Santa Lucia del Mela

 

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Santa Lucia del Mela è situata sul versante nord dei monti Peloritani a 45 km. da Messina. Ha una superficie di 83 kmq. e conta 4.700 abitanti.

L'abitato, di tipologia medievale, si sviluppa sul dorso di un colle dominato dalla mole possente del Castello arabo che, secondo le approfondite e dotte ricerche di padre   Giovanni Parisi, fu iniziato a costruire nell'anno 838 per essere ultimato nell' 840 o 841.

All'interno della struttura fortificata è da visitare la chiesa Madonna della Neve, iniziata ad edificare nel 1673 e che custodisce la stupenda statua marmorea raffigurante la "Madonna della Neve", scolpita da Antonello Gagini nel 1528-29.

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Dopo aver gustato l'incomparabile panorama che si gode dal colle, si può raggiungere, attraverso le viuzze medievali del centro storico, la piazza del Duomo dove sorgono il Palazzo Vescovile e la Chiesa Madre. Costruzione medievale notevolmente rimaneggiata nel 1613, il Palazzo Vescovile subì gravi danni  nel terremoto del 1783 e fu successivamente  ricostruito conservando il bel portale bugnato d'ingresso (sec. XVII). All'interno è da visitare il ricco Museo Diocesano dove sono conservate importanti opere d'arte, fra le quali, una tavola su fondo oro raffigurante la "Madonna Cretese" di stile bizantino(sec. XV); l'"Annunciazione e la Purificazione", tele di scuola napoletana settecentesche; "San Bartolomeo Apostolo", frammento del dipinto di Filippo Jannelli (1691); l' "Annunciazione della Vergine", polittico scomposto che comprendeva "S. Giovanni Battista" e "S. Francesco di Paola", attribuito ad Antonello de Saliba (sec. XVI) e la "SS. Vergine" (?), frammento della "Purificazione" di Alonso Rodriquez (1620). La Chiesa Madre, di fondazione normanna (1094), fu rifatta nel 1607 e nel prospetto principale conserva lo stupendo portale maggiore marmoreo, opera del lombardo Gabriele de Baptista (sec. XV).

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All'interno, sono notevoli un Fonte Battesimale e un'Acquasantiera, opere di Gabriele de Baptista (1484); l'"Immacolata", dipinto di Filippo Jannelli (1676); un "S. Biagio" di Pietro Novelli (1639); una "Madonna della Presentazione" (sec. XVII); un "Martirio di S. Sebastiano" (sec. XVII); un "S. Marco" dipinto da Deodato Guinaccia(1581); una statua marmorea raffigurante "S. Lucia", del Gagini (1512); un "Ecce Homo", statuetta in alabastro rosato attribuita ad Ignazio Marabitti (1775) e uno stupendo Coro ligneo intagliato, opera di Giovanni Gallina da Nicosia (1646). Da ammirare, in sacrestia, un eccezionale Reliquario della S. Spina in argento dorato, opera di orafo messinese (1300-1557).

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Dopo aver ammirato nel centro della piazza i resti di una fontana eseguita nel 1566 dal carrarese Domenico Calamech, sono ancora da visitare il suggestivo Chiostro del Convento Francescano (1622); i ruderi della chiesa di S. Michele, della quale rimane intatto il bel portale (1614) e che custodiva la statua marmorea di S. Michele Arcangelo, dello scultore e architetto Andrea Calamech (1572), oggi al Seminario del Castello; la chiesa del Sacro Cuore che incorpora il bellissimo chiostro  dell'antico Convento di Santa Maria di Gesù (sec. XVI) ed ospita varie opere d'arte, fra le quali, un fonte battesimale del Calamech (1577); una tela con i "Santi Cosma e Damiano" di Alonso Rodriquez (1620) e la "Madonna del Carmelo" dei  Filocamo (1718); la chiesa di S. Nicolò di Bari che conserva una statua marmorea di "S.

