Acquedolci

 

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Acquedolci è un comune italiano di 5.493 abitanti della città metropolitanadi Messina in Sicilia. Il moderno abitato fu fondato durante il primo governo Facta con la legge n. 1045 del 9 luglio 1922 in seguito alla frana che distrusse l'abitato di San Fratello la notte tra il 7 e l'8 gennaio dell'anno 1922.
Area: 12,93 km²

Il moderno abitato fu fondato durante il primo governo Facta con la legge n. 1045 del 9 luglio 1922[5] in seguito alla frana che distrusse l'abitato di San Fratello la notte tra il 7 e l'8 gennaio dell'anno 1922. Divenne comune autonomo con la legge regionale n. 42 del 28 novembre 1969. Il santo patrono è San Benedetto da San Fratello, il compatrono è San Giuseppe. Ad Acquedolci si parla il siciliano nella forma della eteroglossia interna del dialetto sanfratellano di tipo gallo-italico.

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Acquedolci si affaccia sulla costa tirrenica settentrionale siciliana di fronte alle Isole Eolie. Il paese si sviluppa alle falde del Monte di San Filadelfio o monte San Fratello, popolarmente chiamato dagli abitanti del posto " 'U Munti" (la Montagna). Il centro abitato si estende lungo l'omonima pianura che origina il proprio nome da un piccolo torrente che corre lungo il Monte, un massiccio calcareo (816 m) che, nella sua estrema propaggine nord costituita da Pizzo Castellaro, ospita la suggestiva Grotta di San Teodoro, sito paleontologico che conserva una documentazione molto ricca e importante della storia faunistica e antropologica preistorica della Sicilia. Sulla sommità della montagna, nel territorio del Comune di San Fratello, sorgono antichi insediamenti greco-romani ed il santuario normanno dedicato ai santi martiri Alfio, Filadelfo e Cirino.

Il territorio comunale di Acquedolci è delimitato dal torrente Furiano ad ovest e dal torrente Inganno ad est. Il Comune fa parte del Parco dei Nebrodi. Il paese, distante 92 km da Messina e 125 km da Palermo, si sviluppa lungo la fertile pianura "Acquedolci", dove scorrono altri piccoli torrenti (denominati in epoca spagnola baranche) conosciuti come "valloni": sono l'Acquafredda, il Favara, il Cruzzuluddu, il Barranca, il Corvo.

Il territorio di Acquedolci è caratterizzato da colture agrarie di vigneti, oliveti, agrumeti e diversi frutteti. Negli ultimi anni il territorio si è rivelato ottimale per l'introduzione di coltivazioni di Mangifera indica (mango), Carica papaya (papaya) e Kiwi (frutto) che vengono esportati verso il nord Italia e l'estero.

La storia della moderna Acquedolci iniziò circa un secolo fa, la notte dell'8 gennaio 1922, quando un imponente smottamento colpiva il centro abitato di San Fratello distruggendo i tre quarti delle abitazioni e oltre dieci chiese. Migliaia di sfollati in fuga cominciavano a stabilirsi in ricoveri di fortuna ad Acquedolci, all'epoca piccolo borgo con circa 800 residenti, frazione di San Fratello denominato Marina di Acquedolci. Il borgo si sviluppava nei pressi dell'antico castello Cupane, attorno alla torre medievale "Atàlia" ormai in condizione di rudere.

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Gli sfollati della frana che si rifugiarono ad Acquedolci furono oltre 1500 e trovarono rifugio nei pressi del Borgo della Marina, all'interno del Castello, in contrada Tressanti e in località Buonriposo. Ma in realtà la storia di questa ridente Città giardino è molto antica. Durante l'epoca romana, Acquedolci, attraversata dalla Consolare Valeria, diventa una località di sosta presso la quale è possibile cambiare muli e operare lo scambio di posta. La località diviene parte della "Tavola Peutingeriana". In epoca medievale, la via Valeria diventa anche via Francigena percorsa da pellegrini che ad Acquedolci si riposano negli Hospitalia vicini al castello e si recano in preghiera alla Chiesa di San Giacomo, meta da tempo immemorabile di pellegrinaggi giacobei. Secondo la legenda la località attorno alla chiesa di San Giacomo, conosciuta anticamente come contrada " Tre Santi" ospitò per qualche tempo alcune reliquie dei tre santi martiri Alfio, Cirino e Filadelfo.

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La denominazione "Acquedolci" però è avvolta nel mistero. L'origine di questo nome non è sicuramente riconducibile agli scoli dei trappeti che lavoravano la canna da zucchero in epoca araba, che rendevano dolciastra l'acqua del mare. Mentre alla dominazione araba è riconducibile il nome della contrada Favara. La teoria dei trappeti che avrebbero dato nome alla località è tuttavia adottata per la realizzazione dello stemma comunale: "alla piantagione di canna da zucchero, fiorita, al naturale, terrazzata di verde; alla campagna di argento mareggiata di azzurro".

Tuttavia il nome del sito è ancora più antico dei trappeti stessi. Cicerone nel libro VII delle Verrine parla del porto commerciale e militare di Apollonia (l'antico nome greco di San Fratello), base per le imbarcazioni che difendevano la costa. Attraverso il "Carricatorum Aquarium Dulcium", Apollonia riforniva di viveri i romani e viveva del commercio dei prodotti locali (formaggi, olio, vino, frumento). Nell'Eneide si indica questa zona come il luogo secondo cui Enea sbarca durante il suo peregrinare attraverso il Mediterraneo. È certo che, in epoca araba, era presente un fondaco, un magazzino attorno al quale ruotava il commercio dei prodotti locali. Di questa struttura, presumibilmente affiancata da una locanda, da un ricovero per i cavalli e da una stazione di posta, si ritrovano riferimenti sia negli scritti di Tommaso Fazello che cita le "Acquae deinde cognomate Dulce cum taberna Hospitatoria", sia negli scritti di Maurolico che annota "Acquae Dulce Fundaco". In questa località, in epoca romana, si trovava una stazione per il cambio dei muli lungo la Via Valeria che attraversava questo territorio.

