Abazia di San Filippo il Grande

 

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Il monastero basiliano di San Filippo il Grande sorge a Messina, situato nelle vicinanze dello stadio. Il complesso monastico fu fondato nel 1100 dal re Ruggero II.

Il monastero di San Filippo fu fondato attorno al 1100 e dichiarato esente da ogni potere, come testimoniato da un diploma rilasciato da Ruggero II nel 1145. L'edificazione si inserisce nell'obiettivo dei Normanni di ricristianizzare il Valdemone, per assicurare la regione al proprio controllo; questo compito viene affidato ai monaci, soprattutto di fede ortodossa, con la costruzione di 20 monasteri basiliani e alcuni benedettini.

Il monastero di San Filippo era infatti un luogo strategico, da qui si controllavano monte e valle e al monastero era soggetto il santuario della Madonna di Dinnammare. Qui si racconta che visse nel IV-V secolo (secondo mons. Cesare Pasini, VII secolo in una grotta alle spalle della chiesa, integrata nel monastero, San Filippo di Agira, dopo aver ricevuto gli ordini sacerdotali a Roma ed esser stato inviato a convertire i siciliani.

Tra l'anno 1328 e tra il 1336 sono documentate numerose visite dell'archimandrita del San Salvatore Ninfo al monastero, che godette di numerosi privilegi. A conferma di ciò il Bonfiglio scrive, nel 1606, nella sua opera "Messina Nobilissima" di "un'abbazia che per bellezza e comodità di stanze, per frescura di giardini e fontane, [...] per l'aere salubre, è tenuta per il più bel luogo, tra le altre abbadie di S. Basilio in Sicilia".

Nel 1783, il monastero subisce gravi danni a causa del terremoto e successivamente subisce un'importante ristrutturazione in stile tardobarocco, mantenendo una discreta parte delle strutture di epoca normanna.

Il monastero visse così un altro secolo di vita, aiutando anche i patrioti dei moti del '48 e i garibaldini nel 1860 fornendo asilo e assistenza medica, fino al 1866, quando il fabbricato fu confiscato e messo all'asta dal neonato regno d'Italia, in linea con la politica di quel periodo. Acquistato da Gaetano Alessi, lo trasformò nella sua residenza con 25 stanze, palmenti ed altri opifici agricoli.

All'inizio degli anni ottanta del Novecento il monastero fu acquistato dal comune di Messina, per adibirlo ad attività culturali, anche se il progetto non fu mai realizzato ed il monastero abbandonato, divenendo preda di spoliazioni ed atti vandalici dai mercanti della domenica.

Il complesso assume anche un grande valore spirituale in quanto sede di una grotta, scavata sull'affioramento di arenaria sulla quale sorge il monastero, nella quale, secondo la tradizione, fu abitata da San Filippo di Agira intorno al VII-VIII secolo d.C..

San Filippo di Agira, sacerdote ed esorcista, nacque in Tracia (l'odierna Bulgaria) nel VII secolo circa. A 21 anni ricevette il diaconato e si recò a Roma. Diventato sacerdote fu inviato dal Papa ad evangelizzare la Sicilia. Stabilitosi ad Agira, svolse con fervore il suo ministero operando miracoli e liberando gli ossessi, fino alla sua morte, un dodici maggio del VIII sec all'età di 63 anni. Questo santo lasciò nella Sicilia un'impronta indelebile tant'è che è venerato ad Agira, ma anche a Calatabiano e ad Aci S. Filippo. Nella città di Messina, invece, lasciò un segno tangibile del suo passaggio con un monastero a lui dedicato , ma anche un villaggio (S. Filippo) ed, in epoca moderna uno svincolo autostradale e persino uno stadio.

Sono state organizzate delle manifestazioni tramite l'associazione Salva l'Arte, che con i suoi volontari hanno ripulito il luogo e messa in luce, perchè occultata da alberi e rami, la grotta dell'eremita. E' intervenuto anche l'Arcivescovo di Messina Mons. Giovanni Marra che ha visitato il luogo  e la grotta. Nello stesso giorno ha praticato la liturgia della parola.   

Oggi, nonostante più di trentacinque anni di degrado, il complesso monastico mantiene un grande valore, storico, artistico, culturale e spirituale.

