Le feste religiose nella riviera tirrenica

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La processione delle Barette a Barcellona Pozzo di Gotto

Barcellona Pozzo di Gotto è un comune della Provincia di Messina che riunisce due paesi: Barcellona e Pozzo di Gotto.

Le tradizioni più autentiche di questi due Comuni, oggi riuniti in uno solo, si ritrovano il Venerdì Santo durante la processione delle “Barette” che risale al XVI secolo. I gruppi statuari dei due centri sono diversi: quelli di Pozzo di Gotto sono antiche sculture di legno, mentre quelle di Barcellona sono in cartapesta e la più vecchia risale al 1870.

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Le due processioni comprendono 13 “barette” con partenza, una dalla Chiesa di Santa Maria Assunta a Pozzo di Gotto e l’altra da Barcellona, dalla Chiesa di San Giovanni Battista. Dopo aver percorso le strade dei rispettivi paesi, i cortei processionali s’incontrano sul ponte del torrente Longano che divideva, un tempo, il territorio dei due Comuni. E’ questo il momento più caratteristico perchè si vedono le due processioni sfilare, ognuna, sul proprio lato di strada.

La processione di Barcellona rientra in chiesa e si scioglie mentre quella di Pozzo di Gotto prosegue per le vie del paese per altre tre ore.

La manifestazione si conclude in piena notte perchè le “Barette” hanno un preciso ordine di rientro in chiesa, e, ciascuna di loro, è accompagnata dalla banda musicale.

 

Il Cristo Lungo a Castroreale

 

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La processione della "vara" con il “ Cristo Lungo”, a Castroreale, presumibilmente risale al periodo tra il 1646 ed il 1655, anni riportati in documenti relativi ad interventi di riparazione della "vara". La sua origine nasce dall’esigenza di far vedere agli ammalati di colera l’immagine miracolosa del Cristo attraverso le finestre delle case dove erano rinchiusi, in quarantena.

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La processione consiste nel trasporto di un lungo palo con alla sommità una sfera che rappresenta il mondo, sormontata dal Cristo Crocifisso, fatti uscire dalla chiesa di S.Agata sulle spalle di fedeli. Il palo è quindi fissato sulla base della “vara”, dove sono sistemate due sedioline in cui prendono posto due bambini vestiti in maniera da rappresentare l’Apostolo Giovanni e la Vergine in lacrime. Il palo viene alzato molto lentamente con lunghe forcine di legno che sono sostituite, a seconda dell’altezza raggiunta da terra, progressivamente dalle più corte alle più lunghe fino al completo innalzamento verticale.

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A questo punto intervengono i portatori che lo sollevano e così, lentamente, il “Cristo Lungo” attraversa il paese sovrastando i tetti delle case fino a raggiungere la Chiesa Madre, dov’ è nuovamente abbassato con le stesse procedure, portato in chiesa, rialzato e sostenuto dalla varetta.

Festa del “Muzzuni” ad Alcara Li Fusi

Il 24 giugno per Alcara Li Fusi, piccolo centro montano dei Nebrodi, rappresenta il momento più espressivo della comunità dal punto di vista folklorico-rituale. Nel giorno in cui la chiesa celebra S. Giovanni Battista, nel solstizio d’estate, Alcara è in festa per i preparativi e l’allestimento del “Muzzuni “.

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 Nel pomeriggio il suono delle campane richiama i fedeli alla processione a cui prendono parte le “fratellanze“ con le loro insegne. La statua di San Giovanni in legno dorato, del sec. XVIII, è conservata nella Cappella del Crocefisso, nella navata sinistra della Chiesa Madre. Il fercolo, portato in processione dai giovani del paese, è preceduto da un gruppo di bambini che recano un piatto contenente una testa mozzata, e, seguito da una statua del Cristo. Il corteo processionale compie tutto il giro del paese ed è scandito dal suono del tamburo e dalle musiche eseguite dalla banda. Durante il percorso vengono lanciati, sulla statua del Santo, soldi, fiori, frumento. A conclusione, la processione rientra in chiesa.

A questo punto tutte le donne del paese si affrettano verso le proprie abitazioni per approntare, abbellire ed esporre il “Muzzuni” .

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Questo rito pagano affonda le sue origini, probabilmente, nell’età precristiana e consiste nell’allestimento di una brocca dal collo mozzo, dalla quale fuoriescono steli di grano germogliati al buio in maniera da prendere il colore dell’oro. La brocca è rivestita da un fazzoletto contadino, detto “muccaturi”, ed è un rito magico propiziatorio che si collega alla fatica dell’uomo per coltivare la terra, per le primizie che erano offerte alla dea Demetra in ringraziamento del buon raccolto.

Il luogo nei vari quartieri, dove è esposto il “Muzzuni“, è addobbato con tappeti dai colori sgargianti chiamati “pizzare“, tessuti al telaio di legno con le stoffe tagliate a strisce dalle donne d’Alcara. La brocca è segretamente preparata in casa ed adornata con gioielli, e, una volta pronta, è portata fuori dalla ragazza prescelta. Tutte le ragazze, generalmente le più belle, restano sedute accanto al “Muzzuni“ facendo quadro con l’insieme, ma, principalmente, a custodire i gioielli con cui è adornato. Gruppi di cantori animano la serata con canti della tradizione popolare contadina, visitando i “Muzzuni“ che sono dislocati nei quartieri.

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Il canto è uno degli elementi che più caratterizzano la festa d’Alcara la cui gente è votata da sempre alla musica ed alla poesia, tramandando di generazione in generazione i versi che si cantano ancora oggi durante la festa, chiamata anche della ”comparanza”, tanto che il termine dialettale, “‘u sangiuanni”, conduce alla scelta, in questo giorno, di un compare a suggello di un forte rapporto d’amicizia.

I miracoli di San Giacomo a Capizzi

Il 26 luglio d’ogni anno, a Capizzi, si festeggia San Giacomo. La statua del Santo, posta su una pesante vara, è portata a spalla, a turno, da oltre 50 uomini per le vie del paese, in un itinerario che ha come scopo un viaggio che tocca tutte le chiese dell’abitato.

Giunta la processione nella Piazza dei Miracoli, la vara, dopo una lunga rincorsa, è scaraventata a forza contro la parete di una casa, nella quale la tradizione vuole sia stata sito di un tempio pagano; il muro viene colpito ripetutamente fino ad aprire un vistoso varco, e, a questo punto, scoppia la gioia popolare che grida al miracolo.
L’interpretazione religiosa è doppia: la prima è quella che San Giacomo è vittorioso, e, con la sua fede in Cristo, ha piegato il paganesimo; la seconda è collegata al fatto rituale dell’abbattimento della parete, che annuncia un anno ricco di grano e di prosperità.

