Mistretta

 

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Comunità montana della provincia di Messina sita a 950 m.s.m., ha un territorio di 126 chilometri quadrati e 15.000 abitanti. E’ il paese più occidentale del Parco dei Nebrodi, e, al contempo, uno dei più caratteristici. Al visitatore si presenta con piccole vie ripide e tortuose, scalinate in pietra arenaria, palazzi di ottima fattura, caratteristiche fontane e ben ventidue chiese.  

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La cittadina è sita su un monte tra gli 850 e i 1100 metri sul livello del mare, nei boscosi monti Nebrodi, ricchi di selvaggina e famosi fin dall'antichità per il loro splendore.
La cittadina, detta anche la "Sella dei Nebrodi" per la particolare conformazione, si trova a metà strada tra Palermo e Messina e la statale 117 collega in 15 minuti Mistretta al mare (15 chilometri circa) creando un suggestivo binomio montagna-mare. Il panorama che si può ammirare dalle parti più alte del paese, infatti, è spettacolare: dai boscosi monti si scende con lo sguardo fino al mare, con sullo sfondo le Isole Eolie. Se a questo si aggiunge che durante l'inverno il paese è ricoperto di neve, lo scenario cui si può assistere è davvero incantevole.

Gli studi non hanno ancora chiarito le origini di Mistretta. A partire dal XVIII secolo si è pensato che il toponimo possa derivare dal fenicio Am'Ashtart o Met'Ashtart (città o popolo di Astarte), facendo dunque pensare a un'origine fenicia del luogo, che le fonti archeologiche, almeno in questo momento, non attestano.
Certo è che l'area era già abitata nell'età protostorica, come dimostra il ritrovamento di un ripostiglio dell'età del bronzo finale avvenuto alla fine del XIX secolo e dal quale Paolo Orsi riuscì ad acquistare una cuspide di lancia oggi conservata a Siracusa nel museo archeologico regionale a lui intitolato.
Sempre riferibile all'età protostorica è una oinochoe geometrica conservata nel locale museo "Ortolani" appartenente allo stile di Polizzello. Materiali ascrivibili alla presenza greca compaiono a partire dal VI secolo a.C., periodo in cui l'area incominciò a essere di passaggio per i calcidesi in movimento tra Zancle, Pizzo Cilona e Himera.

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A partire da Adolf Holm nacque una disputa riguardante ciò. Si è sempre ritenuto che a Mistretta fossero riferibili sia il toponimo Mytistraton sia quello Amestratos, ma presunti rinvenimenti di monete mytistratine nell'area del monte Castellazzo di Marianopoli fecero pensare che il primo dei due toponimi potesse appartenere a quel sito, cosa non ancora accertata. La sconosciuta Mytistraton, dotata della facoltà di battere moneta, secondo il racconto di Polibio, ereditato da Filino di Agrigento, si ribellò alla conquista romana e venne assediata tra il 263 e il 258 per ben tre volte, prima sotto i consoli Ottacilo e Valerio e poi, con successo, da parte dei consoli Attilio Calatino e Caio Sulpizio.

Certo è che nel III secolo a.C., la città antica sorgente dove ora è Mistretta, facente parte del gruppo di civitates decumanae col nome di Amestratos, batteva moneta (si conoscono due emissioni in bronzo, di cui una con l'iscrizione ΛΕΥ ΑΜΗΣΤΡΑΤΙΝΩΝ), ebbe un certo sviluppo e probabilmente il suo nome è identificabile alla riga 113 della lista dei theorodokoi di Delfi. Fece parte di una symmachia insieme con le città di Halaesa, Kalè Aktè e Herbita con le quali sconfisse i pirati provenienti dalle Eolie. Fu inoltre attraversata dalla strada romana Halaesa-Agyrion-Katane, che, distaccandosi dalla Valeria, giungeva sulla costa ionica siciliana, divenendo punto di riferimento imprescindibile per chi viaggiava tra il cuore della Sicilia e il Tirreno.
Silio Italico nel suo poema storico in versi "Punica" ci presenta Mistretta come un centro che forniva ai romani oltre al grano anche soldati ben addestrati.