Basilica Cattedrale e Campanile

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La grande costruzione del Duomo si erge dove un tempo si estendeva la cosiddetta “Contrada del Fiume” ed ha, secondo l’uso delle prime basiliche cristiane, le absidi rivolte ad oriente e la facciata ad occidente. Nel 1096 il normanno Gran Conte Ruggero, riunendo le due sedi arcivescovili di Messina e Troina in una sola, con capoluogo a Messina, dichiarava in un suo diploma “di avere costruito in Messina la chiesa di San Nicolò per essere la Cattedrale della nuova diocesi”. Questo tempio, che sorgeva nei pressi dell’odierno Palazzo Arcivescovile, venne distrutto dal terremoto del 1783 e non più ricostruito.

Dell’attuale Cattedrale, detta fino a tutto il sec. XVI “Santa Maria la Nuova”, non possediamo, però, l’esplicito diploma di fondazione. Comunque, da due diplomi dati da Federico II di Svevia, possiamo desumere che essa sia stata fondata da Ruggero II, come pure da un passo della cronaca di Romualdo Salernitano che parla di una “chiesa di S. Nicolò di Messina edificata a proprie spese da Re Ruggero”: evidentemente si riferiva al nuovo Duomo detto pure, probabilmente, oltre che di Santa Maria anche di San Nicolò.

Iniziata ad edificare la Cattedrale, quindi, durante il regno di Ruggero II e cioè fra il 1130 e il 1154, sotto Guglielmo II il Buono intorno al 1168 il nuovo tempio doveva essere ultimato e già pronto per la solenne consacrazione. Ciò che si deduce dalla testimonianza di Ugone Falcando che nella sua “Storia” parla, infatti, di una riunione del popolo, convocato dallo Stratigò Andrea, per ascoltare la lettura di alcune lettere reali: “…litteras  recipiens stratigotus jussit ad Ecclesiam Novam popolum convenire, ut eas faceret coram universis civibus recitari”. Tale asserzione trova conferma da una transazione dello stesso anno nel tabulario della Cattedrale, tra l’arcivescovo Nicola ed i canonici che già si affrettavano per avere il tempio in “oblacione”.

La consacrazione, comunque, avvenne con ritardo il 22  settembre del 1197 sotto il pontificato di Celestino III, essendo arcivescovo il benedettino Berardo Berzio o Bertino, come riportato in un antico breviario gallicano, alla presenza dell’imperatore Enrico VI e della regina Costanza d’Altavilla, sua moglie. Il ritardo nella consacrazione è spiegato dallo storico messinese Domenico Puzzolo Sigillo a causa di un disastroso terremoto che, nel febbraio del 1169, colpì in particolare Catania e Messina, con l’aggiunta di un forte maremoto (la scultura più antica del Duomo, infatti, è quella ubicata nel transetto, cioè, la lastra sepolcrale dell’arcivescovo Riccardo Palmer del 1195, ciò che testimonia ulteriormente come l’edificio chiesastico fosse già utilizzato da tempo) .

La dedicazione o consacrazione di una chiesa, in quel periodo, seguiva un rituale particolarmente suggestivo: l’arcivescovo o il vescovo eseguivano dei movimenti ad X sul pavimento, marcando così l’iniziale della parola “Xristòs” e significando la presa di possesso del luogo consacrato da parte di Cristo. Subito dopo la dedicazione, il tempio veniva aperto al culto con la celebrazione della prima messa.

Architettonicamente e tipologicamente, il Duomo sorge su una pianta basilicale a tre navate, in cui la forma del T è nettamente individuata, tripartito da una doppia fila di 13 colonne, su cui impostano le arcate ogivali della nave centrale, e concluso da tre absidi semicircolari (prima del 1908 le colonne erano monolitiche di granito d’Egitto, ritenute appartenenti al Tempio di Nettuno al Faro. Oggi sono in cemento armato rivestito di marmo artificiale. Nell’ordine superiore dell’abside maggiore, sono incastrate steli con caratteri egizi, del tardo periodo romano, messe in luce fin dal 1902 quando si iniziarono i restauri dei mosaici). Tale impianto venne codificato dallo stesso Gran Conte Ruggero il Normanno in un diploma dato in Itala nel 1092, rilasciato all’Abate Gerasimo e nel quale, concedendo ai monaci dell’Ordine di San Basilio la facoltà di edificare la chiesa e il monastero dei Santi Piero e Paolo, ne prescrisse l’obbligo di seguire liturgicamente il tipo latino a pianta basilicale.