I Giudei a San Fratello
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A San Fratello, piccolo centro dei Nebrodi, Giovedì e Venerdì Santo sono i giorni fra i più caratteristici della Sicilia, nei quali si mischiano sacro e profano. L’origine di questa tradizione risale al Medio Evo, e, ancora oggi, racchiude in perfetta simbiosi fede e folklore. Ha inizio nel 1276 con la “Confraternita dei Flagellanti”, oggi più numerosi e chiamati Giudei.

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Il loro policromo vestiario è vario e strano, come strani sono i loro comportamenti e i loro atti sfrenati. Il costume è composto da una giubba e da calzoni rossi, adornati ai lati da strisce di stoffa d’altro colore. Il capo è completamente coperto da un cappuccio, anch’esso rosso, e dalla maschera penzola una grossa lingua di pelle lucida che, insieme ad una grande bocca e a due sopracciglia molto lunghe, conferiscono al mascherone un’aria grottesca e mostruosa. Ai piedi i Giudei calzano delle scarpe in cuoio grezzo o “scarpe di pelo” ed in mano recano mazzi di catene a maglie larghe e trombette.

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Per due giorni San Fratello impazzisce: i Giudei, correndo, attraversano strade, si arrampicano sui muri, camminano in pericoloso equilibrio sugli orli di case e balconi, saltano, suonano, fuggono e spariscono, creando un vero pandemonio, assordando e, a volte, impaurendo anche la gente. Sono abitanti del paese, contadini e pastori che, vestiti da Giudei, interpretano gli uccisori di Cristo e, nelle ore della sua condanna e della Crocifissione, demoniacamente si scatenano.

 

 

Milazzo

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Milazzo è un comune italiano di 31 030 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia.
Dopo Messina e la vicina Barcellona Pozzo di Gotto è il terzo comune per popolazione della città metropolitana, nonché uno dei più densamente popolati, dietro Giardini-Naxos e Torregrotta.

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La cinta spagnola, che delimitò "la città murata", venne realizzata sotto Carlo V nel Cinquecento. All'interno, si conserva una vasta sala con volte a crociera (sec. XII) mentre il portale sulla cinta muraria è del sec. XV. 

La città è posta tra due golfi, quello di Milazzo a est e quello di Patti a ovest.


Milazzo Ieri e Oggi

Fondata dai Greci intorno al 716 a.C.e dal 36 a.C. riconosciuta come civitas Romana, la città è stata al centro della storia anche durante la Prima Guerra Punica (260 a.C.), e nel luglio 1860 con l'arrivo delle camicie rosse nella grande Battaglia di Milazzo. Numerose sono le testimonianze e i simboli della storia millenaria della città.
A tal proposito sono in corso progetti mirati ad inserire il Castello, la città fortificata e il borgo antico tra i siti UNESCO ed a costituire la Riserva Marina del Promontorio di Capo Milazzo.

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Meta turistica e ideale punto di partenza per le Isole Eolie, il Parco dei Nebrodi, Tindari, Milazzo ha un'economia abbastanza varia: che va con il turismo l'agricoltura, la pesca, il commercio, dai trasporti su gomma e via mare all'industria pesante e non.Fondata nel 716 a.C. dalla vicina Zancle (Messina) come sua colonia e fortificazione avanzata, per il fatto che non coniò mai moneta sembra non sia stata autonoma anche se, dopo il 649 a.C., si staccò da Zancle fino al 550 a.C..

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Una delle attrazzioni principali di Milazzo è Il Castello che sorge in posizione rilevata sul luogo dell'antica Acropoli e fu edificato intorno all'anno 1000 dagli Arabi, ampliato dai Normanni e ultimato in epoca sveva nel sec. XIII.

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La "Grotta di Polifemo" ubicata sul costone della Rocca dove oggi sorge il Castello. E' una grotta naturale che nel seicento ospitava la fabbricazione di polvere e salinitro. Ampliata dal Genio Militare nel 1943 per installavi delle artiglierie. Le crdenze popolari la vedono come l'antica abitazione dove Polifemo  imprigionò Ulisse con i suoi uomini.

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Neglia anni sessanta oltre ad organizzare feste e matrimoni fu anche un famoso locale notturno. 

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Nella città bassa, sono da visitare la chiesa di San Giacomo (1432, con rimaneggiamenti nel Settecento); il Palazzo Municipale, massiccia ed originale costruzione dell'architetto Righini (seconda metà del sec. XIX); il Palazzo dei Vicerè di epoca rinascimentale, con portali e balconi del sec. XVIII; i  barocchi Palazzo Carrozza, Proto, Catanzaro sulla seicentesca via Umberto I; la Chiesa–Santuario di San Francesco di Paola (sec. XVIII) che conserva una "Madonna col Bambino", scultura marmorea attribuita a Domenico Gagini (sec. XVI); la chiesa di San Benedetto (sec. XVIII); la chiesa del Carmine (sec. XVIII); la moderna Chiesa Madre che custodisce un "S. Nicola in trono e storie della vita" e un' "Annunciazione", dipinti su tavola di Antonio Giuffrè (sec. XV); la chiesa del Rosario con affreschi di Domenico Giordano (sec. XVII) e la chiesa Madonna della Catena dove si trovano due tele di Antonello Resaliba, raffiguranti  "S. Pietro" e "San Paolo" (1531). 

 

Mistretta

 

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Comunità montana della provincia di Messina sita a 950 m.s.m., ha un territorio di 126 chilometri quadrati e 15.000 abitanti. E’ il paese più occidentale del Parco dei Nebrodi, e, al contempo, uno dei più caratteristici. Al visitatore si presenta con piccole vie ripide e tortuose, scalinate in pietra arenaria, palazzi di ottima fattura, caratteristiche fontane e ben ventidue chiese.  

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La cittadina è sita su un monte tra gli 850 e i 1100 metri sul livello del mare, nei boscosi monti Nebrodi, ricchi di selvaggina e famosi fin dall'antichità per il loro splendore.
La cittadina, detta anche la "Sella dei Nebrodi" per la particolare conformazione, si trova a metà strada tra Palermo e Messina e la statale 117 collega in 15 minuti Mistretta al mare (15 chilometri circa) creando un suggestivo binomio montagna-mare. Il panorama che si può ammirare dalle parti più alte del paese, infatti, è spettacolare: dai boscosi monti si scende con lo sguardo fino al mare, con sullo sfondo le Isole Eolie. Se a questo si aggiunge che durante l'inverno il paese è ricoperto di neve, lo scenario cui si può assistere è davvero incantevole.