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L'antico porto di cui parla Cicerone si trovava probabilmente in via del Caricatore nei pressi del castello, la "Taberna", di cui parla il Fazello, ed era posta nelle vicinanze dell'attuale stazione ferroviaria. La ricchezza di acqua nel territorio e la presenza di trappeti per la lavorazione dello zucchero sarebbero alla base dell'altra teoria sull'origine del nome.

Una terza teoria sull'origine del nome ha natura leggendaria. Secondo questa leggenda, sotto il territorio di Acquedolci scorrerebbero copiosi fiumi sotterranei, a causa dei frequenti smottamenti del monte San Fratello. Questi fiumi affiorerebbero a poche miglia dalla costa, rendendo l'acqua del mare dolce e potabile. La leggenda racconta inoltre, che gli antichi Romani, durante le guerre puniche, spesso attingevano acqua potabile direttamente in mare, evitando così di scendere sulla terraferma.

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Questa teoria dei fiumi sotterranei sembra essere confermata dalle recenti indagini effettuate nel sottosuolo dopo l'ennesima frana che ha colpito nel 2010, il paese di San Fratello. I rilevamenti indicano che la montagna rappresenta un enorme bacino idrico. Il nome Acquedolci quindi deriverebbe dalla presenza di sorgenti d'acqua dolce nel suo territorio. Ancora oggi una località della zona si chiama Favara, termine arabo che indica appunto una sorgente d'acqua. Fino a qualche decennio fa, prima di essere ricoperto, il piccolo torrente Favara faceva ruotare la macina del mulino posto a ridosso del muro di cinta del castello.

La storia dell'antico borgo ha origine tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo quando il feudo venne affidato dal re Martino I di Sicilia al cavaliere Ugerotto della casata catalana dei Larcan De Soto. Prima di Ugerotto il feudo era possedimento di Federico figlio di Vinciguerra d'Aragona il quale si ribellò a Martino e venne punito per il reato di fellonia. Dopo questi fatti Ugerotto avviò la costruzione della Torre dell'Atàlia che fu ultimata nel 1405 e fu il primo nucleo del complesso architettonico del Castello "Larcan-Gravina".

La grotta di San Teodoro

Arti, musei e tradizioni popolari nella riviera tirrenica

Il Carnevale dell'Orso a Saponara

 

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Messina e la sua Provincia non hanno oggi un Carnevale meritevole di tale appellativo, perché ritenuto solo momento “commerciale” da sfruttare, trascurando la parte più importante che è quella dell’allegoria della festa. Messina, negli anni ’50, ha vissuto un momento felice che l’ ha vista protagonista di un Carnevale organizzato e curato nei minimi particolari, con sfilate di carri floreali, gruppi motorizzati in maschera, carri allegorici e veglioni degni di questo nome, che si svolgevano nel Salone della Borsa della Camera di Commercio, al Cinema Savoia, alla Sala Metropol ed in Fiera. Passato il periodo positivo dell’Agosto Messinese, anche il Carnevale ebbe fine. Degno di menzione in tal senso, oggi, è un piccolo centro montano dei Peloritani, Saponara, dove si festeggia ogni anno il Carnevale con la sfilata di un corteo principesco e di una serie di personaggi caratteristici, tra cui il soggetto principale è l’Orso. Quest’ultimo tiene un comportamento festoso, venendo a contatto fisico (nel rispetto della tradizione) con la comunità e rendendosi autore d’atti trasgressivi simbolici, consentiti dal momento particolarmente gioioso del carnevale. 

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Il privilegio di indossare la pelle dell’Orso spetta, da oltre quarant’anni, ai membri della famiglia Gangemi.

Accanto all’Orso ci sono le figure di tre cacciatori, a rappresentare gli autori della cattura di questo animale feroce che, sfuggito probabilmente ad uno dei tanti circhi girovaghi nel sec. XVIII, costituiva pericolo per tutta la comunità.

Questi, conducono e trattengono l’Orso con una catena e due corde fissate ad una robusta imbracatura in cuoio. Sono seguiti da suonatori di “Brogna" o "Trumma“ ( strumento musicale realizzato con la troncatura dell’apice di una grossa conchiglia marina), da un tamburo rullante e da una banda folkloristica. Questo primo gruppo apre il Corteo Principesco e della sua Corte, fra cui lo Scrivano che ha il compito di tramandare ai posteri l’eccezionale evento della cattura del plantigrado, e, subito dopo, seguono i gruppi mascherati provenienti da tutta la Provincia che, annualmente, partecipano al concorso per vincere i premi in palio.

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Pantomima principale durante la sfilata è la costante azione dell’Orso, che malgrado sia trattenuto da corde, catene e tenuto a bada da domatori, assale e rincorre ripetutamente le donne, secondo un preciso rituale che lo vede mimare l’atto sessuale. A volte si rabbonisce ed allora balla con la donna, scegliendola tra tante, prima corteggiandola e poi invitandola a danzare.

Il Carnevale dell’Orso a Saponara merita di essere attenzionato perché si svolge in un clima gioioso tra quintali di coriandoli, distribuiti gratuitamente da simpatiche mascherine del luogo, e fra migliaia di persone arrivate da tutte le località del comprensorio. Non si verificano atti o gesti che possano nuocere a qualcuno e non ci sono venditori degli usuali oggetti pericolosi circolanti nel periodo carnevalesco.

Il Cavallo Sanfratellano

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Rappresenta, prevalentemente, la popolazione equina dei Nebrodi, che conta circa 5.000 capi ed è il risultato di una lunga (i primi esemplari fanno la loro apparizione in epoca normanna, nel sec. XII) e dura selezione naturale cui ha notevolmente contribuito l'ambiente aspro e difficile della regione nebroidea. Particolarmente robusto e resistente, il cavallo sanfratellano vive allo stato brado nei boschi in piccoli gruppi ed è capace di sopportare egregiamente sia il soffocante caldo estivo che le rigide temperature invernali. I Comuni nei cui territori stanziano i nuclei più cospicui di cavalli sanfratellani sono Alcara Li Fusi, Cesarò, Capizzi, Caronia e, naturalmente, San Fratello, dove in agosto si svolge la mostra – concorso del cavallo sanfratellano e, a settembre, la fiera mercato con la compravendita di animali in una caratteristica contrattazione fra padroni e compratori che si svolge ad alta voce.

