Cimitero Monumentale

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Nel progettare il Cimitero monumentale (posto a concorso dal Comune di Messina nel 1853-54, iniziato nel 1865 ed ultimato nel 1872), si può senz’altro affermare che il suo autore, l’architetto messinese Leone Savoja (20 ottobre 1814 – 10 maggio 1885), fu un vero e proprio interprete della corrente del Romanticismo a Messina, perché attiene al gusto del romantico la sua sistemazione urbanistica: quella dell’architettura dei giardini. Cultura tipicamente anglosassone ed amore per la natura, per il paesaggio, per gli spazi scenograficamente aperti alla panoramicità che porteranno il Savoja a scegliere non una zona qualunque della città, ma quella zona, l’unica che avrebbe dato risalto al tono celebrativo che si era prefisso.

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Costruire con la natura e nella natura fu l’obiettivo del Savoja che ideò un impianto urbanistico monoassiale che ha la sua partenza dall’ingresso principale, con le canoviane are classiche sormontate da angeli dolenti sulle sommità dei pilastri del cancello di accesso. E’ ingresso e termine allo stesso tempo, luogo dell’ultimo addio, conclusione del funebre corteo. Poi, come un’onda ascensionale, si dipartono simmetricamente i vialetti sinuosi alberati che dopo un lento defluire confluiscono in alto, a formare un quadrivio, un teatro le cui quinte scenografiche sono costituite ancora dalle alberature.

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Perno ed elemento ordinatore di questo vasto giardino di siepi e sempreverdi, la Cappella della Nobile Arciconfraternita degli Azzurri di Gregorio Bottari, allievo e collaboratore del Savoja.

Il moto ondoso continua, si fa “giardino all’italiana” negli ultimi viali alberati a losanga che preludono alla, scrive Francesco Basile, “…larga pausa di esclusivo valore architettonico, con l’ampia scalea marmorea che la precede, la sequenza ininterrotta degli alti colonnati, continuati in lunghe ali laterali, il tempio a cupola sul punto di saldatura centrale”. E’ il palazzo nobiliare, la villa dei morti illustri, l’ellenistica Ara di Pergamo, il Famedio.

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Oltre di esso, il moto ondoso affannato si placa, l’architettura dei giardini cessa, la solennità elegiaca si attenua, la maestà e la gravità della morte si acquietano: libera, isolata sulla vetta della collina, quasi surreale, si eleva l’acutissima guglia neogotica del Conventino o “Cappella Espiatoria”, rigorosamente in asse con la sistemazione sottosante, conclusione visiva e simbolica di un percorso naturale, paesaggistico, panoramico, di dolore, di raccoglimento, umano ed ultraterreno.

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Il Gran Camposanto venne inaugurato il 6 aprile 1872 in occasione della solenne tumulazione delle ceneri di Giuseppe La Farina, che la città di Torino aveva restituito a Messina dopo averle custodite, sin dal 1863, accanto a quelle di Gioberti e di Pepe. Lo scultore Gregorio Zappalà realizzò il monumento funerario del grande letterato e pariota messinese che riposa nel “Famedio”, accanto a quelli del giurista e statista Giuseppe Natoli (scultore Lio Gangeri) e del poeta Felice Bisazza (scultore Gaetano Russo).

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Il cenobio

Il cenobio, in stile neogotico, si trova nella parte alta del Gran camposanto e si raggiunge da un viale alberato su una spianata.

All'interno ospita numerosi monumenti sepolcrali di ragguardevole valore artistico: al piano terra si trovano due stanze, la sacrestia e la chiesa. Al piano superiore si trova una grande salone ed una passerella con delle finestrelle che danno sulla chiesa e la scalinata. Conosciuto anche con i nomi di cappella gotica o conventino, la sua progettazione è attribuita a Giacomo Fiore (1808-1893).

Fino al 1908, la cappella fu adibita allo svolgimento di funzioni religiose, fu la sede degli uffici del Gran camposanto e ospitò l'alloggio del cappellano-direttore e del suo coadiutore. Il sisma del 1908 provocò danni agli elementi decorativi senza comprometterne gli elementi strutturali.

All'inizio degli anni trenta fu oggetto di un intervento di restauro, nel corso del quale fu anche notevolmente modificata la distribuzione interna. I lavori terminarono nel 1932 e nell'ottobre dello stesso anno fu inaugurato.

I riti religiosi continuarono ad esservi officiati fino agli anni ‘50 ma soltanto in occasione della commemorazione dei defunti e del terremoto. La spianata circostante ospita pregevoli monumenti sepolcrali, quasi tutti realizzati fra gli ultimi decenni dell'Ottocento e i primi anni del Novecento.

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Il famedio

I lavori per la costruzione del famedio cominciarono nel 1865 su progetto di Leone Savoja. L'opera fu inaugurata il 27 marzo 1872 e vennero trasferite delle spoglie di Giuseppe La Farina da Torino che furono tumulate nella tomba scolpita da Gregorio Zappalà.

Il famedio è una sorta di mausoleo ed è attraversato da una galleria sotterranea, rassomigliante a delle catacombe, per la tumulazione dei morti. La facciata è caratterizzata da un elegante colonnato ma causa la prematura morte del Savoja, la parte monumentale più bella non fu costruita.

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Ospita ancora oggi le tombe di uomini illustri come Felice Bisazza e Giuseppe Natoli, cui fu dedicata l'erezione del monumento sepolcrale (opera dello scultore Lio Gangeri) nel loggiato sovrastante.

È stato gravemente danneggiato dal terremoto del 1908 che provocò il crollo di parti del complesso e in particolare della copertura, che non fu più ricostruita.