Gli studi non hanno ancora chiarito le origini di Mistretta. A partire dal XVIII secolo si è pensato che il toponimo possa derivare dal fenicio Am'Ashtart o Met'Ashtart (città o popolo di Astarte), facendo dunque pensare a un'origine fenicia del luogo, che le fonti archeologiche, almeno in questo momento, non attestano.
Certo è che l'area era già abitata nell'età protostorica, come dimostra il ritrovamento di un ripostiglio dell'età del bronzo finale avvenuto alla fine del XIX secolo e dal quale Paolo Orsi riuscì ad acquistare una cuspide di lancia oggi conservata a Siracusa nel museo archeologico regionale a lui intitolato.
Sempre riferibile all'età protostorica è una oinochoe geometrica conservata nel locale museo "Ortolani" appartenente allo stile di Polizzello. Materiali ascrivibili alla presenza greca compaiono a partire dal VI secolo a.C., periodo in cui l'area incominciò a essere di passaggio per i calcidesi in movimento tra Zancle, Pizzo Cilona e Himera.

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A partire da Adolf Holm nacque una disputa riguardante ciò. Si è sempre ritenuto che a Mistretta fossero riferibili sia il toponimo Mytistraton sia quello Amestratos, ma presunti rinvenimenti di monete mytistratine nell'area del monte Castellazzo di Marianopoli fecero pensare che il primo dei due toponimi potesse appartenere a quel sito, cosa non ancora accertata. La sconosciuta Mytistraton, dotata della facoltà di battere moneta, secondo il racconto di Polibio, ereditato da Filino di Agrigento, si ribellò alla conquista romana e venne assediata tra il 263 e il 258 per ben tre volte, prima sotto i consoli Ottacilo e Valerio e poi, con successo, da parte dei consoli Attilio Calatino e Caio Sulpizio.

Certo è che nel III secolo a.C., la città antica sorgente dove ora è Mistretta, facente parte del gruppo di civitates decumanae col nome di Amestratos, batteva moneta (si conoscono due emissioni in bronzo, di cui una con l'iscrizione ΛΕΥ ΑΜΗΣΤΡΑΤΙΝΩΝ), ebbe un certo sviluppo e probabilmente il suo nome è identificabile alla riga 113 della lista dei theorodokoi di Delfi. Fece parte di una symmachia insieme con le città di Halaesa, Kalè Aktè e Herbita con le quali sconfisse i pirati provenienti dalle Eolie. Fu inoltre attraversata dalla strada romana Halaesa-Agyrion-Katane, che, distaccandosi dalla Valeria, giungeva sulla costa ionica siciliana, divenendo punto di riferimento imprescindibile per chi viaggiava tra il cuore della Sicilia e il Tirreno.
Silio Italico nel suo poema storico in versi "Punica" ci presenta Mistretta come un centro che forniva ai romani oltre al grano anche soldati ben addestrati.

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Tracce storiche inerenti alla città di Mistretta si trovano nelle "Verrine" di Cicerone in cui si narra dei soprusi commessi dal governatore Caio Verre in varie città siciliane, tra le quali anche Amestratos, che condivideva con Calacte decime esose che venivano depositate nel locale tempio di Venere sotto protezione del servo Bariobale. A partire dall'età imperiale le fonti citano di rado Amestratos, che verrà comunque continuata a essere abitata e produttiva come può testimoniare la villa del III sec. d.C. ritrovata in contrada Vocante. Testimonianze paleocristiana sono presenti in contrada Francavilla, dove piccole catacombe sono impiantate all'interno di megaliti quarzarenitici. Risalenti all'età bizantina sono una necropoli ritrovata in contrada Santa Maria La Scala e alcuni rinvenimenti sul monte del castello.

Dopo la caduta dell'impero, Mistretta divenne preda dei Vandali, invasa poi dai Goti e infine ritorna ai domini imperiali con Bizantini che conquistarono l'intera Sicilia nel 535 d.C. In questo periodo, Mistretta dovette sostenere una forte fiscalizzazione e il suo territorio fu in seguito sottoposto a ruberie e saccheggi da parte islamica. Gli Arabi dominarono il paese tra l'827 e il 1070 e ristrutturarono il Castello bizantino edificato nel punto più alto della città. Dopo il dominio dell'impero romano d'oriente, la conquista dei musulmani, guidati da Ibrahim Ibn Ahmed, rappresenta un momento di incontro con le culture e le economie del Nord Africa; vi erano, tra gli invasori, mercanti e coltivatori che introdussero la coltivazione del dattero e numerosi palmeti. Dal punto di vista religioso veniva garantita la libertà di culto, a coloro che non volevano convertirsi all'islam, con il pagamento di una imposta. Per ciò che concerne gli aspetti sociali e politici e l'introduzione di nuove tecniche costruttive in edilizia o l'introduzione di nuove colture e tecniche di coltivazione, la presenza araba ha arricchito ulteriormente la cittadina mistrettese

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Alla dominazione araba succedette quella normanna durante la quale il castello fu ulteriormente ampliato. Con i Normanni, i grandi latifondi, smembrati dagli Arabi, si ricostituirono e si rafforzò ancora di più il baronaggio. Il re normanno Ruggero I d'Altavilla, nel 1101, donò Mistretta con le sue chiese, i suoi splendori e con tutto il suo territorio al fratello Roberto, Abate della Santissima Trinità in Mileto Calabro e dall'atto di donazione si possono ricavare notizie storiche sul paese che in quel periodo si stava ampliando lungo le falde del monte su cui sorgeva il castello arabo-normanno ed entro le mura di difesa di cui resti sono visibili nel Vico Torrione e lungo la Strada Numea dove si apre la Porta Palermo, una delle due antiche porte della città.

Oltre all'insediamento urbano circondato dalle mura, vi erano numerosi "bagli", aggregati sociali e produttivi circondati da orti, ed è proprio dagli antichi "bagli" che hanno avuto origine i quartieri medioevali di Mistretta ricalcati ancora oggi nell'attuale tessuto urbano del centro storico. Il castello è più volte al centro di operazioni militari, come nel 1082, quando Giordano, figlio illegittimo di Ruggero, approfittando dell'assenza del padre recatosi nelle Calabrie, tenta con la complicità dei suoi cortigiani di usurpare il potere, insediandosi stabilmente al governo della Sicilia, o ai tempi di Guglielmo il Malo, quando Matteo Bonello, ricevuta nel 1160 l'investitura della città, si fa promotore di una cospirazione contro il monarca, che diede i risultati sperati (ebbe come unico effetto l'uccisione del ministro Maione di Bari).

La città fu insignita da Federico II di Svevia del titolo di "Città imperiale", l'imperatore procede a una serrata lotta contro i briganti musulmani in tutta la Sicilia, sradicando totalmente ogni resistenza. Mistretta fu successivamente infeudata a Federico d'Antiochia e quindi a suo figlio Corrado. Fu in questo periodo che nacque l'attuale stemma della città raffigurante un'aquila, stemma degli Hohenstaufen nel Regno di Sicilia.

