique. Non si può ridire il fracasso e lo strepito avvenuto. Un rumore assordante di ferro e di catene, poi il fischio prolungato, quasi un gemito, dell'Amerique che col fianco squarciato andava a incagliare. La corrente molto provvidenzialmente trasportò il piroscafo sulla spiaggia, proprio al centro del paese e con la prua a secco. E qui dopo pochi minuti affondava interamente sino all'albero di tronchetto».

Il cronista raccontava, poi, dei commoventi soccorsi, degli arresti dei soliti "sciacalli" (tre persone colte con le mani nella farina), del salvataggio incredibile del primo macchinista, Tommaso Martinet, investito da olio bollente e trasportato alla «locanda della Scarfì», uno dei tanti personaggi del borgo marinaro che si mobilitarono per rifocillare gli sfortunati marinai dell'Amerique. Storie di altre epoche, che tornano attuali sia per le ricerche effettuate dal 2008 a oggi dai sub di Ecosfera Vincenzo Agrillo, Lorenzo Deodato e Domenico Maiolino, sia perché finalmente si riapre il dibattito sulla necessità di realizzare a Messina un grande Museo del Mare, dove il materiale raccolto possa essere esposto in locali attrezzati con sistemi interattivi e tecnologie avanzate. Il passato diventa sfida per il futuro. Sarebbe un delitto non coglierla.

Lucio D'Amico