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Tracce storiche inerenti alla città di Mistretta si trovano nelle "Verrine" di Cicerone in cui si narra dei soprusi commessi dal governatore Caio Verre in varie città siciliane, tra le quali anche Amestratos, che condivideva con Calacte decime esose che venivano depositate nel locale tempio di Venere sotto protezione del servo Bariobale. A partire dall'età imperiale le fonti citano di rado Amestratos, che verrà comunque continuata a essere abitata e produttiva come può testimoniare la villa del III sec. d.C. ritrovata in contrada Vocante. Testimonianze paleocristiana sono presenti in contrada Francavilla, dove piccole catacombe sono impiantate all'interno di megaliti quarzarenitici. Risalenti all'età bizantina sono una necropoli ritrovata in contrada Santa Maria La Scala e alcuni rinvenimenti sul monte del castello.

Dopo la caduta dell'impero, Mistretta divenne preda dei Vandali, invasa poi dai Goti e infine ritorna ai domini imperiali con Bizantini che conquistarono l'intera Sicilia nel 535 d.C. In questo periodo, Mistretta dovette sostenere una forte fiscalizzazione e il suo territorio fu in seguito sottoposto a ruberie e saccheggi da parte islamica. Gli Arabi dominarono il paese tra l'827 e il 1070 e ristrutturarono il Castello bizantino edificato nel punto più alto della città. Dopo il dominio dell'impero romano d'oriente, la conquista dei musulmani, guidati da Ibrahim Ibn Ahmed, rappresenta un momento di incontro con le culture e le economie del Nord Africa; vi erano, tra gli invasori, mercanti e coltivatori che introdussero la coltivazione del dattero e numerosi palmeti. Dal punto di vista religioso veniva garantita la libertà di culto, a coloro che non volevano convertirsi all'islam, con il pagamento di una imposta. Per ciò che concerne gli aspetti sociali e politici e l'introduzione di nuove tecniche costruttive in edilizia o l'introduzione di nuove colture e tecniche di coltivazione, la presenza araba ha arricchito ulteriormente la cittadina mistrettese

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Alla dominazione araba succedette quella normanna durante la quale il castello fu ulteriormente ampliato. Con i Normanni, i grandi latifondi, smembrati dagli Arabi, si ricostituirono e si rafforzò ancora di più il baronaggio. Il re normanno Ruggero I d'Altavilla, nel 1101, donò Mistretta con le sue chiese, i suoi splendori e con tutto il suo territorio al fratello Roberto, Abate della Santissima Trinità in Mileto Calabro e dall'atto di donazione si possono ricavare notizie storiche sul paese che in quel periodo si stava ampliando lungo le falde del monte su cui sorgeva il castello arabo-normanno ed entro le mura di difesa di cui resti sono visibili nel Vico Torrione e lungo la Strada Numea dove si apre la Porta Palermo, una delle due antiche porte della città.

Oltre all'insediamento urbano circondato dalle mura, vi erano numerosi "bagli", aggregati sociali e produttivi circondati da orti, ed è proprio dagli antichi "bagli" che hanno avuto origine i quartieri medioevali di Mistretta ricalcati ancora oggi nell'attuale tessuto urbano del centro storico. Il castello è più volte al centro di operazioni militari, come nel 1082, quando Giordano, figlio illegittimo di Ruggero, approfittando dell'assenza del padre recatosi nelle Calabrie, tenta con la complicità dei suoi cortigiani di usurpare il potere, insediandosi stabilmente al governo della Sicilia, o ai tempi di Guglielmo il Malo, quando Matteo Bonello, ricevuta nel 1160 l'investitura della città, si fa promotore di una cospirazione contro il monarca, che diede i risultati sperati (ebbe come unico effetto l'uccisione del ministro Maione di Bari).

La città fu insignita da Federico II di Svevia del titolo di "Città imperiale", l'imperatore procede a una serrata lotta contro i briganti musulmani in tutta la Sicilia, sradicando totalmente ogni resistenza. Mistretta fu successivamente infeudata a Federico d'Antiochia e quindi a suo figlio Corrado. Fu in questo periodo che nacque l'attuale stemma della città raffigurante un'aquila, stemma degli Hohenstaufen nel Regno di Sicilia.