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Finita la dominazione sveva, vi fu l'occupazione angioina. Carlo I d'Angiò importò in Sicilia un feudalesimo arcaico danneggiando l'economia di molti importanti centri, tra cui Mistretta che fondava la sua prosperità sull'agricoltura e sul commercio. La città di Mistretta insorse e, nel 1282, i cittadini di Mistretta si unirono alla rivolta dei "Vespri Siciliani". Per il gran contributo apportato nella lotta contro i francesi, la città fu inserita tra quelle demaniali ed accolta nel Parlamento del Regno di Sicilia con capitale Palermo, sotto gli Aragonesi. Nel 1447, re Alfonso d'Aragona, sancì la demanialità di Mistretta ed i suoi Casali e, nel consentire al ceto artigiano di entrare a far parte del governo della città, creò i presupposti affinché, nel XVI secolo, la città si arricchisse di numerosi monumenti religiosi e civili. Notevoli testimonianze del Cinquecento, fase storica di splendore per Mistretta, ci sono date dalla magnificenza dei lavori con i quali gli scalpellini del paese arricchirono la Chiesa Madre, aggiungendoli ai raffinatissimi interventi dei Gagini. Di questo periodo è pure la fondazione dell'Ospedale e della "Casa dei Pellegrini", edifici ancora oggi esistenti con le loro originarie caratteristiche. La città, tuttavia, mentre si arricchiva di arte (il barocco, le chiese, i palazzi, tele, sculture, ...), subiva la stessa sorte del resto della Sicilia, la perdita del peso politico, dominata dai re di Castiglia.

Sotto i Borbone, assunse un ruolo ancora più centrale in quanto elevata nel 1812 a capoluogo dell'omonimo distretto. La borghesia locale si preoccupò di abbellire a ampliare la città e durante l'Ottocento furono costruiti palazzi, fu messo in opera un poderoso riassetto urbanistico, culminante con l'apertura del corso Libertà nel 1848, furono abbellite le chiese con numerose opere d'arte, fu aperta la biblioteca comunale. La città riacquistò così l'antica importanza e divenne il punto di riferimento commerciale e culturale per tutti i centri vicini.
Il malcontento diffusosi a Mistretta presso la nascente classe media costituita da professionisti, artigiani e massari, che sfociò nella rivolta di San Sebastiano del 1859, fecero sì che la cittadina mistrettese fosse tra le prime ad insorgere contro i borboni dopo Palermo nel 1860, contribuendo alla causa dell'unità d'Italia. Successivamente Mistretta subì le vicende di tutta la Sicilia nell'Italia post-unitaria fino ai giorni nostri. Nel 1860 fu soppresso l'omonimo distretto amministrativo, immediatamente sostituito però dall'ente analogo del Circondario di Mistretta, governato dal Sottoprefetto.

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All'inizio del ‘900 la Sicilia aveva quasi del tutto consumato l'immagine forte che il secolo appena concluso le aveva permesso di costruire e consegnare, la sua storia regionale superava in varietà e prestigio quella delle altre regioni. Mistretta, come molte altre città sicule in quel periodo, aveva raggiunto l'apice del suo splendore economico, artigianale, artistico e culturale, ma dietro ai palazzi nobiliari, ai circoli culturali, alle fiere, alle feste di paese, si nascondevano le sorti infauste che hanno segnato le vicende di numerose cittadine della Sicilia. Il 31 Ottobre del 1967 il centro nebroideo, unitamente ai comuni di Capizzi e Nicosia, fu colpito da un sisma di magnitudo 5.6 sulla scala Richter, evento che provocò il danneggiamento di edifici storici, nonché il crollo di parte della chiesa dedicata al Santo Patrono S.Sebastiano, resa inagibile e riaperta al culto solo nel 1994.

Non si registrarono né morti né feriti, tuttavia fu necessario dislocare diversi nuclei familiari dai quartieri maggiormente colpiti. Sebbene il sisma possa considerarsi di secondario interesse se paragonato a catastrofi naturali sia posteriori quanto anteriori, il fenomeno ebbe un impatto notevole sulla vita cittadina di Mistretta, poiché incentivò l'abbandono di parte del centro storico del paese, tutt'ora segnato da uno stato di desolazione e degrado.

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La cittadina ha seguito il destino di gran parte dei centri di montagna siciliani nel Novecento, ha subito i colpi inferti dalla disoccupazione fino allo spopolamento per emigrazione (dai 20.000 abitanti dell'Ottocento, oggi sono circa 5.000), subisce la fuga dei più giovani che per motivi di studio o per cercare nuove opportunità lasciano il centro nebroideo, vede scomparire ogni giorno parte del suo patrimonio artistico-culturale sotto i colpi inferti dalla negligenza e dal vandalismo. La forte crisi che interessa Mistretta attualmente è anche dovuta ai tagli voluti dalla Spending Review, che hanno portato alla soppressione del Tribunale nel settembre 2013, accorpato a Patti, del carcere nel 2014 e al depotenziamento dell'ospedale, privo del punto nascita. Le prospettive di futuro a Mistretta pare possano essere legate all'agricoltura e al turismo. Il 26 Marzo 2019 la storia cittadina di Mistretta subisce l'onta di veder sciolta la propria amministrazione comunale a causa di infiltrazioni mafiose. Due giorni dopo si insediano i commissari prefettizi.

La festività di San Sebastiano è celebrata dal mondo occidentale il 20 gennaio e dal mondo orientale il 18 dicembre. A Mistretta il culto del Santo sembra sia stato introdotto nell'anno 1063, ma la devozione a S. Sebastiano si accrebbe tra 1625 e il 1630, quando s'invocò la sua intercessione per fermare la terribile epidemia di peste che affliggeva tutta la Sicilia. Oggi la festa di San Sebastiano di Mistretta è considerata una delle più belle, suggestive e sentite processioni di tutta la Sicilia.
A Mistretta la festa del Santo si svolge due volte l'anno, proprio il 20 gennaio, la data in cui la chiesa ricorda la morte di San Sebastiano e il 18 agosto per ricordare la liberazione dalla peste di Mistretta avvenuta per intercessione di San Sebastiano nel Diciassettesimo Secolo.

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A gennaio la festa si svolge in tono minore, ma si tratta ugualmente di un giorno solenne, molto sentito. La statua del Santo esce dalla chiesa e viene portata in giro per le vie del paese nel prezioso fercolo (vara), di corsa in diversi tratti, sulle spalle di decine di uomini, che vestono in abiti tradizionali e portano il tipico fazzoletto rosso. Invece, è in agosto che la processione raggiunge gli apici di folklore e religiosità. La pesante vara il legno massiccio e oro su cui è posta la statua del Santo è portata a piedi scalzi da 60 devoti che ricevono il privilegio di portare il fercolo per eredità, tramandato dai padri, ed è preceduta nella sua corsa per tutta la processione, dalla varetta, un fercolo in cui due angeli, circondati da ceri votivi, sorreggono le reliquie di San Sebastiano che vengono portate in processione dai devoti più giovani. La processione tocca i luoghi più significativi della città con diverse tappe in essi.
Tutto il popolo corre dietro San Sebastiano per le vie del centro storico. In occasione del 18 agosto la città si riempie di gente venuta da fuori per vedere la festa, attirata dallo sfarzo e dalla grandiosità.
La festa si chiude la notte quando il Santo viene ricollocato nella sua chiesa dopo una lunga corsa, tra applausi, pianti, invocazioni e musica che lo salutano. La serata si chiude sempre con giochi pirotecnici suggestivi e spettacolari. Moltissime persone dopo la processione si recano al Castello Saraceno, situano nell'omonimo molte, ad aspettare "l'Alba", simbolo della fine della festa e dell'estate.