Nell’ultimo periodo della dominazione sveva venne portata a compimento la decorazione del soffitto ligneo che era stata iniziata nel tardo periodo normanno o agli inizi di quello svevo. Le maestranze che la eseguirono, si rifecero a schemi arabeggianti nella fascia a stelle rincassate della parte centrale, e, a schemi bizantini, nelle sette figurazioni. Anche qui si potrebbe ripetere ciò che un monaco del XII secolo, Filogato, ebbe a scrivere per il soffitto della Cappella Palatina e cioè che questa parte ci dà il firmamento, “quando ad aere sereno comparisce gremito da tante lucide stelle”. Queste decorazioni subirono un primo danneggiamento nel corso di un incendio sviluppatosi nel 1256 e furono fatti restaurare da Manfredi di Svevia.

All’arcivescovo Guidotto de Habiate, milanese di Abbiategrasso, si deve l’inizio di un periodo di lento ma continuo arricchimento del Duomo che, a partire dal 1304 e fino al 1333, si protrasse poi fino a tutto il Cinquecento. I tre mosaici absidali, in particolare, derivati da modelli iconografici bizantini, vennero iniziati nel corso del ‘300 e portati a compimento soltanto nei primi anni del ‘500. Essi raffigurano rispettivamente, nell’abside maggiore, il “Cristo Pantocratore” benedicente alla maniera greca con al fianco sinistro re Pietro II d’Aragona in ginocchio e l’Arcangelo Gabriele, e, in piedi, Giovanni Battista; al fianco destro, genuflesse, le figure dei donatori, l’arcivescovo Guidotto e Federico II d’Aragona, seguite dall’Arcangelo Michele e dalla Vergine in piedi. Nell’abside laterale a sinistra di chi guarda (dove è ubicata la cappella del Santissimo Sacramento, progettata da Jacopo del Duca nel sec. XVI), l’unico mosaico originale dei tre raffigura la Vergine in trono col Bambino, tra gli Arcangeli e le regine Eleonora ed Elisabetta e le sante siciliane Agata e Lucia. In quella di destra è raffigurato S. Giovanni Evangelista in trono, con un libro chiuso in mano, tra S. Nicola e S. Basilio. Ai lati sono genuflessi Ludovico d’Aragona e Giovanni duca di Randazzo.

Al tempo dell’arcivescovo Guidotto, il cui monumento funerario fu realizzato dallo scultore senese Goro di Gregorio nel 1333,  è anche da ascrivere la realizzazione del paramento della facciata a tarsie marmoree a fasce policrome orizzontali, ultimato nel 1640, e l’inizio dei lavori di costruzione dei corpi addossati sui fianchi nord e sud della Cattedrale. Il corpo meridionale conserva ancora il suo carattere tre-quattrocentesco ed una magnifica finestra bifora gotico-catalana coeva, con due ogive raccordate tra loro da una forma inflessa per formare quel caratteristico occhio romboidale, come nelle finestre del Palazzo Corvaja di Taormina.

In un arco temporale che va dalla fine del Trecento – epoca contraddistinta dalla corrente artistica denominata “gotico fiorito” e “gotico internazionale” – alla fine del Quattrocento, si situa il portale principale che rappresenta la sintesi stilistica di questi due secoli di capitale importanza nella storia dell’arte. Il Trecento è felicemente presente nel carattere iconografico delle sculture a bassorilievo, negli stemmi araldici degli Aragona di Sicilia  sull’architrave e nel complessivo impianto strutturale del portale attribuito all’abate Antonio Baboccio da Piperno (1351-1435?).                           

Il Quattrocento, invece, è rappresentato dalla cuspide marmorea sovrastante, con all’interno un medaglione circolare raffigurante una già “toscana” e rinascimentale “Incoronazione della Vergine”, eseguita dal bergamasco Pietro di Bonate o de Bonitade a partire dal 1468 e ultimata nel 1477. Nel 1534, nella lunetta, sarà collocata la “Vergine col Bambino” dello scultore carrarese Giovan Battista Mazzolo. I due portali laterali, in stile tardo gotico, sono stati in parte rimaneggiati nel sec. XVI. Del Quattrocento sono anche il monumento funerario detto dei “Cinque Arcivescovi” e lo splendido altorilievo raffigurante “S. Gerolamo in penitenza”. 