Nicolò di Bari" di scuola gaginiana (1570); la chiesa dell'Annunziata (sec. XIV) con un bel campanile eretto nel 1461 e portale principale datato 1587, e, infine, l'elegante fontana settecentesca in piazza Borgo, con lo stemma marmoreo della Casa d'Asburgo in bassorilievo.                                  

 

Santo Stefano Camastra

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Santo Stefano di Camastra è un comune italiano di 4.648 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia.
È un comune del Parco dei Nebrodi distante 100 km da Palermo e 130 km da Messina, quasi al confine con la città metropolitana di Palermo.

S. Stefano prende la propria denominazione dalla chiesa del monastero benedettino di S. Croce di Santo Stefano in Val Demone (santuario sorto in periodo normanno, meta di pellegrinaggi). Fino al 1682, data di una disastrosa frana, al nome di Santo Stefano si aggiunge quello "di Mistretta". L'appellativo "di Camastra" è stato assunto per onorare la memoria di Giuseppe Lanza, duca di Camastra, fautore della ricostruzione del nuovo centro.

Il primo nucleo del casale si forma come aggregazione di un gruppo di vassalli e di villani che dipendono dal Monastero di S. Stefano. Per tutto il periodo in cui perdura nel suo stato giuridico di casale, è feudo ecclesiastico alle dipendenze dell'Abbazia della SS. Trinità di Mileto fino al 1454 ed alla dipendenze dell'Abbazia di S. Anastasia di Castelbuono dal 1454 al 1683. Nel 1639 viene concesso il titolo di principe di S. Stefano di Mistretta ad Antonio Napoli, colpendo in tal modo il diritto di signoria dell'abazia di S. Anastasia. Al titolo si aggiunge in particolar modo l'amministrazione dei beni del priorato di S. Anastasia, che prevede la possibilità di riscuotere le gabelle e l'acquisizione dell'esercizio dei diritti di baulia, catapania e dogana. Dal secolo XI, data della sua presunta edificazione, al XVII il casale mantiene la denominazione di Santo Stefano di Mistretta, ad indicare uno stretto legame al più importante centro di Mistretta. La denominazione perdura fino alla frana del 1682, dovuta agli ampi smottamenti di terra provocati da piogge torrenziali.

Rovinato il vecchio paese, il nuovo Centro abitato sorge nel 1683 per volontà del Duca di Camastra, sotto la cui signoria si trova ad essere. Il principe Giuseppe Lanza, duca di Camastra, e la principessa donna Maria Gomez de Silvera chiedono al re la licentia aedificandi, che viene concessa il 30 marzo del 1683, dando vita ad un nuovo abitato dal caratteristico impianto urbanistico geometrico. Il disegno urbanistico fu dato dall'ingegnere militare Carlos de Grunenbergh, collaboratore del duca di Camastra e progettista di numerose fortificazioni in Sicilia. De Grunenbergh utilizzò uno schema che si presenta come un rombo circoscritto in un quadrato. Don Giuseppe Lanza da questo momento può fregiarsi anche del titolo di principe della Terra e Stato di S. Stefano di Mistretta. Il centro assume ufficialmente la denominazione di S. Stefano di Camastra a partire dal 1812, anno in cui in Sicilia viene promulgata la Costituzione e che segna l'inizio della storia dell'attuale comune.

 

Il cimitero vecchio sorge a poco meno di 2 km dal centro storico della cittadina,è situato tra filari di cipressi ed accoglie quasi 100 tombe a forma di cippi rettangolari. Venne utilizzato tra il 1870 e il 1880, quando fu aperto il nuovo cimitero. Sulle tombe si possono contare circa 75 tipi di mattonelle, tutti con decori diversi. A causa del tempo trascorso, alcune piastrelle si staccarono e sul retro di queste, conservate all'interno del museo delle ceramiche di Palazzo Trabia, si possono leggere i nomi dei più vecchi artigiani del paese.