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Festa della Madonna della luce si celebra ogni anno per due giorni nelle date del 7 e dell'8 settembre. La modalità di svolgimento della festa è curiosa e caratteristica, una coppia di guerrieri giganti chiamati "Cronos" e "Mitia" seguono la statua della Madonna trasportata per le vie della città. I giganti sono di cartapesta e vengono portati a spalla per le vie del paese già molti giorni prima della festa ballando e raccogliendo le offerte. La statua della Madonna è custodita nella Chiesa del cimitero, fuori città, dove vi è un'antichissima immagine dipinta su una roccia sopra la quale è stata costruita la chiesa. La leggenda narra che per caso venne scoperta l'immagine sacra e che vicino ad essa vi fossero delle ossa umane di dimensioni fuori dal comune, appunto i giganti posti a guardia della Madonna.

Il primo giorno la statua della Madonna "esce" dalla chiesa per salire nel paese incontrandosi ad un certo punto con i giganti che l'affiancano facendole la guardia per tutto il tempo. Emozionante l'incontro tra i giganti e la Madonna, infatti nel momento dell'incontro i giganti si inginocchiano e fanno un inchino a Maria in segno di riverenza.
La Madonna e i giganti vanno poi nella Chiesa Madre di Mistretta e sul piazzale antistante alla Chiesa, i giganti ballano per festeggiare l'arrivo della Madre Santa.


Il giorno dopo, Mitia e Cronos si affiancano alla statua della Madonna portata anch'essa in spalla da uomini robusti e la scortano per tutto il percorso della processione. Il simulacro risale al Seicento e raffigura Sant'Anna che regge in mano la Madonna bambina. Il popolo in massa prende parte alla processione.
Alla sera, dopo avere attraversato le vie del paese illuminate da luci colorate, la processione si avvia lungo la strada di campagna che porta alla Chiesa del Cimitero dove si arriva in tarda serata. Giunti in Chiesa, dopo la lunga processione, la statua rientra per essere ricollocata al suo posto e i giganti ballano per l'ultima volta illuminati da un grande falò, ritirandosi infine tra gli applausi di tutti. 

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Il MUSEO REGIONALE DELLE TRADIZIONI

SILVO-PASTORALI DI MISTRETTA

Ha sede nell’ex Palazzo di Giustizia, in origine complesso conventuale con la chiesa delle Anime del Purgatorio annessa, ancora esistente.

Possiede circa 1.500 reperti a documentazione degli svariati cicli lavorativi e produttivi tradizionali del luogo.

Al suo interno, sezioni dedicate ai cicli agricoli del grano, vino ed olio; pastori, allevatori, carbonai, taglialegna, cacciatori, estetica pastorale, una sezione curata dall’Ente Parco dei Nebrodi dedicata alla naturalistica e una dedicata alla cultura tradizionale di Mistretta.  Il Dirigente responsabile dell’Unità Operativa Etno-antropologica della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Messina e direttore del Museo, Sergio Todesco, scrive: “Il museo non è un deposito di cose vecchie né un cimitero di sogni perduti. In esso vanno esposti pochi (relativamente pochi) oggetti, di notevole impatto estetico-visivo e con un’alta capacità di coinvolgimento comunicativo ed emozionale.

Accanto ai reperti, da considerare come snodi visibili di un ampio reticolo relazionale, andranno così esplicitati, mediante l’impiego di tutte le strategie possibili della comunicazione e dell’animazione (scrittura, immagine fissa e in movimento, documento sonoro, supporto interattivo, sala immersiva etc.), i rapporti, i contesti, le modalità in base ai quali l’oggetto esposto - congiuntamente con la famiglia di oggetti cui “scientificamente” esso appartiene - documenta e rappresenta particolari forme di vita e di cultura. Un museo siffatto diviene così una esposizione e rappresentazione di etnografie, di scritture, di messe in scena, contenente articolate proposte di percorsi di lettura di fenomeni e fatti culturali. Attraverso alcune particolari modalità di allestimento (ad esempio tramite l’uso di modellini o gigantografie o altre strategie “fuori scala”), si perseguirà un affrancamento dalle collezioni ritenuto fondamentale per un rapporto più partecipato con le forme di cultura che il Museo intende documentare, nel convincimento che sottrarre naturalità al museo rafforzi i processi di lettura metalinguistica che gli sono propri”.

Patti

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Patti è un comune italiano di 13 266 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia.

Rinomata località turistica, ha 12 km di costa interamente balneabili formati da sabbie, faraglioni e grotte. Il lungomare di Marina, lungo circa due chilometri, è una piacevole passeggiata all'ombra di palme e pini a ridosso dell'ampia spiaggia, dotata, nel periodo estivo, di numerosi lidi balneari. Patti è famosa anche per le ceramiche sia d'arte, sia d'uso; oltre ad un grande stabilimento esistono numerosi laboratori in cui è possibile acquistare oggetti realizzati da artigiani locali. Patti è sede vescovile con giurisdizione su 41 comuni (da Oliveri a Tusa).

Ospita il Tribunale ordinario civile e penale e la Procura della Repubblica entrambi a servizio di tutto il comprensorio dei Nebrodi da Falcone a Tusa; una sede staccata dell'università di Messina delle facoltà di Giurisprudenza e Scienze della formazione), l'Istituto di formazione teologica per i laici, sezione della Pontificia Università della Santa Croce e il Seminario vescovile; il commissariato di P.S., il comando di compagnia dei carabinieri, la Tenenza della Guardia di Finanza, l'Agenzia delle entrate; la Delegazione dell'ispettorato regionale dell'agricoltura; la sede distaccata della Capitaneria di porto, un distaccamento dei Vigili del Fuoco; l'INPS; l'INPDAP; il Genio civile; il Servizio turistico regionale (ex Azienda soggiorno e turismo di Patti e Tindari); vari istituti scolastici medi superiori e numerosi altri uffici pubblici. Patti è sede dell'omonimo distretto sanitario e dell'ospedale "Barone Ignazio Romeo", attrezzato nosocomio generale con reparti di alta specializzazione.