Nel 1520 si dava inizio alla costruzione di una torretta scalaria, ultimata nel 1528. Ubicata sull’angolo interno in prossimità del portale di sinistra, entrando in Cattedrale, da essa si accedeva al campanile prima del terremoto del 1783 che lo dimezzò in altezza. Da documenti risalenti al ‘500 si apprende  che il Duomo era affiancato da un campanile – già esistente in epoca normanna – considerato, allora, come il più alto di tutta la Sicilia (361 palmi pari a circa 90 metri) e progettato, su incarico del Senato, da Martino Montanini. 


La Cappella delle Reliquie alle spalle dell''altare maggiore

E ancora nel Cinquecento il toscano Giovan Angelo Montorsoli (1506-1563), chiamato a Messina per realizzare la frontistante fontana di Orione, disegnava una splendida pavimentazione interamente a rabeschi geometrici in marmi policromi e porfido con la fascia centrale di somma eleganza, ancora esistente sotto l’attuale pavimento. Nel 1550, ideerà il monumentale “Apostolato”(12 statue marmoree degli apostoli), ricostruito dopo il terremoto del 1908. Insieme all’”Apostolato”, all’inizio della navata laterale destra, si conserva la pregevole statua marmorea raffigurante “S.Giovanni Battista”, che Antonello Gagini scolpì nel 1525. Di questo periodo sono, anche, le superstiti sculture dello zoccolo del monumento all’arcivescovo Pietro Bellorado, di Giovan Battista Mazzolo (1513); il monumento dell’arcivescovo Antonio La Lignamine del Gagini e del Mazzolo (sec. XVI), in parte rifatto; l’arca marmorea di monsignor Giovanni Retana, eseguita da Rinaldo Bonanno (1581).

Intorno al 1535, Polidoro Caldara da Caravaggio (1499?-1543) progettava i due portali laterali eseguiti dagli scultori Domenico Vanello, il destro, e Rinaldo Bonanno, il sinistro. Altri abbellimenti ed ornamenti vennero introdotti nel 1585 sotto lo Stratigò don Filippo Borgia e, ancora nel Cinquecento, lo scultore ed architetto carrarese Andrea Calamech (1524-1589) realizzava il monumentale pulpito marmoreo (ricostruito dopo il 1908) con raffigurati i quattro grandi eresiarchi della storia: Lutero, Zwingli, Calvino e Maometto.

Simone Gullì, l’architetto della prima Palazzata del 1622, il 30 settembre 1626 prendeva l’appalto della Cappella della Madonna della Lettera. Si realizzava così su suo progetto, dal 1628 al 1657, il monumentale baldacchino in rame dorato a fuoco sull’altare maggiore, con storie in rilievo della Sacra Lettera (irrimediabilmente danneggiato dall’incendio causato dai bombardamenti del 1943 e sostituito da una copia, conserva un rame sbalzato e dorato di Pietro Juvarra (1660) che raffigura “L’Ambasceria dei messinesi alla Vergine”). Sessant’anni dopo, nel 1682, a spese dell’arcivescovo don Giuseppe Cicala e Statella, venivano condotti corposi restauri nella Cattedrale. Autori furono gli architetti Innocenzo Mangani e Andrea Gallo, ambedue sensibili al fascino dell’arte di Cosimo Fanzago con cui avevano lavorato a Napoli nel 1631. L’architetto Gallo, in particolare, lavorò alla decorazione della facciata esterna, aprendovi tre finestre ed archi goticheggianti mentre l’interno venne ricoperto di stucchi.   

Il terremoto del 5 febbraio 1783 faceva crollare gran parte del campanile e la parte alta della Cattedrale. Gli urgentissimi restauri vennero affidati all’architetto Giovanni Francesco Arena che abolì le finestre aperte dal Gallo e pose una sola bifora; raccordò i due ordini della facciata con volute; sostituì ai pinnacoli i vasi da fiori e costruì anche la cupola che venne a modificare le proporzioni del transetto.