Le Ceramiche di Santo Stefano di Camastra

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Tradizione antichissima, questo tipo di arte ha ormai raggiunto, a Santo Stefano di Camastra, livelli così alti dal punto di vista qualitativo e quantitativo, da competere con centri rinomati come Caltagirone, Trapani e Palermo. L'arte fittile a Santo Stefano di Camastra ha inizio sotto il dominio arabo, a partire dall' XI secolo, come forma di artigianato minore destinato alla produzione di suppellettili ceramici, generalmente acromi, destinati ad ambito domestico. Nel Medio Evo, e, soprattutto, in epoca rinascimentale, la produzione subisce un notevole salto di qualità artistica e i prodotti di Santo Stefano di Camastra cominciano ad essere esportati anche fuori dalla Sicilia.

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Dopo il 1682, a seguito della ricostruzione della città semidistrutta da un movimento franoso, si intensifica la produzione di tegole e mattoni da costruzione e nel '700, in pieno rococò, le piastrelle stefanesi da pavimentazione e rivestimento, in cotto smaltato con vividi colori arancione, giallo, verderame, bruno–manganese, per bellezza e perfezione tecnica vengono richieste anche fuori d'Italia.

Oggi, le strade cittadine sono diventate un'esposizione permanente di ceramica all'aperto (vasi, albarelli, piatti, acquasantiere, fioriere, elementi architettonici ecc...) che è possibile anche ammirare nel Museo della Ceramica di Palazzo Trabia. Dal 1934 è attiva la Scuola Regionale d'Arte per la Ceramica che cura, particolarmente, l'affermazione artistica del prodotto.

Il Museo Etno – Antropologico "Nello Cassata" a Barcellona Pozzo di Gotto

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Sorge nella contrada Manno del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto e si raggiunge dopo 35 chilometri di autostrada da Messina e 5 chilometri da Milazzo.

Il Museo è’ allocato in un edificio a tre piani appositamente costruito e dove sono conservati, nei primi due, più di dodicimila pezzi suddivisi per arti e mestieri; il terzo piano è destinato, invece, alla biblioteca – emeroteca che raccoglie in maniera sistematica tutte le pubblicazioni utili alla ricerca sugli usi e costumi della Sicilia del passato.

Il primo nucleo della collezione venne istituito dall’avvocato Nello Cassata, appassionato di storia e di poesia, per conservare e tramandare ai posteri gli oggetti relativi agli usi, ai costumi ed ai mestieri della comunità barcellonese di un tempo. Il museo custodisce, infatti, gli attrezzi di lavoro dei vasai, fabbri ferrai, maniscalchi, ebanisti, intarsiatori di legno, orafi, argentieri, stuccatori, calafatari, tornitori, sarti, costruttori e decoratori di carretti.

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Per quel che riguarda la cultura contadina ed agro–pastorale sono, ad esempio, conservate le grandi vasche (palmenti) dove si pestava l’uva; gli strumenti usati dagli “spiritari ” per estrarre l’alcool dagli agrumi; gli aratri, le falci e una grande macina in pietra utilizzata nei “trappiti “ per spremere le olive.

Non mancano gli oggetti caratteristici di professioni, come quelle del medico e del dentista, mentre, per alcune attività artigiane come quelle di dolciere e pasticciere, sono stati ricostruiti gli arredamenti originali interni.

Interessante e suggestiva, in proposito, la ricostruzione con pezzi originali di una barberia degli anni ’20 dove, accanto a rasoi a lama che si affilavano con pietre di mola e cintura di cuoio, pennelli, spazzole, pettini, si trova anche una chitarra che veniva suonata dai clienti per ingannare il tempo dell’attesa.

Barcellona

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Barcellona Pozzo di Gotto (Baccialona Pizzaottu in siciliano, Baccialona o Baccellona in dialetto messinese) è un comune italiano di 41 005 abitanti[2] della città metropolitana di Messina in Sicilia.
È il comune più popoloso della città metropolitana dopo Messina ed è sede di Tribunale.

Il territorio di Barcellona Pozzo di Gotto è esteso circa 58,89 km², molto densamente popolato e ricco, è delimitato da quattro confini naturali: a nord-ovest il mare Tirreno; a nord-est il torrente Mela; a sud-est il versante tirrenico dello spartiacque dei Peloritani; a sud-ovest il torrente Termini o Patrì. Questi limiti coincidono quasi con quelli amministrativi. Infatti Barcellona Pozzo di Gotto confina a nord-est con i comuni di Milazzo, Merì e Santa Lucia del Mela; a sud-ovest con i comuni di Terme Vigliatore e di Castroreale; a sud-est lungo il versante montuoso, il confine del territorio di Castroreale si affianca a quello di Santa Lucia del Mela. L'orografia del territorio comunale è molto varia: dal livello del mare si sale fino a quota 1.180 m, con pendenze che iniziano dallo 0 al 5% per passare, nella fascia collinare, tra il 20 e il 40% e finire sul crinale dei Peloritani con pendenze anche superiori al 40%. Le emergenze altimetricamente più significative sono la Rocca (m. 762), il Pizzo Tribodo (m. 797), e il Colle del Re (m. 1.180).

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I corsi d'acqua che attraversano il territorio sono, oltre ai citati torrenti Mela e Termini, quelli del Longano e dell'Idria che hanno un regime a carattere torrentizio e quindi normalmente con portate modeste che tuttavia divengono impetuose nei periodi di maggiore piovosità. Il Longano[3], in particolare, separa Barcellona e Pozzo di Gotto ed ha dato vita alla piana alluvionale di Barcellona; il suo greto, confinato entro la stretta arginatura borbonica, in passato raggiungeva una larghezza chilometrica con una portata notevole e frequenti allagamenti dei territori circostanti tanto che ancora l'11 dicembre 2008 e il 2 novembre 2010, la forza delle acque ruppe gli argini in più punti.
Di particolare forza distruttiva è stata l'alluvione che ha colpito la cittadina il giorno 22/11/2011 una pioggia battente di straordinaria intensità ha fatto straripare il Longano in più punti; il fiume ha trascinato con sé alberi e macchine, la furia dell'acqua ha causato inoltre il crollo di un ponte in località Calderà provocando pesanti ripercussione alla viabilità in quella zona. In seguito a questi eventi si sono succedute numerose iniziative di volontariato, messe in atto dai giovani Barcellonesi, e non, al fine di ripristinare la normalità nel più breve lasso di tempo possibile.