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Ė, per posizione geografica, storia, indotto economico-turistico il più importante centro della fascia tirrenica messinese. Situato su una doppia collina a ridosso del mar Tirreno, Patti si trova al centro dell'omonimo golfo che va da capo Milazzo a capo Calavà. È il quarto comune più popoloso della città metropolitana di Messina, dopo il capoluogo e i centri di Barcellona Pozzo di Gotto e Milazzo.La città, oltre a essere sede storica di numerose istituzioni, uffici amministrativi e servizi e d'interesse pubblico, è anche sede di distretto giudiziario e sede vescovile della diocesi di Patti, una delle più antiche di Sicilia, che comprende i 41 comuni dell'area messinese da Oliveri a Tusa. Il comune di Patti fa parte del Consorzio Intercomunale Tindari-Nebrodi. 
L'origine e la storia di Patti sono strettamente legate alla decadenza dell'antica città greco-romana di Tindari, oggi sua frazione e uno dei più importanti siti archeologici e devozionali della Sicilia. La fisionomia del centro abitato si presenta molto sviluppata con un grande centro storico arroccato sulla collina intorno alla Cattedrale, al palazzo vescovile, al seminario e agli altri palazzi storici, che digrada verso la costa fino al suo borgo marinaro detto Marina di Patti (oggi completamente integrato nel tessuto urbano).

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Le prime notizie storiche che testimoniano l'esistenza della città di Patti risalgono al 1094, quando il gran conte Ruggero I di Sicilia fondava in Patti il monastero benedettino del SS. Salvatore. È sicuro, tuttavia, vista la presenza di varie necropoli e della villa di Patti Marina, di epoca romana, che le origini del centro siano molto più remote; molti studiosi sono concordi nel ritenere che Patti sia stata fondata o comunque ampliata e popolata, dagli abitanti di Tindari, che abbandonarono la loro città a seguito di frane ed altri eventi calamitosi. La recente scoperta della necropoli a grotticelle e la presenza di resti di frequentazione, fanno ipotizzare che il primo nucleo abitato sia sorto proprio intorno all'VIII- X secolo a C. in quella località. Successivamente, forse a seguito dell'aumento della popolazione o alla mancanza di acqua, gli abitanti si siano progressivamente spostati sulle colline di fronte dando vita alla Ἐπακτήν fra i gli attuali torrenti Provvidenza e Acquafico (attuale quartiere Polline da Policne). La presenza di altri reperti di origine Ellenica scoperti sui monti Russo e Perrera, fanno immaginare l'esistenza di un insediamento a guardia di un impianto portuale molto probabilmente in quella che allora era la foce navigabile del Timetus dei Romani.

Nel 1131 fu eretta la diocesi di Patti e Lipari; solo nel 1399 le due sedi si separeranno dando origine a due diocesi distinte. Il centro si sviluppò ed assunse sempre una maggiore importanza economica ed amministrativa in tutto il territorio messinese, altrimenti non si giustificherebbe la sosta che la salma di Federico II di Svevia, morto in Puglia, fece nella cattedrale di Patti prima di essere seppellito a Palermo.
Il nobile Antonino Natoli, Barone di Messina e familiare di Re Carlo I d'Angiò, marito di Francesca, figlia di Girolamo d'Amato, i cui figli furono Simone e Gerardo Natoli fu il proprietario del castello della città di Patti fin dalla prima metà del 1300.
Nella prima metà del XIV secolo è fondato il convento di San Francesco . Fu una delle 42 città demaniali siciliane, dipendente direttamente dalla corona e non da signori locali, e dei giurati curavano i rapporti tra i cittadini ed il Re; ciò portò all'ottenimento di numerosi privilegi fiscali ed amministrativi.

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Nel 1355 Ludovico d'Aragona re di Sicilia affida a Vinciguerra d'Aragona la città in veste di capitano di guerra coadiuvato da]Guerao Gullielm De Sidot e Corrado Spadafora, posizione ricoperta dopo la morte del sovrano, dal mese di dicembre fino al mese di dicembre del 1356. Nel 1359 regnante Federico IV d'Aragona al nobile Vinciguerra d'Aragona risultano assegnati i possedimenti e il castello di Adelasia, il castello di Tindaro di Tindari.

Un Antonino Natoli, castellano della città di Patti, fu il figlio del Magnifico Gio Matteo di Patti, ovvero Giovanni Matteo Natoli (Ioannem Matteum de Natoli), figlio di Antonino, fu un nobile messinese a cui venne concesso il Cingolo Militare con il titolo di Cavaliere da parte di Carlo V, e venne poi nominato Cavaliere del Sacro Romano Impero, a proprie spese nel 1523 il 4 maggio 1523 armò due galee. per fronteggiare nel mar Adriatico, i nemici che attaccavano il Vaticano, fu ambasciatore a Venezia e partecipò a tutte le battaglie del suo secolo, da Tunisi a La Goletta morendo a S.Angelo.
Antonino Natoli, fu chiamato "il Pattese", nato nel 1539 a Messina da una famiglia dell'alta nobiltà, visse a lungo a Patti ed entrò nel Terzo Ordine Regolare di San Francesco riformato, facendo voto di povertà cambiò il suo nome in Antonino da Piraino ma meglio noto come d"Antonino da Patti", pubblicò il “Viridarium concionatorum", e altre importanti opere, tra cui "La via sicura al cielo". Fu "Visitatore Apostolico" nel 1596 su mandato diretto di Papa Giulio III, da cui fu dichiarato in seguito Venerabile, fu autore di diversi miracoli sui malati e sepolto a Roma in odore di santità. Nel 1544 Patti fu attaccata e saccheggiata dal pirata algerino Ariadeno Barbarossa; gli abitanti, che riuscirono a fuggire nelle campagne circostanti, al loro ritorno trovarono una città incendiata e depredata. Ricostruita con mura più possenti, tornò a ripopolarsi e a crescere rapidamente, anche a seguito dell'istituzione e costruzione del Seminario, voluto dal Concilio di Trento, che rappresentò l'unico centro di formazione culturale superiore per la parte occidentale della Val Demone (attuale provincia di Messina) sino alla fine del XIX secolo. 

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Patti divenne capoluogo di distretto per tutta la zona dei Nebrodi durante il Regno delle Due Sicilie e con la nascita del Regno d'Italia assurse a capoluogo di circondario e vennero istituiti il Tribunale, il carcere, la compagnia Carabinieri, il regio Ginnasio e altre scuole ed uffici governativi comprensoriali; vennero costruiti un teatro, un nuovo ospedale e la villa comunale Umberto I. L'economia, molto florida fino alla seconda guerra mondiale, era basata sul settore agricolo, commerciale, sulla pesca e soprattutto sull'industria delle ceramiche, esportate via mare in tutto il mondo occidentale.