Tra il 1802 e il 1804, l’abate messinese Antonio Maria Jaci (1739-1815) realizzò nel pavimento una complessa e perfetta meridiana, una delle cinque più importanti esistenti in Italia (le altre si trovano a Firenze nella cupola di S. Maria del Fiore; a Bologna nella chiesa di S. Petronio; a Milano nel Duomo e a Roma alle Terme di Diocleziano). Essa, conservata integralmente sotto l’attuale pavimento rifatto dopo i bombardamenti del 1943, lo attraversa in linea obliqua tra il quarto arco di destra, entrando, ed il quinto di sinistra. Secondo la studiosa Carla Fortino Donato, risulta essere “una delle migliori meridiane del mondo, che in bellissimi marmi, indica la nascita del sole, l’ora del mezzogiorno, il segno dello Zodiaco, la declinazione del sole, il grado dell’eclittica”.

Altri restauri furono banditi nel 1858, per la ricostruzione del campanile che dopo il sisma del 1783 si presentava come un troncone miserando. L’incarico venne affidato agli architetti Leone Savoja e Giacomo Fiore che inserirono elementi decorativi neogotici, secondo il gusto imperante all’epoca, all’esterno delle absidi. Fecero abbattere i resti del campanile e, al suo posto, innalzarono due campaniletti di tipo gotico a destra e a sinistra dell’abside maggiore.

Il terremoto del 28 dicembre 1908 fece crollare tutte le parti alte della Cattedrale, parte della facciata e l’abside laterale destra col mosaico raffigurante S. Giovanni. L’incarico per la sua ricostruzione venne affidato al prof. Aristide Giannelli della scuola d’applicazione di Roma, per la parte statica, e, all’arch. Francesco Valenti, Soprintendente ai monumenti di Sicilia, per la parte artistica. I lavori venivano quindi avviati, nel 1923, dall’arcivescovo Angelo Paino e il 15 agosto 1929, nel corso delle solenni celebrazioni per l’Assunta, la Cattedrale ricostruita veniva aperta al culto dopo essere stata consacrata, il 13 agosto dello stesso anno, dal legato pontificio di Pio XI, cardinale Alessio Ascalesi.

La notte del 13 giugno 1943, altre profonde ferite venivano inferte alla Cattedrale: i bombardamenti aerei provocarono un vasto incendio che si spense solo verso le 4 del mattino del giorno successivo causando, altri, ingenti danni. Nell’agosto del 1947, il Duomo nuovamente restaurato veniva riaperto al culto, e, dal Papa Pio XII, insignito del titolo di Basilica.

IL CAMPANILE

L’originaria edificazione risale ad epoca normanna, e, parzialmente rovinato nel terremoto del 1783, il Senato di Messina lo fece accorciare e coprire con cupola.

Nel 1863 fu abbattuto definitivamente perché pericolante. Dopo il terremoto del 1908, l’Arcivescovo Paino volle ricostruirlo con la conformazione  originaria affidando l'incarico all’arch. Francesco Valenti, per la parte architettonica e all’ing. Aristide Giannelli, per quella statica, di progettarlo con un’altezza di 60 m., 48 dei quali destinati alla torre e 12  al corpo della cuspide. La base quadrata misura 9,60 m. per lato.

Il campanile contiene una complessa figurazione meccanica che, a mezzogiorno, rievoca alcuni episodi della storia locale ed un grande orologio astronomico, realizzati nel 1933 dai fratelli Ungerer di Strasburgo. Venne inaugurato il 15 agosto 1933 ed è considerato tra le curiosità più belle del mondo.

Nella facciata che guarda la piazza, si hanno:

      -    un grande orologio elettrico di m. 3,50 di diametro;