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Finita la dominazione sveva, vi fu l'occupazione angioina. Carlo I d'Angiò importò in Sicilia un feudalesimo arcaico danneggiando l'economia di molti importanti centri, tra cui Mistretta che fondava la sua prosperità sull'agricoltura e sul commercio. La città di Mistretta insorse e, nel 1282, i cittadini di Mistretta si unirono alla rivolta dei "Vespri Siciliani". Per il gran contributo apportato nella lotta contro i francesi, la città fu inserita tra quelle demaniali ed accolta nel Parlamento del Regno di Sicilia con capitale Palermo, sotto gli Aragonesi. Nel 1447, re Alfonso d'Aragona, sancì la demanialità di Mistretta ed i suoi Casali e, nel consentire al ceto artigiano di entrare a far parte del governo della città, creò i presupposti affinché, nel XVI secolo, la città si arricchisse di numerosi monumenti religiosi e civili. Notevoli testimonianze del Cinquecento, fase storica di splendore per Mistretta, ci sono date dalla magnificenza dei lavori con i quali gli scalpellini del paese arricchirono la Chiesa Madre, aggiungendoli ai raffinatissimi interventi dei Gagini. Di questo periodo è pure la fondazione dell'Ospedale e della "Casa dei Pellegrini", edifici ancora oggi esistenti con le loro originarie caratteristiche. La città, tuttavia, mentre si arricchiva di arte (il barocco, le chiese, i palazzi, tele, sculture, ...), subiva la stessa sorte del resto della Sicilia, la perdita del peso politico, dominata dai re di Castiglia.

Sotto i Borbone, assunse un ruolo ancora più centrale in quanto elevata nel 1812 a capoluogo dell'omonimo distretto. La borghesia locale si preoccupò di abbellire a ampliare la città e durante l'Ottocento furono costruiti palazzi, fu messo in opera un poderoso riassetto urbanistico, culminante con l'apertura del corso Libertà nel 1848, furono abbellite le chiese con numerose opere d'arte, fu aperta la biblioteca comunale. La città riacquistò così l'antica importanza e divenne il punto di riferimento commerciale e culturale per tutti i centri vicini.
Il malcontento diffusosi a Mistretta presso la nascente classe media costituita da professionisti, artigiani e massari, che sfociò nella rivolta di San Sebastiano del 1859, fecero sì che la cittadina mistrettese fosse tra le prime ad insorgere contro i borboni dopo Palermo nel 1860, contribuendo alla causa dell'unità d'Italia. Successivamente Mistretta subì le vicende di tutta la Sicilia nell'Italia post-unitaria fino ai giorni nostri. Nel 1860 fu soppresso l'omonimo distretto amministrativo, immediatamente sostituito però dall'ente analogo del Circondario di Mistretta, governato dal Sottoprefetto.

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All'inizio del ‘900 la Sicilia aveva quasi del tutto consumato l'immagine forte che il secolo appena concluso le aveva permesso di costruire e consegnare, la sua storia regionale superava in varietà e prestigio quella delle altre regioni. Mistretta, come molte altre città sicule in quel periodo, aveva raggiunto l'apice del suo splendore economico, artigianale, artistico e culturale, ma dietro ai palazzi nobiliari, ai circoli culturali, alle fiere, alle feste di paese, si nascondevano le sorti infauste che hanno segnato le vicende di numerose cittadine della Sicilia. Il 31 Ottobre del 1967 il centro nebroideo, unitamente ai comuni di Capizzi e Nicosia, fu colpito da un sisma di magnitudo 5.6 sulla scala Richter, evento che provocò il danneggiamento di edifici storici, nonché il crollo di parte della chiesa dedicata al Santo Patrono S.Sebastiano, resa inagibile e riaperta al culto solo nel 1994.