La cittadina è rimasta arroccata sino alla fine dell'Ottocento sulla collina circondata dalle antiche mura; solo allora ha avuto inizio una prima e timida espansione urbana verso le attuali piazza Marconi (anche a seguito dell'apertura della via XX Settembre) e piazza Mario Sciacca, dove vennero realizzati i nuovi cine/teatro e tribunale. Ma solo nel secondo dopoguerra si è avuto uno sviluppo edilizio incessante con la nascita del quartiere di S. Antonino e di nuovi quartieri, spesso disordinati, nei giardini limitrofi il torrente Montagnareale (corso Matteotti, via Orti), giungendo alla fine degli anni settanta alla fusione tra la parte alta e storica di Patti e la borgata di Marina. Nell'ultimo decennio stanno sorgendo numerosi complessi residenziali a monte della ferrovia in direzione Messina che porteranno all'unione del centro e della stazione ferroviaria con la frazione di Case Nuove Russo (Palasport e stadio, fino agli anni '50 era chiamata semplicemente Case Nuove); nella stessa zona è in costruzione un centro commerciale di notevoli dimensioni.

Roccavaldina

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Sui fianchi settentrionali dei monti Peloritani a 35 km. da Messina, si trova Roccavaldina, situata a 341 m.s.m. con 1.159 abitanti e una superficie di 6,5 kmq..

Sulla cima del colle più alto sorge la maestosa Chiesa Madre dedicata a San Nicolò Vescovo di Mira, fondata sotto Federico II d'Aragona nella prima metà del'300 al tempo di Giovanni Rocca, primo feudatario del paese.

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Ripristinata nella seconda metà del Cinquecento, custodisce importanti opere d'arte fra le quali, degne di nota sono il sontuoso baldacchino in  legno scolpito dell'altare maggiore (sec. XVII); l'altare dedicato a San Nicolò di Bari ad intarsi marmorei policromi (sec. XVIII); il Sepolcro marmoreo col busto di Giovanni Valdina  Vignuolo (1692) e il Monumento Funerario  di Maurizio Valdina, protonotaro del Regno morto all'età di 22 anni, realizzato magistralmente dall'architetto fiorentino Camillo Camiliani nel 1599. Lungo la via Umberto I, sono da visitare la chiesa di Gesù e Maria (sec. XVI - XVII)  e il Santuario della Catena.

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Prima di giungere nella piazza del Castello, merita una visita particolarmente approfondita la famosa e bellissima Farmacia del sec. XVI, donata dal sacerdote Don Gregorio Bottaro alla Confraternita del SS. Sacramento nel 1628. Contiene una cospicua raccolta di vasi da farmacia figurati, di fabbrica urbinate e quasi tutti del '500. In uno di essi vi è la firma di Antonio Patanazzi d'Urbino e la data del 1580.

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Il complesso Castello-Palazzo baronale, al centro dell'antico abitato, presenta la facciata con due torri cilindriche laterali, coronata da merlatura e ornata da un portale archiacuto risalente al Quattrocento, alla quale si innesta il Palazzo baronale retrostante, attribuito a Camillo Camiliani e realizzato alla fine del Cinquecento in stile manierista. .   

S.Agata di Militello

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Sant'Agata di Militello è un comune italiano di 12.357 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia.
Dista circa 100 km da Messina e 130 da Palermo. Su 108 comuni è il settimo della città metropolitana per popolazione dopo Messina, Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo, Patti, Capo d'Orlando e Lipari.

Centro a prevalente vocazione turistica e commerciale del comprensorio dei Nebrodi, del quale è uno dei poli, insieme a Patti e Capo d'Orlando. La città divenne comune autonomo nel 1857.
È un comune del Parco dei Nebrodi.

Nel territorio boschivo Nebroidese, diversamente dalla costa e dal resto dell'Isola, troviamo inverni lunghi e rigidi ed estati calde ma non afose. La temperatura media annua oscilla intorno ai 18 °C nella fascia costiera. La città gode di un tipico clima mediterraneo, particolarmente mite e confortevole nei periodi primaverili ed autunnali. L'estate è calda, mentre l'inverno è piovoso.

Nel 1371 la baronia di Militello è assegnata a Vinciguerra d'Aragona da Federico IV d'Aragona, già appartenente al padre Sanciolo d'Aragona.
La storia cittadina si sviluppa attorno alla "Torre della Marina", una struttura d'avvistamento costiero edificata nel XIII secolo per servire la medievale Militello Valdemone.

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Nella seconda metà del Cinquecento quando i viceré spagnoli incaricarono i Camiliani di fare la ricognizione dei litorali la torre fu giudicata insufficiente e vi fu aggiunto un "fortino".

Signori della città furono gli appartenenti alla famiglia d'origine aragonese dei Gallego che edificarono il Castello costruito sul feudo della "marina".
Nel 1573 in concomitanza con l'edificazione nacque il primo nucleo abitativo su cui la famiglia Gallego ottenne la signoria.

Nel XVII secolo il borgo di Sant'Agata era compreso fra le terre baronali appartenenti al principe di Militello, il quale nel 1627, assunse anche il titolo di Marchese di Sant'Agata.

Nel 1628 don Vincenzo Gallego ottenne la licenza di edificare il palazzo intorno alla torre e nel 1663 suo figlio Luigi, nominato Marchese e poi Principe di Sant'Agata, fece costruire il castello, a presidio della costa, per concessione del re Filippo IV che nel 1657 gli concesse la licenzia populandi per promuovere il futuro insediamento urbano del piccolo borgo marinaro attorno ad esso.

Nel 1820 l'ultimo dei signori vendette titolo e terre al Principe di Trabia, ma nello stesso secolo i privilegi feudali decaddero.
Il castello Gallego articolato intorno ad un'alberata corte quadrata, ingloba le torri cilindriche di età medievale.

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Sull'ampio prospetto ornato da classici finestroni, si apre il fornice d'ingresso, difeso in passato da ponte levatoio. Dal cortile si accede agli ambienti destinati a scuderie, magazzini ed abitazione dei servi. Da una scala a chiocciola si sale al piano nobile, con gli appartamenti del principe, da cui si accede alle torri e ai terrazzi. Il libro di Vincenzo Consolo Il sorriso dell'ignoto marinaio si chiude con la descrizione puntigliosa del castello carcere di Sant'Agata di Militello, simbolo architettonico degli inferi narrati, per la sua forma a chiocciola.

Il possente edificio dalle severe linee architettoniche, sorge su una altura rocciosa, guardando da un lato il centro cittadino e dall'altro un ampio arco di costa. Attorno ad esso venne a formarsi un abitato di pescatori e contadini.
Non manca, come buona regola siciliana, la leggenda sulla fondazione della cittadina a seguito di un fatto prodigioso, che vide alcuni pescatori catanesi scampare ad un terribile naufragio ed edificare, per voto, un centro intitolato alla loro santa patrona.

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Un consistente incremento demografico si ebbe però soltanto in seguito all'autonomia amministrativa ottenuta nel 1857 e alla costruzione della strada rotabile Palermo-Messina. All'inizio del '900 rivestì un'importanza fondamentale la costruzione della ferrovia e numerosi furono gli interventi che ne favorirono lo sviluppo.

