Centenario della prima guerra mondiale

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Dopo aver stipulato un patto di alleanza con le potenze della Triplice Intesa e aver abbandonato lo schieramento della Triplice alleanza, l'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, iniziando le operazioni belliche il giorno dopo: il fronte di contatto tra i due eserciti si snodò nell'Italia nord-orientale, lungo le frontiere alpine e la regione del Carso.

Nella prima fase del confronto le forze italiane, guidate dal capo di stato maggiore dell'esercito generale Luigi Cadorna, lanciarono una serie di massicce offensive frontali contro le difese austro-ungariche nella regione del fiume Isonzo, tenute dall'armata del generale Svetozar Borojevic von Bojna, mentre operazioni di minor portata prendevano vita sui rilievi alpini e in particolare nella zona delle Dolomiti.

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All'alba del 24 maggio 1915 le prime avanguardie del Regio Esercito avanzarono verso la frontiera, varcando quasi ovunque il confine e occupando le prime postazioni al fronte.

All'inizio, la mobilitazione italiana avvenne con lentezza a causa della difficoltà di muovere contemporaneamente più di mezzo milione di uomini con armi e servizi. Vennero sparate le prime salve di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata; lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, Riccardo di Giusto.

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All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di Manfredonia, le città di Ancona, Senigallia, Potenza Picena e Rimini senza causare gravi danni, eccetto che ad Ancona; la Regia Marina si oppose efficacemente solo a largo di Porto Bruno, costringendo la forza nemica a ritirarsi anzitempo.

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Nei primi giorni di guerra Cadorna progettò un attacco su tutta la linea del fronte, ma, con solo due dei diciassette corpi d'armata che componevano le sue forze a pieno organico e pronti a muovere, l'azione si sviluppò con estrema lentezza, dando modo agli austro-ungarici di correre ai ripari. La situazione per gli italiani era inoltre aggravata dall'inesperienza dei reparti e da un insufficiente servizio di spionaggio che portò a sovrastimare notevolmente le forze nemiche che avevano davanti.

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Sul fronte delle Dolomiti la 4ª Armata italiana occupò Cortina il 29 maggio, cinque giorni dopo che gli austro-ungarici l'avevano abbandonata, e poi rimase sulle sue posizioni fino al 3 giugno seguente: l'armata disponeva di una sola batteria di artiglieria pesante e mancava di ogni altro mezzo per poter forzare i reticolati di filo spinato disposti dai difensori; più a ovest, la 1ª Armata occupò alcune posizioni nel Trentino meridionale prima di essere bloccata dalle forti difese austro-ungariche.

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Sul fronte del basso Isonzo le avanguardie italiane si mossero a rilento, consentendo agli austro-ungarici di far saltare i ponti principali. Monfalcone fu occupata dalla 3ª Armata il 9 giugno, ma i difensori si attestarono sul vicino monte Cosich che, benché alto solo 112 metri, consentiva di dominare la pianura sottostante.

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La 2ª Armata avanzò con facilità nell'alta valle dell'Isonzo, prendendo Caporetto il 25 maggio e stabilendo una testa di ponte sulla sponda orientale; tuttavia, a causa di incomprensioni tra i comandi e ritardi nello spiegamento delle truppe, gli italiani fallirono nella corsa per occupare prima degli austro-ungarici le strategiche posizioni del monte Mrzli e del Monte Nero che difendevano l'accesso a Tolmino: una serie di attacchi contro il Mrzli tra il 1º e il 4 giugno non portarono a niente, ma il 16 giugno un contingente di alpini riuscì a scalare di notte il Monte Nero conquistandone la vetta con un attacco all'alba.

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Più a sud gli italiani presero Plava, a metà strada tra Tolmino e Gorizia, ma gli austro-ungarici costituirono una testa di ponte a ovest dell'Isonzo, ancorata sulle due vette del monte Sabotino a nord e del Podgora a sud, bloccando l'accesso alla stessa Gorizia; gli scontri andarono poi diradandosi durante la seconda settimana di giugno.