Non si registrarono né morti né feriti, tuttavia fu necessario dislocare diversi nuclei familiari dai quartieri maggiormente colpiti. Sebbene il sisma possa considerarsi di secondario interesse se paragonato a catastrofi naturali sia posteriori quanto anteriori, il fenomeno ebbe un impatto notevole sulla vita cittadina di Mistretta, poiché incentivò l'abbandono di parte del centro storico del paese, tutt'ora segnato da uno stato di desolazione e degrado.

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La cittadina ha seguito il destino di gran parte dei centri di montagna siciliani nel Novecento, ha subito i colpi inferti dalla disoccupazione fino allo spopolamento per emigrazione (dai 20.000 abitanti dell'Ottocento, oggi sono circa 5.000), subisce la fuga dei più giovani che per motivi di studio o per cercare nuove opportunità lasciano il centro nebroideo, vede scomparire ogni giorno parte del suo patrimonio artistico-culturale sotto i colpi inferti dalla negligenza e dal vandalismo. La forte crisi che interessa Mistretta attualmente è anche dovuta ai tagli voluti dalla Spending Review, che hanno portato alla soppressione del Tribunale nel settembre 2013, accorpato a Patti, del carcere nel 2014 e al depotenziamento dell'ospedale, privo del punto nascita. Le prospettive di futuro a Mistretta pare possano essere legate all'agricoltura e al turismo. Il 26 Marzo 2019 la storia cittadina di Mistretta subisce l'onta di veder sciolta la propria amministrazione comunale a causa di infiltrazioni mafiose. Due giorni dopo si insediano i commissari prefettizi.

La festività di San Sebastiano è celebrata dal mondo occidentale il 20 gennaio e dal mondo orientale il 18 dicembre. A Mistretta il culto del Santo sembra sia stato introdotto nell'anno 1063, ma la devozione a S. Sebastiano si accrebbe tra 1625 e il 1630, quando s'invocò la sua intercessione per fermare la terribile epidemia di peste che affliggeva tutta la Sicilia. Oggi la festa di San Sebastiano di Mistretta è considerata una delle più belle, suggestive e sentite processioni di tutta la Sicilia.
A Mistretta la festa del Santo si svolge due volte l'anno, proprio il 20 gennaio, la data in cui la chiesa ricorda la morte di San Sebastiano e il 18 agosto per ricordare la liberazione dalla peste di Mistretta avvenuta per intercessione di San Sebastiano nel Diciassettesimo Secolo.

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A gennaio la festa si svolge in tono minore, ma si tratta ugualmente di un giorno solenne, molto sentito. La statua del Santo esce dalla chiesa e viene portata in giro per le vie del paese nel prezioso fercolo (vara), di corsa in diversi tratti, sulle spalle di decine di uomini, che vestono in abiti tradizionali e portano il tipico fazzoletto rosso. Invece, è in agosto che la processione raggiunge gli apici di folklore e religiosità. La pesante vara il legno massiccio e oro su cui è posta la statua del Santo è portata a piedi scalzi da 60 devoti che ricevono il privilegio di portare il fercolo per eredità, tramandato dai padri, ed è preceduta nella sua corsa per tutta la processione, dalla varetta, un fercolo in cui due angeli, circondati da ceri votivi, sorreggono le reliquie di San Sebastiano che vengono portate in processione dai devoti più giovani. La processione tocca i luoghi più significativi della città con diverse tappe in essi.
Tutto il popolo corre dietro San Sebastiano per le vie del centro storico. In occasione del 18 agosto la città si riempie di gente venuta da fuori per vedere la festa, attirata dallo sfarzo e dalla grandiosità.
La festa si chiude la notte quando il Santo viene ricollocato nella sua chiesa dopo una lunga corsa, tra applausi, pianti, invocazioni e musica che lo salutano. La serata si chiude sempre con giochi pirotecnici suggestivi e spettacolari. Moltissime persone dopo la processione si recano al Castello Saraceno, situano nell'omonimo molte, ad aspettare "l'Alba", simbolo della fine della festa e dell'estate.