  • nel 4° piano, un leone rampante alto 4,00 m. che per tre volte agita l’asta con il vessillo crociato di Messina, muove la coda e ruggisce. Rappresenta la forza della città sin dai Vespri Siciliani;
  • nel 3° piano, un gallo alto 2,20 m. che per tre volte allarga le ali ed emette il suo canto. Rappresenta l’intelligenza e l’operosità. Ai suoi lati vi sono le statue di Dina e Clarenza alte 3,00 m., due eroine che durante i Vespri del 1282 salvarono la città: le due statue, snodabili dal busto in su, suonano le campane ogni quarto d’ora ed ogni ora, nell’arco delle ventiquattrore. Sullo stesso piano è collocato un gruppo di figure che rappresentano Maria di Nazareth e l’ambasceria messinese che Le rende omaggio nell’anno 42, ricevendone una lettera di protezione della città scritta personalmente dalla Madonna;
  • nel 2° piano, nella parte superiore, sono raffigurate quattro scene bibliche: la Natività di Gesù con i pastori; San Giuseppe, Maria e l’arrivo dei Magi; la Pasqua di Resurrezione; la Pentecoste con i dodici Apostoli e la colomba, simbolo dello Spirito Santo. Ogni gruppo di figurazioni cambia in un anno, secondo il tempo della liturgia. Nel quadro sottostante si vede volare una colomba che, sul luogo detto della Caperrina, segna i limiti dell’area sulla quale la Madonna volle che si costruisse una chiesa col titolo di Nostra Signora della Vittoria il 12 giugno 1294, oggi Madonna di Montalto. Al termine del volo, si vede sorgere il Santuario;
  • al 1° piano, nel primo riquadro, è raffigurato il corso della vita umana nelle quattro fasi principali: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e la senilità. Le statue si muovono in progressione ogni quarto d'ora mentre la morte, posta al centro, alza e abbassa la falce. Nel quadro sottostante sono simboleggiati i giorni della settimana in sette carri guidati da Apollo, per la Domenica, e, in successione, da Diana, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno. Ai carri sono aggiogati un cavallo, un cervo, una pantera, una chimera, una colomba e ancora una chimera.

Nella facciata che prospetta sul sagrato si trovano i meccanismi astronomici :

  • nel 3° piano, una sfera simboleggiante il globo lunare, metà dorata e metà nera, che si evolve giornalmente seguendo le fasi lunari. Essa ruota attorno al proprio asse, e, per fare un giro completo, impiega 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e tre secondi, esattamente quanto impiega la luna per la sua rotazione;
  • al 2° piano, un planetario costituito da un grande anello di m.3,50 che riproduce il sistema solare e le figure dello zodiaco;
  • al 1° piano, la rappresentazione del calendario perpetuo di m.3,50 di diametro a cerchi concentrici, con segnati i 365 giorni dell’anno e sul lato interno i dodici mesi. Al centro splende il sole e, sopra, sono riposte tre stelle a semicerchio. Un angelo marmoreo, collocato sul lato sinistro, con una freccia indica l’anno, il mese e il giorno in corso. La data cambia automaticamente a mezzanotte.

Basilica S.Antonio

ll Santo Annibale Maria di Francia ebbe in dono nel 1910, dal papa San Pio X, una chiesetta in legno che andò distrutta in un incendio nel 1919. Dopo aver acquistato, nello stesso terreno del quartiere Avignone, alcune baracche in legno,  diede incarico all’ingegnere Letterio Savoia di progettare una chiesa con annesso Orfanotrofio maschile.

La chiesa, costruita dalla ditta Interdonato ed inaugurata il 13 giugno 1922, si presenta in stile neo-classico e di buon effetto architettonico, con il frontone sopra la loggia ricavata da una doppia fila di colonne con capitelli dorati.

Sul timpano triangolare risalta, su una base di sette metri, la statua del Sacro Cuore di Gesù tra due angeli opera del decoratore Giuseppe D’Arrigo. Interessante anche il frontone semicircolare, sopra il portale centrale, che è arricchito da una immagine di S. Antonio.

L’interno è a tre navate, e, oltre alla statua raffigurante "S. Antonio" del‘900, si conservano opere  del palermitano Rosario Spagnoli  che, nella navata centrale, raffigurò scene della vita di S. Antonio e, nella parete di sinistra,  scene della vita della Madonna.

La chiesa custodiva anche le spoglie mortali del Santo Annibale Maria di Francia, oggi traslate in una cripta appositamente realizzata, in adiacenza al tempio.

Cattedrale del SS. Salvatore

In Via San Giovanni Bosco, parallela al Corso Cavour lato monte, sorge la Cattedrale del SS. Salvatore.  

Fino al 1883 Messina aveva due istituzioni  religiose separate, l’Arcidiocesi Vescovile e l’Archimandritato Basiliano, rette da un Arcivescovo e da un Archimandrita. Dopo il 1860 le due istituzioni vennero unificate. Oggi, l’Arcivescovo esercita tutt'e due le funzioni .