È sede di una stazione ferroviaria sulla linea Palermo-Messina e di uno svincolo per l'autostrada A20 che collega Palermo con Messina. All'interno del centro abitato, da agosto 2011, è attivo un servizio di linea urbana con una navetta comunale che passa per tutte le strade e contrade del paese in cui ci sono le varie fermate.
La città è servita dalla stazione di Santo Stefano di Camastra-Mistretta.

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Fino al 1682 la città di Santo Stefano sorgeva in una zona più collinare e la popolazione viveva di agricoltura e pastorizia. Ma a causa delle forti piogge e di una rovinosa frana, la città venne fortemente danneggiata ed il nuovo centro abitato fu ricostruito più a valle, vicino la costa. Qui gli abitanti trovarono l’argilla, materiale che fu essenziale per la costruzione delle nuove abitazioni. Ben presto cominciarono a sorgere le prime botteghe artigianali che realizzavano oggetti di utilizzo quotidiano e pratico. 

Ma il vero e proprio boom della ceramica ha inizio dalla seconda metà del ‘900, quando iniziarono a circolare le prime automobili.

L’autostrada ancora non c’era (è stata ufficialmente inaugurata nel 2004) e per andare da Palermo a Messina occorreva per forza di cose attraversare Santo Stefano. Gli automobilisti incuriositi si fermavano ad ammirare i numerosi oggetti e ben presto si sparse la voce.

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L’autostrada è stata ufficialmente inaugurata nel 2004 e da allora non è più “obbligatorio” passare da queste parti, ma questo non ha scalfito né la fama né le volontà degli acquirenti che continuano a prediligere la ceramica di Santo Stefano.

La spiaggia, che alterna tratti di sabbia a tratti più ciottolosi, è tra le più belle della zona. A pochi km ci sono anche le spiagge di Tusa (Bandiera Blu), Caronia, Finale di Pollina e Capo D’Orlando.

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Ma per conoscere meglio la storia sia il legame di questa città con la ceramica, si deve visitare il Museo della Ceramica di S.Stefano di Camastra, ubicato all’interno di Palazzo Trabia.

Le sue sale, suddivise per aree tematiche, con le ceramiche tradizionali stefanesi, quelle provenienti da altre città, e quelle più contemporanee e moderne.

Affacciandovi dall’ampio terrazzo panoramico godrete della splendida vista sulle isole Eolie.

 

Spadafora

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Probabilmente risalente ad epoca pre-romana (come farebbe supporre una fornace per la produzione di laterizi, scoperta nel 1898) tuttavia, il vero e proprio insediamento urbano, si verifica tra la fine del sec. XVIII e gli inizi del sec. XIX. 

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Nel 1817 diviene Comune autonomo e nel 1820 vi viene istituito il primo Ufficio Postale, con decreto di Ferdinando I di Borbone del 10 novembre 1819. Il monumento più importante di Spadafora è il Castello, realizzato globando, con l’aggiunta di quattro baluardi angolari, una torre medievale di avvistamento e difesa che era stata oggetto di ristrutturazione dell’architetto toscano Camillo Camiliani.

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Tale trasformazione in castello-residenza nobiliare avvenne tra il XVII e il XVIII secolo, e il maniero fu proprietà degli Spadafora e successivamente dei Samonà. Oggi è gestito dalla Pro Loco che vi allestisce mostre e diversi eventi culturali.

Tindari

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Sorge su un capo roccioso, sulla costa tirrenica dei monti Peloritani. Il centro abitato conta 112 abitanti e un dislivello dal mare di 279 metri. Fa parte del comune di Patti.