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L'area territoriale del comune di Barcellona Pozzo di Gotto è interessata da sistemi di faglie manifeste o sotto le coperture alluvionali costiere. Dal punto di vista agricolo, la porzione di territorio a carattere pianeggiante è la più fertile e viene sfruttata con attività agricole più moderne e redditizie. Comunque, su tutto il territorio, i comparti individuabili sono l'orticoltura, l'agrumicoltura, l'olivicoltura, la viticoltura, il bosco, il pascolo, il seminativo e il vivaio a dimora fissa.

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Barcellona Pozzo di Gotto è servita dallo svincolo dell'autostrada A20 ME-PA che le consente un rapido collegamento con Messina a circa 39,00 km e con Palermo, che dista circa 190 km. Tutto il centro abitato è attraversato dalla S.S. 113. Altra via di collegamento è la ferrovia Messina-Palermo che, insieme alla relativa stazione, è stata spostata a valle in posizione decentrata rispetto al centro urbano.

Il comune di Barcellona Pozzo di Gotto, oltre che dal grande centro urbano, è formato da una serie di frazioni che nel tempo hanno assunto una certa importanza.

Capo D'Orlando

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Capo d'Orlando è un comune italiano di 13.314 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia.

Centro a prevalente vocazione turistica e commerciale del comprensorio dei Nebrodi, del quale è uno dei poli, insieme a Patti e Sant'Agata di Militello, è nato come borgo di pescatori. Originariamente frazione di Naso, il paese ha raggiunto l'autonomia il 1º agosto 1925, dopo uno sviluppo legato principalmente all'attività dei pescatori.
È sede di attività artistiche come la pinacoteca comunale, museo Villa Piccolo, Castello Bastione.

Il toponimo Capo d'Orlando risale all’Alto Medioevo, ribattezzando la città in onore a una presunta sosta del paladino Orlando che fece durante una crociata in Terra santa. Agatirno, l’antica città greca che corrisponde all’attuale Capo d’Orlando, secondo la leggenda sarebbe stata fondata da Agatirso, figlio di Eolo, re dei venti e delle isole Eolie (da non confondere con Eolo, dio dei venti presso i greci, con il quale viene spesso confuso, a partire dall'Eneide di Virgilio, opera nella quale le due figure mitologiche vengono sovrapposte per la prima volta nel libro I). Il paese avrebbe conservato il nome di Agatirso, "colui che porta lo splendido tirso": dunque sarebbe stata in origine una città sacra al culto di Dioniso, simboleggiato appunto dal tirso.

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Nel 210 a.C., secondo le cronache di Tito Livio, Agatirso o Agatirno, "società di ladri, esuli e malfattori", subì una massiccia deportazione: circa 4.000 persone furono deportate in Calabria dal console Marco Valerio Levino,[3] forse proprio per effetto dei culti dionisiaci. È questa l'ultima traccia della storia di Capo d'Orlando prima dell’epoca normanna, in quanto i berberi invasero la città senza lasciarne testimonianze arrivate sino a oggi: la testimonianza successiva è di Goffredo da Viterbo, il quale riferisce che il promontorio porta il nome del paladino Orlando, da quando Carlomagno, al ritorno dal suo pellegrinaggio a Gerusalemme, fece tappa in Sicilia orientale. Durante il Vespro siciliano il 4 luglio 1299, Capo d'Orlando torna nelle cronache con una battaglia navale tra Giacomo II e Federico III per la reggenza degli Aragonesi in Sicilia, nel contesto della disputa fra Aragonesi e Angioini per il trono siciliano.

Nel 1359 Federico IV d'Aragona assegna al nobile Vinciguerra d'Aragona i possedimenti e il Castello d'Orlando.

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Nel 1398, Capo d'Orlando è citata nelle cronache per l'assedio di Bernardo Cabrera, conte di Modica, che insegue Bartolomeo di Aragona, traditore del re Martino I rifugiatosi nel Castello che si trova sul promontorio dal quale Capo d'Orlando prende il nome. In questa occasione il Castello, utilizzato fino ad allora come roccaforte di guardia contro i pirati, viene distrutto: iniziano così le incursioni dei pirati, due delle quali testimoniate nel 1589 e nel 1594, fino alla realizzazione di una postazione di guardia, nel 1645. Nel 1598 il ritrovamento vicino al Castello di una piccola statua della Madonna, riproduzione della Madonna di Trapani, che secondo la leggenda sarebbe stata portata da San Cono Abate, porta la comunità locale a costruire nel 1600 il Santuario di Maria Santissima, tuttora simbolo del paese.

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I secoli successivi, segnatamente il XVIII e l'inizio del XIX, sono anni di lunghe e dannose alluvioni, che spingono i conti d'Amico, antichi proprietari del latifondo, a cederne la proprietà al Comune di Naso. Gli alluvioni sono però un'occasione di nuova fortuna per Capo d'Orlando: per effetto dell'azione del mare nasce una pianura molto fertile, e le filande - attive già dal XV secolo in contrada Malvicino insieme alla coltura della canna da zucchero - vivono una fase di sviluppo.
Capo d'Orlando affianca dunque le coltivazioni all'attività dei pescatori, e per proteggere il centro dalle scorribande dei pirati e sfruttare le nuove risorse i baroni di Naso realizzano una torre fortificata e un trappeto per lavorare lo zucchero.