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Festa della Madonna della luce si celebra ogni anno per due giorni nelle date del 7 e dell'8 settembre. La modalità di svolgimento della festa è curiosa e caratteristica, una coppia di guerrieri giganti chiamati "Cronos" e "Mitia" seguono la statua della Madonna trasportata per le vie della città. I giganti sono di cartapesta e vengono portati a spalla per le vie del paese già molti giorni prima della festa ballando e raccogliendo le offerte. La statua della Madonna è custodita nella Chiesa del cimitero, fuori città, dove vi è un'antichissima immagine dipinta su una roccia sopra la quale è stata costruita la chiesa. La leggenda narra che per caso venne scoperta l'immagine sacra e che vicino ad essa vi fossero delle ossa umane di dimensioni fuori dal comune, appunto i giganti posti a guardia della Madonna.

Il primo giorno la statua della Madonna "esce" dalla chiesa per salire nel paese incontrandosi ad un certo punto con i giganti che l'affiancano facendole la guardia per tutto il tempo. Emozionante l'incontro tra i giganti e la Madonna, infatti nel momento dell'incontro i giganti si inginocchiano e fanno un inchino a Maria in segno di riverenza.
La Madonna e i giganti vanno poi nella Chiesa Madre di Mistretta e sul piazzale antistante alla Chiesa, i giganti ballano per festeggiare l'arrivo della Madre Santa.


Il giorno dopo, Mitia e Cronos si affiancano alla statua della Madonna portata anch'essa in spalla da uomini robusti e la scortano per tutto il percorso della processione. Il simulacro risale al Seicento e raffigura Sant'Anna che regge in mano la Madonna bambina. Il popolo in massa prende parte alla processione.
Alla sera, dopo avere attraversato le vie del paese illuminate da luci colorate, la processione si avvia lungo la strada di campagna che porta alla Chiesa del Cimitero dove si arriva in tarda serata. Giunti in Chiesa, dopo la lunga processione, la statua rientra per essere ricollocata al suo posto e i giganti ballano per l'ultima volta illuminati da un grande falò, ritirandosi infine tra gli applausi di tutti. 

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Il MUSEO REGIONALE DELLE TRADIZIONI

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Ha sede nell’ex Palazzo di Giustizia, in origine complesso conventuale con la chiesa delle Anime del Purgatorio annessa, ancora esistente.

Possiede circa 1.500 reperti a documentazione degli svariati cicli lavorativi e produttivi tradizionali del luogo.

Al suo interno, sezioni dedicate ai cicli agricoli del grano, vino ed olio; pastori, allevatori, carbonai, taglialegna, cacciatori, estetica pastorale, una sezione curata dall’Ente Parco dei Nebrodi dedicata alla naturalistica e una dedicata alla cultura tradizionale di Mistretta.  Il Dirigente responsabile dell’Unità Operativa Etno-antropologica della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Messina e direttore del Museo, Sergio Todesco, scrive: “Il museo non è un deposito di cose vecchie né un cimitero di sogni perduti. In esso vanno esposti pochi (relativamente pochi) oggetti, di notevole impatto estetico-visivo e con un’alta capacità di coinvolgimento comunicativo ed emozionale.

Accanto ai reperti, da considerare come snodi visibili di un ampio reticolo relazionale, andranno così esplicitati, mediante l’impiego di tutte le strategie possibili della comunicazione e dell’animazione (scrittura, immagine fissa e in movimento, documento sonoro, supporto interattivo, sala immersiva etc.), i rapporti, i contesti, le modalità in base ai quali l’oggetto esposto - congiuntamente con la famiglia di oggetti cui “scientificamente” esso appartiene - documenta e rappresenta particolari forme di vita e di cultura. Un museo siffatto diviene così una esposizione e rappresentazione di etnografie, di scritture, di messe in scena, contenente articolate proposte di percorsi di lettura di fenomeni e fatti culturali. Attraverso alcune particolari modalità di allestimento (ad esempio tramite l’uso di modellini o gigantografie o altre strategie “fuori scala”), si perseguirà un affrancamento dalle collezioni ritenuto fondamentale per un rapporto più partecipato con le forme di cultura che il Museo intende documentare, nel convincimento che sottrarre naturalità al museo rafforzi i processi di lettura metalinguistica che gli sono propri”.