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Famosa per il Santuario dedicato alla cosiddetta "Madonna Nera", un simulacro ligneo di epoca bizantina qui trasportato al tempo di Leone III  Isaurico ( l'imperatore d'Oriente che promulgò l'editto con cui si proibiva il culto delle sacre immagini), Tindari venne fondata da Dionisio I tiranno di Siracusa, nel 396 a.C. col nome di Tyndaris.  In epoca romana venne trasformata nell'assetto urbanistico con l'edificazione di importanti edifici pubblici, e, nel I secolo d.C., una porzione della città fu distrutta precipitando sul mare sottostante in seguito ad un catastrofico evento franoso. Venne, poi, totalmente rasa al suolo dagli arabi verso il IX – X secolo.

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Della Tindari romana, gli scavi archeologici hanno messo in luce il tessuto urbano a scacchiera, con isolati delimitati da cardini secondari e decumani principali. Sulle strade si affacciavano botteghe o "tabernae" e magazzini, case ed un'abitazione, in particolare, di famiglia agiata, decorata con mosaici pavimentali ed annesso un piccolo complesso termale (seconda metà I secolo a.C.) . Sui pavimenti dei locali delle terme, pregevoli mosaici decorano gli spogliatoi ( "Toro", " Trinacria" e "pilei dei Dioscuri", simbolo di Tyndaris); il frigidarium ("lotta fra i due atleti Verna e Afer", "delfini", " centauro marino") e il tepidarium (tondo con "Dionisio e Pantere").

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La vicina Basilica, grande sala di riunione di uso tipicamente romano, risale all'età tardo – imperiale romana ed era coperta da imponenti volte a botte. Addossato alle colline e sovrastante al decumano superiore, è ubicato il teatro con cavea di originaria impostazione greca del III e II secolo a.C.. Divisa in 11 cunei e con un diametro di 63 metri, la cavea è, secondo la tradizione ellenica, rivolta verso il mare Tirreno e le Isole Eolie, quali quinte scenografiche naturali.  Le mura difensive di fortificazione, erette nel III secolo a.C. e modificate in epoca romana, cingevano il colle e di esse rimangono 6 brani  significativi del tratto meridionale con le torri e la porta principale.

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L'impianto urbanistico, risalente probabilmente all'epoca della fondazione della città, presentava un tracciato regolare a scacchiera. Si articolava su tre decumani, strade principali (larghezza di 8 m), correvano in direzione sud-est - nord-ovest, ciascuno ad una quota diversa, e si incrociavano ad angolo retto e a distanze regolari con i cardini, strade secondarie e in pendenza (larghezza 3 m).

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Uno dei decumani rinvenuti nello scavo, quello superiore doveva essere la strada principale della città: costeggia ad una estremità il teatro, situato più a monte e scavato nelle pendici dell'altura, e all'altra estremità sfocia nell'agorà, oltre la quale, nella zona più elevata, occupata oggi dal Santuario della Madonna Nera, doveva trovarsi l'acropoli.

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Oggi Tindari è anche luogo di devozione e pellegrinaggi per via del culto dell'antica Madonna nera che si tramanda da secoli.
Il Santuario di Tindari si trova all'estremità orientale del promontorio, a strapiombo sul mare, in corrispondenza dell'antica acropoli, dove una piccola chiesa era stata costruita sui resti della città abbandonata. La statua della Madonna Nera, scolpita in legno di cedro, vi venne collocata in epoca imprecisata, forse giunta qui dall'Oriente in seguito al fenomeno dell'iconoclastia, nell'VIII-IX secolo. La chiesa, distrutta nel 1544 dai pirati algerini, venne ricostruita tra il 1552 e il 1598 e il santuario venne ampliato dal vescovo Giuseppe Pullano con la costruzione di una nuova chiesa più grande che fu consacrata nel 1979. La festa del santuario si svolge ogni anno tra il 7 e l'8 settembre.

Nell'area archeologica, il piccolo museo-antiquarium conserva materiali fittili e preziosi corredi funerari rinvenuti durante gli scavi nelle necropoli greche e romane.  