Di notevole rilevanza storica sono i diversi palazzi gentilizi presenti. Costruiti intorno alla metà del diciannovesimo secolo dalle famiglie aristocratiche della zona, quali gli Zito discendenti dai conti di S. Marco, i Faraci baroni del Prato,i nobili, Gullotti e Cardinale. Gli Zito edificarono i loro palazzi nel quartiere della chiesa madre, i Faraci in via Roma, i Gullotti, Cardinale e Ciuppa sulla Via Nazionale. Tutti questi edifici presentano al loro interno pregevoli stucchi tardo barocco e liberty.

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A Sant'Agata sono presenti più di 25 plessi scolastici, così suddivisi: 8 scuole materne, 4 scuole elementari, 2 scuole medie inferiori e 7 scuole medie superiori. Tra le scuole superiori sono presenti i licei Scientifico, Classico, Scienze Umane , Linguistico e Scienze Applicate, l'Istituto Tecnico Commerciale per Geometri e l'Istituto Tecnico Industriale; Elettronica ed Elettrotecnica; Informatica e Telecomunicazioni; Meccanica, Meccatronica ed Energia; Trasporti e Logistica ex Nautico.

Numerose sono le tradizioni e gli eventi culturali: la festa del Santo Patrono San Giuseppe, il 19 marzo e la seconda domenica di agosto, la processione di Maria Santissima del Mare sulle barche la prima domenica di agosto, la processione di Maria SS. Assunta, la festa di Santa Lucia, il 13 dicembre, la festa del Sacro Cuore di Gesù, la prima domenica di luglio e la Fiera Storica. Il Museo dei Nebrodi raccoglie rilevanti testimonianze storico-antropologiche della zona. La chiesa Madre e il Castello Gallego, antico maniero voluto dai regnanti aragonesi nel XIV secolo, sono i principali monumenti della cittadina. È anche il paese natale dello scrittore e saggista Vincenzo Consolo.

San Marco D'Alunzio

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San Marco dista 87 km da Messina ovest e 135 da Palermo est. È situato sulla sommità del Monte Castro a 540 metri s.l.m., ai lati delle vallate dei torrenti Rosmarino e Platanà, con alle spalle la catena montuosa dei Nebrodi.

La sua fondazione risale al IV secolo a.C. e durante il periodo di dominazione greca fu un centro fiorente denominato Alontion (Αλοντιον) e batteva moneta propria.

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Durante le guerre puniche fu conquistata dai romani, che la proclamarono municipium autonomo, ribattezzandola Aluntium e, in questo periodo, la cittadina conobbe uno sviluppo artistico ed economico di cui esiste ancora testimonianza nei monumenti archeologici e in una vasta letteratura epigrafica. Sarà citata anche da Plinio e dallo stesso Cicerone nel famoso processo contro Verre che si impadronì dei tesori di numerose città siciliane.

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Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente (nel VI secolo d.C), in un periodo di piena decadenza giunse ad Aluntium una comunità di profughi Bizantini da Sparta che la chiamarono Demenna, e poi dagli Arabi che circondarono l'abitato di mura e ne fecero il centro amministrativo politico di una vasta zona della Sicilia denominata Val Demone.

Secondo lo storico Ali Ibn al-Athir gli islamici tentarono un primo assedio nel 901 riuscendo l'anno seguente a mettere in fuga gli abitanti. Ma i bizantini riuscirono nuovamente a riprenderla costringendo i musulmani nel 910 a nuove battaglie fino alla sottomissione definitiva.

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I Normanni, sconfitti gli arabi, ne fecero il loro centro di governo e la chiamarono San Marco in onore dell'evangelista e in ricordo della prima città conquistata in Calabria. Dall'XI secolo fu dominio di Roberto il Guiscardo degli Altavilla, che la scelse come punto di partenza e come presidio militare per la conquista della Sicilia. In questo periodo fu edificato il monastero delle monache benedettine con l'annessa chiesa del Santissimo Salvatore.

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Nel 1061 Roberto il Guiscardo vi fondava il primo castello normanno della Sicilia dedicandolo a San Marco cancellando così la memoria di Demenna, onde sradicare la memoria dell'epoca araba. Nel 1150 il geografo ibn Idris la descrive come: "località prospera, con una fiorente produzione di seta e con un arsenale sulla costa per la costruzione di navigli con i legni tratti dai ricchi boschi dell'entroterra."
Le origini di San Marco d'Alunzio descritte da Tommaso Fazello e Filippo Cluverio sono ulteriormente integrate dall'abate Francesco Sacco che descrive sinteticamente i passaggi di proprietà dei possedimenti.

Da visitare la Badia Grande del SS. Salvatore costruita nel 1176 da Margherita, moglie di Guglielmo I e poi rifatta nel Seicento. Conserva il bel portale del 1713 e stucchi settecenteschi della scuola del Serpotta.

La chiesa di S. Agostino o S. Maria dell' Aiuto (sec. XV ) custodisce una statua marmorea della "Madonna col Bambino" di Antonello Gagini (sec. XVI) e la cappella gentilizia  marmorea dei Principi Filingeri (sec. XV). Interessanti, ancora, la chiesa di San Teodoro (sec. XI) detta Badia Piccola; la Chiesa Madre dedicata a San Nicolò di Bari di impianto medievale eampliata nel secolo XVII, che conserva un quadro della "Madonna del Rosario" (sec. XVI), una cantoria in legno  zecchinato (sec. XVII) e i portali di facciata datati 1616; la chiesa di  Santa Maria Aracoeli (sec. XVI); la chiesa di S. Antonio (sec. XVII); la chiesa di San Basilio di impianto medievale; la chiesa di San Giuseppe (1656) e la chiesa della SS. Annunziata, che conserva una pregevole "Madonna" marmorea della scuola del Gagini (sec. XVI).

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Abbo Filangieri e la sua famiglia governarono la città sino alla fine del feudalesimo in Sicilia. Sotto il controllo della famiglia Filingeri, San Marco divenne un centro economicamente e culturalmente ben sviluppato e fu arricchito di molte chiese. Durante il loro governo in città nacquero personalità illustri come Scipione Rebiba, divenuto cardinale, nato appunto da una Filangieri nel quartiere di San Basilio il 3 febbraio 1504, e Girolamo Lanza, eremita e fondatore dei romiti del Monte Pellegrino a cui appartenne il giovane Benedetto Manasseri da San Fratello.

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Il 30 luglio 1862 il Consiglio Comunale di San Marco deliberò, per ricordare le antiche origini del centro, di aggiungere al nome San Marco l'appellativo d'Alunzio: San Marco d'Alunzio. Tuttavia nel Regio Decreto di autorizzazione alla modifica (n. 955/1862) fu commesso un errore di trascrizione e il nome divenne San Marco D'Alfonsio; con il successivo Regio decreto n. 4049 del 1867 l'errore fu corretto.
Per un breve periodo, esattamente dal 1929 al 1933, il comune fu soppresso e aggregato a Sant'Agata di Militello.