La prima Cattedrale del SS. Salvatore fu fondata dal Gran Conte Ruggero il Normanno ed eretta da suo figlio Ruggero II nella parte terminale della penisola falcata di San Raineri. Fu

abbattuta nel 1535 per ordine di Carlo V,  che aveva autorizzato il Senato a rinforzare le mura delle fortificazioni militari del porto facendo costruire, sulla punta della falce, il Castello del SS. Salvatore.

Nel 1549 i Padri Basiliani si trasferirono a nord della città, nell’area della “Spianata dei Greci” dove oggi sorge il Museo Regionale e lì costruirono una nuova chiesa ed un nuovo convento. Distrutti questi edifici dal terremoto del 1908, Mons. Paino riuscì ad ottenere dal Comune un terreno molto ampio dove costruire la nuova Cattedrale dell’Archimandritato, progettata dall’ ing. D’Amore e  realizzata dalla ditta Piazzoli.

L’attuale edificio comprende la nuova Cattedrale dell’Archimandritato e un’ istituzione religiosa con scuole, cinema, palestre e oratorio , gestita dai Padri Salesiani di San Giovanni Bosco.

La chiesa è a pianta rettangolare, lunga mt. 105 e larga mt. 56. Il prospetto si caratterizza per un alto timpano triangolare entro il quale risalta una figura di Cristo, opera del messinese Ovidio Sutera, sormontata da una cupola che fa da baricentro a tutto il complesso. L’interno è a tre navate divise da una doppia fila di colonne con stucchi  e decorazioni barocche.

Si conservano opere pittoriche del Mongari, Stramondo, Crida, Barone ed Impallomeni. 

 

Chiesa dello Spirito Santo

Da piazza del Popolo si perviene alla Chiesa dello Spirito Santo, voluta da Alfonso il Magnanimo nel 1452 accanto al Monastero femminile fondato nel 1291 da una dama messinese, Francesca Boccapicciola, sua prima abbadessa. Il monastero godette dei  privilegi di Federico III d’Aragona nel 1303.

Il tempio, inizialmente, fu edificato piccolo e privo di decorazioni, ma, nel tempo, il La Falce e il Tuccari vi realizzarono pregevoli stucchi  in stile barocco, mentre  pittori famosi come Riccio, che dipinse la "Discesa dello Spirito Santo", Paladino, che  dipinse "San Bernardo"  e Filocamo, la "Madonna con San Bernardo", arricchirono notevolmente la chiesa.

Nel 1867 il monastero fu confiscato dallo Stato e dato in consegna al Comune, che, nel 1895, lo affidò al Canonico Annibale Maria di Francia che lo fece restaurare e adibire a sede di una congregazione di suore, con il compito di assistere le bambine orfane e bisognose.

Nel 1908 il monastero andò quasi distrutto e fu lo stesso Canonico di Francia a curarne la ricostruzione, affidando all’ing. Pasquale Marino l’incarico di redigere

un progetto di riedificazione.

Morto il Canonico di Francia nel 1927, fu riaperto al culto e benedetto da Mons. Angelo Paino.

La sua ricostruzione vide impegnati lo stuccatore e decoratore Giuseppe Fiorino, che

rimodellò gli stucchi alla maniera antica, e, cioè, realizzando tutto sul posto senza forme; il marmista Salvatore Mangano ricostruì gli altari, mettendo assieme i pezzi tra quelli ritrovati sotto le macerie e adattando quelli   mancanti, con altri appositamente ordinati.

Il pittore Ovidio Fonti rifece la "Discesa dello Spirito Santo", eseguendo anche gli affreschi del soffitto. Sul campanile della chiesa è stata poi eretta una statua raffigurante S. Antonio.

Recentemente le suore Figlie del Divino Zelo, dopo un’attenta ricerca nel vecchio monastero, hanno fatto riportare alla luce con l’eliminazione di tutti gli intonaci esistenti, le antiche mura in pietra risalenti al sec. XIV e due ambienti facenti parte di eremitaggi già esistenti in epoca normanna, popolarmente intesi “le camerelle”. 