Tusa

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Comune con 3.179 abitanti a 162 Km da Messina, sulle pendici settentrionali dei Nebrodi, sorge in una zona litoranea collinare, posta a 614 metri sopra il livello del mare.

Non si ha certezza sulle origini del nucleo abitato. Secondo alcuni studiosi sarebbe stata fondata subito dopo la distruzione dell’antica Halaesa fondata nel 403 a.C. da Archonides, tiranno di Herbita (le cui rovine sono state portate alla luce in un’area sita a nord-est di Tusa, gravitante sulla chiesa di Santa Maria di Palate), secondo altri, invece, in epoca bizantina fra il sec. VIII e il IX.

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Tipico centro urbano di età classico-ellenistica, Halaesa fu fiorente in epoca romana e bizantina fino ad essere distrutta durante l’invasione araba nel IX sec. d.C.. Gli scavi archeologici hanno consentito di individuare ed enucleare un lunghissimo tratto di cinta muraria (quello orientale) con torrioni quadrangolari e due porte di accesso, quella di sud-ovest e quella di sud-est. Le mura, collocabili al IV sec. a.C., perimetravano la città sui versanti sud, est e nord; quello occidentale era già protetto dalla difesa naturale dovuta alla particolare morfologia accidentata del terreno.

In posizione extra-moenia, secondo l’usanza del tempo, era ubicata la necropoli (città dei morti) ad est, dove è stato individuato un colombario di età romana. Nella zona rappresentativa del centro urbano, che aveva sviluppo longitudinale sud-nord secondo l’impianto urbanistico a scacchiera regolare ippodameo (da Ippodàmo da Mileto, filosofo, fisico ed architetto greco), sorgeva l’Agorà, la piazza pubblica dove si affacciavano gli edifici più importanti, lastricata e chiusa da portici.

 

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Sulla collina che sovrasta l’abitato, si trovano gli avanzi di un grande tempio, presumibilmente dedicato ad Apollo e citato nella cosiddetta “Tavola Alesina”, frammento di una planimetria catastale risalente al II sec. a.C. e andato, purtroppo, disperso.

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Tusa fu città feudale e dal 1408 al 1669, assoggettata al dominio dei Ventimiglia, quindi, dei Torre e dei Branciforte. Nella Chiesa Madre dedicata a Maria SS. Assunta che risale al sec. XV, con tre navate e un bel portale ogivale, si conservano un pregevole Coro ligneo intagliato del Seicento; due statue di Scipione Li Volsi (sec. XVII); un Trittico marmoreo del 1525 di Domenico Gagini; una Madonna col Bambino di fattura gaginesca (sec. XVI) e una Madonna marmorea del 1477. Nel 1736 venne rifatta su progetto dell’architetto Don Francesco Ferrigno.

Interessanti le chiese di San Pietro (sec. XVI) che custodisce una tela con la “Consegna delle chiavi a San Pietro” attribuita al monrealese Pietro Novelli (sec. XVII); di San Michele col Convento San Salvatore degli Agostiniani; della Beata Vergine Assunta; di San Leonardo; della SS. Trinità; di San Nicola (sec. XII); di S. Antonio (sec. XVI); di San Giovanni (sec. XIII); di San Giuseppe (sec. XVII); di Santa Caterina (sec. XIII); il Monastero medievale delle Benedettine; l’Abbazìa di Santa Maria di Palate fondata nel 575 e l’Oratorio del Sacramento con facciata barocca sovrastata da un alto fastigio a volute su cui si innalza una slanciata edicola.

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Di particolare importanza sono le sculture visibili nella fiumara di Tusa, tra cui "La materia poteva non esserci" di Pietro Consagra, il "Monumento al poeta morto" di Tano Festa, il labirinto intitolato "Arianna" di italo Lanfredini, facenti parte del grande Museo all’aperto “Fiumara d’Arte”, voluto dal mecenate Antonio Presti.
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