Chiesa dello Spirito Santo

Da piazza del Popolo si perviene alla Chiesa dello Spirito Santo, voluta da Alfonso il Magnanimo nel 1452 accanto al Monastero femminile fondato nel 1291 da una dama messinese, Francesca Boccapicciola, sua prima abbadessa. Il monastero godette dei  privilegi di Federico III d’Aragona nel 1303.

Il tempio, inizialmente, fu edificato piccolo e privo di decorazioni, ma, nel tempo, il La Falce e il Tuccari vi realizzarono pregevoli stucchi  in stile barocco, mentre  pittori famosi come Riccio, che dipinse la "Discesa dello Spirito Santo", Paladino, che  dipinse "San Bernardo"  e Filocamo, la "Madonna con San Bernardo", arricchirono notevolmente la chiesa.

Nel 1867 il monastero fu confiscato dallo Stato e dato in consegna al Comune, che, nel 1895, lo affidò al Canonico Annibale Maria di Francia che lo fece restaurare e adibire a sede di una congregazione di suore, con il compito di assistere le bambine orfane e bisognose.

Nel 1908 il monastero andò quasi distrutto e fu lo stesso Canonico di Francia a curarne la ricostruzione, affidando all’ing. Pasquale Marino l’incarico di redigere

un progetto di riedificazione.

Morto il Canonico di Francia nel 1927, fu riaperto al culto e benedetto da Mons. Angelo Paino.

La sua ricostruzione vide impegnati lo stuccatore e decoratore Giuseppe Fiorino, che

rimodellò gli stucchi alla maniera antica, e, cioè, realizzando tutto sul posto senza forme; il marmista Salvatore Mangano ricostruì gli altari, mettendo assieme i pezzi tra quelli ritrovati sotto le macerie e adattando quelli   mancanti, con altri appositamente ordinati.

Il pittore Ovidio Fonti rifece la "Discesa dello Spirito Santo", eseguendo anche gli affreschi del soffitto. Sul campanile della chiesa è stata poi eretta una statua raffigurante S. Antonio.

Recentemente le suore Figlie del Divino Zelo, dopo un’attenta ricerca nel vecchio monastero, hanno fatto riportare alla luce con l’eliminazione di tutti gli intonaci esistenti, le antiche mura in pietra risalenti al sec. XIV e due ambienti facenti parte di eremitaggi già esistenti in epoca normanna, popolarmente intesi “le camerelle”.