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Nello stesso periodo, nella zona di San Gregorio nasce una tonnara: è così che Capo d'Orlando - e più nello specifico il borgo marinaro di San Gregorio, vero cuore pulsante del paese fino alla fine del XIX secolo - raggiunge una forte indipendenza economica e inizia a crescere demograficamente, anche per effetto del completamento, nel 1895, della ferrovia che attraversa il centro e delle statali 113 Messina-Palermo e 116 Capo d'Orlando-Randazzo.

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A cavallo fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo iniziano così le agitazioni popolari per rivendicare l'autonomia da Naso, che ormai ha la stessa rilevanza economica e demografica della frazione e per tenere l'avamposto a mare concede porzioni di territorio agli orlandini. Le agitazioni però proseguono, fino a quando, con Legge n. 1170 del 25 giugno 1925, Capo d'Orlando ottiene l'autonomia a decorrere dal primo agosto, suggellata il 27 settembre dello stesso anno dall'inaugurazione del municipio.

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Da visitare il celebre cimitero dei cani di Lucio Piccolo (ce n'è un’ altro analogo a Venezia) e il cospicuo Museo all'interno della villa che custodisce, fra l'altro, vasi e piatti in porcellana cinese (sec. XVII e XVIII); statuine in porcellana di Sassonia (sec. XVIII); un vassoio da centro tavola con piedini in bronzo dorato, smalti, coralli e cammei di oreficeria trapanese (sec. XVI – XVII) e la stanza dove Tomasi di Lampedusa, cugino dei Piccolo, soggiornò e scrisse alcune pagine del Gattopardo.  

Castroreale

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E' situato a 394 m.s.m. su uno sprone del versante settentrionale dei monti Peloritani, alla sinistra del torrente Longano. Centro agricolo con 2.894 abitanti, si sviluppa con una superficie di 75,2 kmq.

Nella frazione Castroreale Bagni si trovano sorgenti di acqua solfurea (soprattutto per bagni) e bicarbonata (per bibite e bagni), indicate nelle malattie croniche delle articolazioni, del ricambio, del tubo digerente.

L'abitato è d'impianto medievale, signoreggiato da un Castello edificato da Federico II d 'Aragona intorno al 1324 e di cui rimane la sola torre a pianta circolare, dominante le valli circostanti e il mare.

Il successivo frazionamento del territorio già appartenente al teniménto, vallo, castellania e capitania, comarca, distretto, circondario, in qualità di città demaniale, casale, feudo, città regia, sottointendenza non esclude, cancella o trascura gli insediamenti preistorici, le rovine, le vestigia, i resti d'epoca greco - romana, bizantina, araba, sedimentate nei secoli nel comprensorio, peculiarità storico - artistico - monumentali transitate nelle nuove entità amministrative di recente costituzione.

Le prime notizie storiche certe si rinvengono in un diploma datato 1324 con cui Federico III d'Aragona ordina la ricostruzione di un preesistente castello.L'abitato che si sviluppò intorno al fortilizio venne rinominato Castro ed in seguito Castroreale perché residenza preferita del re Federico III d'Aragona e rimase sempre città demaniale accrescendo nel corso dei secoli la propria importanza, prosperità economica ed estensione territoriale grazie anche alla posizione strategica che rivestiva sia nel sistema di fortificazioni poste sul versante tirrenico a difesa della Piana di Milazzo che nel sistema dei collegamenti con i centri fortificati del litorale ionico, tramite i percorsi interni alla catena dei Peloritani.

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La Chiesa Madre dedicata all'Assunta risale al secolo XV e venne ingrandita nel Seicento. Accanto, si erge la torre campanaria edificata nel 1518. Nel 1853 vi veniva tracciata sul pavimento una meridiana da Nicolò Perroni Basquez, ad imitazione di quella esistente nella Cattedrale di Messina, opera di A. M. Jaci. All'interno sono da osservare le statue marmoree della "Madonna col Bambino" di Antonello Gagini (1534); quella di "San Giacomo" di Andrea Calamech (sec. XVI); di "San Pietro" (1586) attribuita a Rinaldo Bonanno; della "Madonna di Loreto" (sec. XVI) di Francesco Molinaro; di "S. Tommaso Apostolo" (1607) di scuola napoletana; di "Santa Maria di Gesù" (1501) e di "S. Caterina D'Alessandria" (sec. XVI), entrambe di Antonello Gagini.

Fra i dipinti, degni di nota sono un'"Addolorata con Gesù" del Cardile; i "Santi Cosma e Damiano" di Filippo Jannello; la "Nascita del Salvatore" del Bonfiglio; la "Circoncisione" di Antonello Riccio; la "Vergine del Rosario e Santi " (1655); l' "Agonizzante"  (1680) e le "Anime Purganti", del pittore Filippo Jannello. Notevoli anche la Cantoria e il Coro in legno intagliato (sec. XVII). Nella chiesa di S. Maria degli Angeli si conserva la "Natività" di Marco Pino, mentre , in quella di S. Agata, un' "Annunciazione" di Antonello Gagini (1589) ed una pregevole tavola quattrocentesca raffigurante "S.Agata" con scene del martirio.

Dopo aver ammirato la Porta Raineri (1808), sono da visitare le chiese del  SS. Salvatore (sec. XIII – XV); della Candelora (sec. XV); dell'Immacolata (sec. XV); di S. Maria di Gesù (sec. XV); di S. Agata (sec. XVI) e di S. Marina (sec. XII – XVI). Importante il Museo Civico che ha sede nell'ex Oratorio dei PP. Filippini  (1632), ordinato e curato con passione  e competenza dal prof. Antonino Bilardo. Fra le tante opere esposte, notevoli sono un capitello (sec. XVI); una targa scartocciata (1580); una "Madonna in trono con Angeli e l'Eterno Padre" in marmo bianco (sec. XVI – XVII); una lapide sepolcrale del not. Domenico Aliquò (1678); un "Crocifisso" in legno policromo (sec. XV); un Tronetto (sec. XVII); una Custodia (sec. XVIII); un dipinto con la "Madonna col Bambino"  di Antonello De Saliba (1503 - 1505) e un "Salvator Mundi" di Polidoro Caldara da Caravaggio (1489 circa).  