Chiesa e Monastero di Montevergine

Sulla via XXIV Maggio, l’antichissima strada del Dromo, poi “Mastra Rua” e quindi “dei Monasteri”, sorge imponente il monastero di Montevergine che da oltre cinque secoli custodisce il corpo incorrotto della sua fondatrice, Santa Eustochia Calafato, che dall’alto dell’altare maggiore irradia, oggi come ieri, d’intensa spiritualità la città dello Stretto.

Iniziato ad edificare nel 1457, quando Eustochia era monaca professa del monastero di Basicò, il complesso religioso venne ampliato in diversi periodi ed in particolare nel 1502 da don Arrigo Henriquez, grande Armirante di Castiglia.

Fu successivamente ampliato e notevolmente modificato nella seconda metà del sec. XVII; la chiesa venne interamente rifatta dall’architetto Nicola Francesco Maffei, con la collaborazione del figlio Antonino, mentre il monastero, nello stesso periodo, venne realizzato da Andrea Suppa.

In entrambe le opere si può riconoscere l’influenza del manierismo michelangiolesco di Jacopo Del Duca.

“Nell’interno – scrive Maria Accascina – ad unica navata, vi è uno slancio insolito, commentato dal doppio ordine di paraste in marmo a colore filettate di bianco ed un riserbo decorativo, invece della fastosa decorazione a mischi e rabischi che allora furiosamente dominava”.  Il terremoto del 1908, purtroppo, faceva irrimediabilmente cadere anche gli stupendi affreschi che Letterio Paladino dipinse nel 1736. La chiesa venne ricostruita alla quota originale, mentre il monastero fu ribassato di 4 metri. I lavori ebbero inizio l’8 giugno 1927 su progetto dell’ing. Francesco Barbaro dell’Ufficio tecnico arcivescovile ed eseguiti dall’impresa dei fratelli Cardillo.

Durante la ricostruzione, furono inseriti gran parte degli elementi decorativi recuperati dalle macerie e lo stesso imponente portale originario, sormontato dal finestrone timpanato, fu ricollocato nell’identico sito. L’inaugurazione, in forma solenne, avvenne il 22 agosto 1929, nella ricorrenza del 444° anniversario dell’ostensione del corpo incorrotto di Santa Eustochia.

Cristo Re

     

E’ ubicato sulla circonvallazione della città e si raggiunge percorrendo il Viale Principe Umberto, il Viale Regina Elena o il Viale Boccetta .  Il tempio, a pianta centrica, si sviluppa su una superficie di oltre 600 mq. e si  eleva su una altura che, panoramicamente, è una delle più belle di Messina, anticamente sede del Castello di Roccaguelfonia  o Matagriffone. Si presume che l’area sia stata l’acropoli della città ai tempi dei greci e dei romani, successivamente eletta residenza del governatore e,  con i normanni e gli aragonesi, Palazzo Reale. Fu sede del Senato di Messina, e, dal 1838 al 1909, carcere distrettuale. 

Il Tempio-Sacrario è stato progettato dall’ing. Francesco Barbaro ed inaugurato nel 1937. Sulla torre ottagonale superstite del castello di Matagriffone, nell’agosto 1935, è stata collocata una campana di 130 qli. fusa con il bronzo dei cannoni sottratti ai nemici durante la Prima guerra mondiale.

A pianta ottagonale regolare, è sormontato da una cupola segnata da otto costoloni alla base dei quali, sulla cornice, sono collocate altrettante statue in bronzo, modellate dallo scultore romano Teofilo Raggio e fuse dalla Fonderia Artistica Fiorentina:  raffigurano le virtù della Fede, Speranza, Carità, Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza e quella della Religione, che le comprende tutte.   

Sopra la cupola si erge un lanternino alto sei metri con in cima una sfera di un metro di diametro sulla quale s’innalza una croce. Il frontale d’ingresso è ornato da due figure che rappresentano l’Italia e Messina, mentre, nel pianerottolo della scalinata marmorea a tenaglia, la scultura di “Cristo Re” è opera di Tore Edmondo Calabrò.

All’interno, al centro della cripta, è collocato un sarcofago in marmo sul quale giace la figura di un soldato, opera di Antonio Bonfiglio. Nelle pareti sono ricavati un migliaio di loculi contenenti le salme dei caduti in guerra.