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Tra le tradizioni religiose di Castroreale la festa in onore del SS. Crocifisso, nel dialetto locale “U Signori longu” occupa, sin dalla metà del XIX secolo il posto principale, sia per il suo significato religioso-folcloristico, sia per la grande affluenza di pubblico, che giunge da tutte le parti.

L’istituzione della festa risale al 1854, l’anno in cui una terribile epidemia di colera infierì nella città di Messina, falciando, nello spazio di appena due mesi, circa trentamila persone. Alle prime avvisaglie del male molti messinesi avevano cercato di sfuggire al contagio riparando nelle campagne e nei paesi più vicini della provincia. A Castroreale giunse fra gli altri la signora Giuseppina Vadalà, moglie del cittadino messinese Orazio Nicosia, che allora vi risiedeva per ragione d’impiego. Appena giunta, la signora si rivelò già colpita dal male e la notizia, diffusasi rapidamente tra la popolazione, che fino a quel momento era rimasta immune, seminò allarme e costernazione.

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Si pensò di ricorrere in quel grave frangente all’aiuto divino, portando in processione il simulacro del Crocifisso venerato nella chiesa di S. Agata, al quale il popolo era solito ricorrere nelle varie calamità. Era il 25 agosto. Quando la processione giunse presso la casa, in cui abitava il signor Nicosia, questi , allontanandosi dal letto, su cui giaceva la moglie ormai moribonda, assistita da un sacerdote, andò ad inginocchiarsi sul balcone e, volgendo gli occhi pieni di lacrime alla sacra immagine, implorò il miracolo. In quel momento sentì la voce della moglie, che da qualche ora non parlava più, e, corso al capezzale, la trovò seduta sul letto e come tornata alla vita.

Il miracolo riempì di gioia la cittadina, nella quale in quell’occasione non si registrò alcun altro caso di colera.
A partire da allora la giornata del 25 agosto è stata consacrata alla festa del SS. Crocifisso, la cui solennizzazione ha sostituito nella devozione popolare le feste patronali di S. Silvestro (31 dicembre) e dell’Assunzione 15 agosto.

I festeggiamenti durano tre giorni e si aprono nel pomeriggio del 23 agosto con la traslazione del Crocifisso dalla chiesa di S. Agata alla Chiesa Madre, dove rimane esposto al culto fino al pomeriggio del 25 successivo, quando viene solennemente riportato in processione alla sua chiesa.

Per la sua unicità la processione costituisce l’attrazione principale. Il simulacro a grandezza naturale del Crocifisso, opera espressionistica di ignoto plasticatore del secolo XVII, unitamente alla croce su cui è collocato, viene montato sull’estremità di un alto e robusto palo sfaccettato, dipinto in nero e munito sulle facce anteriore e posteriore di grossi chiodi conficcati ad intervalli regolari. Mediante una peritissima manovra di pertiche di varia lunghezza terminanti in forcine di ferro, che vengono appuntate sotto i predetti chiodi, il lungo legno viene inalberato, messo a piombo e quindi fissato con due perni di acciaio su un pesante fercolo, che viene poi portato a spalla per le principali vie cittadine.

La croce così inalberata raggiunge l’altezza di circa quattordici metri e supera tutti gli edifici, ad eccezione della Chiesa Madre, all’interno della quale, con la sua estremità superiore sfiora quasi le travature del tetto della navata centrale. Il trasporto processionale per vie che presentano notevoli pendenze è basto su un complesso gioco di equilibrio reso possibile dal sostegno delle pertiche suddette, che puntellano l’altissima croce durante il percorso in salita e in discesa. L’emozionate processione si muove quindi con grande compostezza e assai lentamente e tiene col fiato sospeso i fedeli e i turisti che accorrono numerosi a vederla.

Sono quelli dei festeggiamenti i giorni in cui Castroreale diventa meta continua di visitatori, anche stranieri, attirati sul luogo dal sentimento religioso, ma anche dalla curiosità e dal carattere sobriamente spettacolare della manifestazione. La ricorrenza richiama in primo luogo una folla di cittadini di Castroreale e di oriundi emigrati anche all’estero e costituisce il legame più sentito con la propria terra e con le proprie radici per chi dalle necessità della vita è stato sbalzato lontano. Nel pomeriggio del 25 agosto è imponente la moltitudine delle persone, che da tutti i paesi della zona raggiunge Castroreale; e la cittadina vive in quel giorno, anche dal punto di vista economico, il suo momento più importante

Isole Eolie

Navigando intorno all'Arcipelago delle Eolie

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GALLERIA FOTOGRAFICA

Le isole devono il loro nome a Eolo, re dei venti, ed è qui che Omero immaginò il suo regno. I più antichi insediamenti risalgono al V millennio a.C..  

L'arcipelago eoliano, di origine vulcanica, è formato da sette isole principali: Lipari, Salina, Vulcano sono le maggiori; ad ovest si trovano Alicudi e Filicudi; a nord-est Stromboli e Panarea.

Al turista offrono un clima temperato tipicamente mediterraneo, con temperature miti nel periodo invernale e non eccessivamente torride nel periodo estivo.        

Giungendo dal mare si rimane ammaliati dalla bellezza dei luoghi, dai paesaggi e dalla limpidezza del mare, dal silenzio e dal profumo della vegetazione.

Le rappresentazioni religiose, nella Settimana Santa, coinvolgono anche i turisti che, sempre più numerosi, arrivano alle isole durante le vacanze pasquali. A Lipari si svolge la rivisitazione storica della passione di Cristo il Venerdì Santo, fra piazza Municipio e l'anfiteatro del Castello. La domenica di Pasqua si effettua la processione del Cristo Risorto che ha, come caratteristica tradizione, l'incontro fra la Madonna e il Cristo a Marina Corta, accompagnato dal suono delle campane e dal volo delle colombe. Feste simili si svolgono anche a Salina e Filicudi.

Alicudi

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Isola più occidentale dell'arcipelago, anticamente il suo nome fu “Ericusa” e la sua storia più remota si sostanzia nelle tracce di un abitato del XVII – XVI sec. a.C. che doveva estendersi in prossimità dell'approdo portuale.

I suoi 150 abitanti vivono nell'unico centro abitato di Alicudi porto, principalmente di pesca.

L'isola, che ha una superficie di 5,2 kmq., offre una natura incontaminata, vedute paesaggistiche eccezionali, spiagge, sciare, grotte e un mare ricco di pesci e, principalmente, di aragoste. Via terra è possibile raggiungere attraverso un sentiero la chiesa di San Bartolo, e, da qui, di terrazza in terrazza, attraverso cespugli di capperi e terreni rocciosi, si perviene a Monte Filo dell'Arpa da dove si ammira un panorama unico al mondo. E’ possibile anche effettuare escursioni in contrada “Piano Fucile” e al fortino “Timpone delle femmine”.   

Gli appassionati della pesca subacquea possono immergersi nelle vicinanze dello Scoglio della Jalera.  

Filicudi 

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Il suo nome antico fu “Phoenicussa”, abitata fin dagli inizi del III millennio a.C., nel Neolitico. Di forma ovale, è circondata da scogli tra cui si distingue la "Canna" con la sua naturale altezza di 85 m.. Ha una superficie di 9,5 kmq. e conta 250 abitanti nei suoi tre centri di Filicudi porto, Pecorini a mare e Valle Chiesa.

Nel borgo "Rocca di Ciauli" è da visitare la chiesa di Santo Stefano del 1650,e, nel villaggio Capo  Graziano, un abitato con ceramiche neolitiche del 3000 a. C. Per gli amanti delle escursioni, la grotta del Bue Marino offre piacevoli sensazioni.

Lipari

 

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Il suo nome antico fu “Meligunis”. Posta sulla costa sud orientale dell'isola, è il centro principale dell'arcipelago con una superficie di 37,6 kmq. e  10.240 abitanti che popolano le frazioni di Canneto, Acquacalda, Quattropani e Pianoconte. Tranne Salina, tutte le isole dipendono da Lipari.

Importante la zona archeologica del Castello comprendente anche il parco ed il Museo che raccoglie reperti dal primo Neolitico all'epoca romana, fino all'anno Mille. Il Castello, cioè le possenti mura fortificate erette dagli Spagnoli dopo il 1544, ingloba elementi di fortificazione del 1200 ed una torre greca del IV – III sec. a. C..

Nell'area archeologica sorge la Cattedrale fondata dai Normanni (1084) e rifatta quasi interamente nel 1654.  Il Mercurio dipinse, dal 1779 al 1780, quasi tutte le tele custodite tranne la "Cena di Cristo" che è del cav. Vinci (1767).  Di ignoto autore sono le tavole del "Rosario"  (sec. XVI) e della "Madonna col Bambino e S. Ignazio" (sec. XVI ). Le altre chiese, sempre nella stessa area, sono quelle di S. Caterina; dell'Addolorata che conserva una "Presentazione" di G. Alibrandi e un "S. Onofrio" (1743) di Giovanni Barbera; dell'Immacolata che custodisce un dipinto di Giovanni Barbera, "Martirio di S. Bartolomeo" (sec. XVIII) e di S.Maria delle Grazie, dove nella cupola maggiore giganteggia un affresco dell' "Assunta" del pittore Russo di Lipari.

Panarea 

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Esistente prima del 2000 a.C., nel Neolitico, il suo nome antico  fu “Euonymos”. Dal 1400 al 1270 a.C. vi si sviluppò una delle più belle civiltà eoliane, la civiltà del Milazzese che prosperò sul promontorio omonimo con 23 capanne a base ovale. E' circondata da isole e isolotti, tra cui si nota Basiluzzo. Ha una superficie di 3,4 kmq. e 280 abitanti che vivono in tre contrade: Ditella, San Pietro e Drauto.

Oltre ad offrire una natura incontaminata, ha una ricca fauna e dà la possibilità di molteplici escursioni.

Salina   

 

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Il nome antico era “Didyme” e fu abitata dalla seconda metà del III millennio a.C.. Dopo Lipari, è la seconda isola come estensione (27 kmq.) e abitanti (2300). Ricca di verde e fitte coltivazioni, con i suoi monti Fossa delle Felci (962 m.) e dei Porri (859 m.), offre i rilevi più elevati dell'arcipelago. E' una delle poche isole provvista di acqua dolce, ciò che ha agevolato una rigogliosa agricoltura, con viti, frutteti, capperi e fichi d'India. Il suo nome deriva da un piccolo lago d'acqua salmastra in località Punta Lingua.

Nel suo territorio si trovano molte testimonianze archeologiche: a Malfa (seconda metà del III millennio a.C.), a Serro dell'Acqua vicino a Santa Marina  (VI – V sec. a.C.) e a Punta Lingua (I-II sec.d.C.); da visitare la chiesa di S. Marina (sec. XVIII), quella della SS. Addolorata (1900) e il Santuario della Madonna del Terzito. A Rinella, a circa 200 m. dalla spiaggia, si possono ammirare le emissioni solforose dal fondo marino, che fanno affiorare sulla superficie del mare grandi bolle che spesso uccidono  i pesci.

I fans di Troisi possono visitare, a Pollara, la casetta utilizzata per il film " Il postino ".  

Stromboli 

 

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L'antica “Strongyle”, è importante per l'insediamento preistorico nel Timpone di Ginostra dove sono stati ritrovati frammenti ceramici dello stile di Capo Graziano, di età ellenistica e di età romana imperiale. E' formata da un cono vulcanico di 926 m. in continua attività.

E' la più lontana e la più orientale delle Eolie ed ha una superficie di 12,6 kmq. e 400 abitanti. E' stata guardata sempre con timore perchè il vulcano è l'unico in Europa con attività eruttiva permanente. I natanti, con a bordo i turisti, si fermano sul costone di nord-ovest, riserva naturale delle colate laviche, per ammirare o aspettare l'eruzione vulcanica detta "Sciara del Fuoco" o le esplosioni con lancio di lapilli e fermenti di magma.  

A Scari, da visitare una necropoli greca con tombe dal IV al III sec. a.C. .

A nord-est di Stromboli si staglia l'isolotto di Strombolicchio, uno scoglio sormontato da un faro che emerge per circa 50 metri.

Vulcano

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Citata dallo storico greco Erodoto, nel 475 a. C., con il nome di “Hiera” che significa sacra, Vulcano è la prima isola che s'incontra provenendo da Milazzo o Messina.

Ha una superficie di 21 kmq. con 500 abitanti e deve il suo nome all'attività vulcanica che, unitamente allo  Stromboli, ne fanno gli unici veri vulcani attivi dell'arcipelago eoliano. Produceva allume e zolfo fino agli anni Cinquanta ed oggi è meta del turismo nazionale ed internazionale annualmente attirato dal vulcano, dai fanghi terapeutici, dal suo limpido mare e dalla sua finissima sabbia vulcanica nera. Bagnarsi nell'acqua calda che ribolle, è un'esperienza indimenticabile. Il mare è tutto da scoprire, con escursioni in barche a noleggio al Porto di Levante, per il periplo dell'isola che è di 28 chilometri. Da Porto Levante, ci si può incamminare attraverso un sentiero fino al cratere, scoprendo tutta la bellezza del panorama circostante del luogo e delle Isole.  

Per gli amanti delle escursioni subacquee ci si può immergere a Capo Testa Grossa, a Capo Grosso, allo Scoglio Quaglietto e alla Franata dell'Arcipelago.

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La Riviera Tirrenica-Il Parco dei Nebrodi


La Riviera Tirrenica

Da Capo Peloro a Tusa, confine tra la provincia di Messina e quella di Palermo, si estende una riviera di 145 Km sempre tra mare e monti, caratterizzata dai castelli di Spadafora, Santa Lucia del Mela, Milazzo, Roccavaldina, Montalbano e dalle numerosi torri di avvistamento, ancora esistenti,  situate lungo tutta la fascia costiera a difesa del territorio dalle invasioni dei pirati turcheschi.   

Incastonati nei loro territori come piccole perle, si incontrano i Comuni di Villafranca Tirrena, Saponara, Rometta, Spadafora, Venetico, Torregrotta, Roccavaldina, Monforte San Giorgio.

Subito dopo Milazzo circondata dalla sua piana, fonte di ricchezza per gli abitanti del luogo, sorgono Santa Lucia del Mela, Castroreale, Tripi, Novara Sicilia e Montalbano Elicona.

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Superato l’antichissimo abitato di Tindari, centro di richiamo del turismo religioso e archeologico, il golfo di Patti è famoso per le sue tonnare, così come, per la bellezza dei loro centri storici, sono San Piero Patti, Gioiosa Marea, Raccuia, Ucria, Sant’Angelo di Brolo, Sinagra, Ficarra, Castell’Umberto, Naso, San Salvatore di Fitalia, Tortorici, Galati Mamertino, Caprileone, Mirto, Frazzanò, Longi, San Marco D’Alunzio, Militello Rosmarino e Alcara li Fusi. Tutti paesi che conservano un importante patrimonio artistico, culturale, paesaggistico e, principalmente, archeologico.

Proseguendo verso occidente, si incontrano Capo D’Orlando, polo turistico estivo di notevole interesse, Sant’Agata Militello, Acquedolci con la Grotta di San Teodoro, Caronia con i suoi immensi boschi, Mistretta, San Fratello, Capizzi, Cesarò, San Teodoro, Santo Stefano Camastra con le sue ceramiche, Tusa e Castel di Tusa.

La splendida costa tirrenica che fa da supporto a tutti questi antichi centri urbani, ha l’affaccio privilegiato sull’arcipelago delle Eolie con Alicudi, Filicudi, Lipari, Panarea, Salina, Stromboli e Vulcano, centri turistici di fama internazionale e luoghi del mito greco di cui conservano cospicue ed importantissime testimonianze.   

   

Il Parco dei Nebrodi

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Ente di diritto pubblico, il Parco dei Nebrodi è stato istituito con decreto dell'Assessorato Regionale per il Territorio e l'Ambiente n° 560 del 4 agosto 1993 e si sviluppa su una superficie di 85.000 ettari. Comprende un ricco patrimonio naturalistico, soprattutto boscato (Faggete, Querceti, Sughereti, Castagneti, Cerreti) che rappresenta oltre il 50% dell'estensione boschiva della Sicilia, e, un'interessante presenza faunistica di 150 specie di uccelli (aquila reale, sparviero, folaga, poiana, falco pellegrino, allodole, cardellino, quaglie, falco pescatore, germano reale, corvo imperiale, rondine, passero solitario ecc....); 16 di mammiferi (donnola, coniglio, gatto selvatico, riccio, volpe, lepre, istrice, pipistrello, arvicola, crocidura, moscardino, topo selvatico, quercino, ghiro, martora, mustiolo); 4 di anfibi (rospo comune, rana verde, raganella, discoglosso) e 11 di rettili  (lucertola siciliana, vipera, testuggine comune e d'acqua, colubro, biscia ecc....).

Non meno ricco è il patrimonio di arte, cultura e tradizione rappresentato dal variegato panorama di antichi centri storici con fondazioni  che vanno dall'epoca sicula e sicana a quella medievale. Complessivamente, 21 Comuni di cui 17 in provincia di Messina, 3 in provincia di Catania ed 1 in provincia di Enna : Alcara Li Fusi, Capizzi, Caronia, Cesarò, Floresta, Galati Mamertino, Longi, Militello Rosmarino, Mistretta, San Fratello, San Marco D'Alunzio, Santa Domenica Vittoria, Sant'Agata di Militello, Santo Stefano di Camastra, San Teodoro, Tortorici e Ucria (Messina); Bronte, Maniace, Randazzo (Catania); Cerami  (Enna).

Di particolare bellezza sono gli ambiti naturali di laghi e bivieri (biviere di Cesarò, lago Trearie, lago Li Perni, lago Maulazzo, l'Urio Quattrocchi, lago Zi Lio) quali aree umide ospitanti molte specie animali e vegetali e zone  di richiamo per diversi uccelli stanziali e migratori.