Monte di Pietà

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Era il 1541 quando fra’ Egidio Romano dell’Ordine degli Agostiniani Eremitani, durante il Quaresimale nella Cattedrale di  Messina, conduceva una fervente e appassionata predica rivolta in massima parte ai cittadini di ceto nobile presenti, esortandoli a costituire una Confraternita che si occupasse di confortare, accompagnare ed assistere fino alla fine i condannati alla pena capitale, perché non fossero dileggiati dalla plebe durante il percorso al patibolo.

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Le infuocate parole del predicatore ottennero l’effetto voluto, e, il 10 marzo 1545, la Confraternita iniziò ufficialmente la sua attività, eleggendo a protettrice del pio sodalizio la Madonna Addolorata, intesa popolarmente della Pietà e scegliendo per abito il sacco di colore azzurro, sia perché sottolineasse la mestizia e severità del castigo e sia perché indicasse ai giustiziati la speranza di poter salire al Cielo, dopo sincero pentimento, ciò che fornì il nome di “Azzurri” ai componenti dell’istituzione.

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Il 1575 è un anno foriero di morte per la Sicilia, a causa di una terribile pestilenza portata da una nave approdata in Siracusa e, nella sola Messina, il propagarsi dell’epidemia provocò la morte di quarantamila persone. Cessato il contagio, la città ebbe a trovarsi in difficilissime condizioni economiche, per cui, alla predica fatta nel Duomo durante il periodo di Quaresima del 1580 da Frà Silvestro da Rossano dell’Ordine dei Cappuccini, che inveiva contro la diffusa ed immoderata usura che colpiva particolarmente le classi meno abbienti e più deboli, seguì l’anno dopo, nel 1581, la costruzione a spese dell’Arciconfraternita degli Azzurri, del Monte di Pietà, che, esercitando il credito su pegno con un basso tasso d’interesse, sottraeva  i poveri ed i  bisognosi dalle grinfie degli strozzini. Non si sa chi sia stato l’autore di questo primo nucleo del Monte di Pietà, peraltro non più esistente, in quanto sicuramente demolito nel 1616 quando s’iniziarono i lavori relativi al suo ampliamento.

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Dopo aver redatto i relativi Capitoli, il 2 luglio del 1616, il 30 luglio dello stesso anno i lavori erano già stati iniziati in quanto il progettista, l’architetto dell’Ordine gesuitico Natale Masuccio, interviene di persona, come testimone ad un atto del notaio Gregorio Comunale, in cui si specifica che essendo nell’intenzione da parte della Confraternita di “dictum montem ampliare et augmentare” erano già state gettate “quedam fundamenta in strata publica”, quando i lavori vennero sospesi giudiziariamente per l’opposizione di un certo “V.J.D. Franciscus M.a Macrì”, proprietario di alcune case confinanti. Da questi atti, a parte certe considerazioni di carattere stilistico, si desume con sicurezza che l’autore del progetto del piano terra del Monte di Pietà fu l’architetto Natale Masuccio, che a quell’epoca aveva 55 anni.

117.jpgPare certo, comunque, che il Masuccio non potè vedere la sua opera ultimata e nemmeno iniziata, se non nelle sole fondazioni, essendo morto tre anni dopo nel 1619 e che quindi la direzione dei lavori venne curata da altro architetto di cui, per il momento, non conosciamo il nome. Il Monte di Pietà, infatti, potè essere iniziato a costruire dopo che le case del Macrì, vendute alla Confraternita, passarono definitivamente in proprietà all’acquirente, e ciò avvenne nel 1646.

Non sappiamo se l’architetto subentrato al Masuccio, dopo il 1619, ne rispettò totalmente il progetto o vi aggiungesse qualcosa di suo e cosa; è certo, però, che il Masuccio era architetto molto caro ai messinesi per cui, se modifiche vi furono, queste saranno state molto contenute e limitate.

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Ancora viva e palpitante a Messina è l’eredità architettonica di Andrea Calamech che aveva portato nella città un gusto manierista toscano che traduceva in strutture il linguaggio manierista degli scultori e dei pittori. Architettura di effetti bizzarri e spettacolari, di chiaroscuri, di evidenziate sporgenze e rientranze delle masse, di illusori effetti spaziali che coinvolgono, chiamandoli a far parte del “giuoco”, gli elementi decorativi, mensole di balconi, cornici, portali, conci di chiave d’archi, bugne. E’ appunto la diretta visione delle opere del Calamech, completata dall’assimilazione del manierismo michelangiolesco e dallo studio dell’ordine gigante dei grandiosi monumenti romani, che orienteranno il gusto architettonico del Masuccio.

L’influenza del Calamech la si può notare evidente nella composizione del portale d’ingresso, anche se il Masuccio, in parte, se ne discosta nell’uso delle colonne bugnate e del timpano curvo spezzato al di sopra della cornice. Dall’andito di accesso coperto con volta a botte, si giunge al bellissimo loggiato a tre arcate coperte da volte a crociera, elemento di filtro e di mediazione fra il Monte di Pietà e il cortile interno, fra il costruito e il non costruito.

Nel 1741, in occasione della seconda “Festa Secolare” per il duecentesimo anniversario della fondazione della Confraternita, viene costruita la monumentale scalinata scenografica con movimenti concavo-convessi, realizzata in soli tre mesi su progetto dell’architetto Antonino Basile e del pittore Cav. V. Placido Campolo che morirà a Messina due anni dopo, nel 1743, di peste, in marmo rosso venato di Taormina e in pietra di Siracusa. Sul primo ripiano, in posizione centrale, viene collocata la fonte marmorea con statua muliebre di forme prosperose raffigurante la Pietà e intesa anche dell’”Abbondanza”, opera di Ignazio Buceti, seduta su un monticello con la mano sinistra portata al seno e la mano destra tenente una cornucopia che versa monete, simboli allusivi alla pietà ed alla speranza di buona fortuna, particolarmente rispondenti alle funzioni che si esercitavano, appunto, nel Monte.

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Danneggiato nei terremoti del 5 febbraio 1783 e 28 dicembre 1908, oltre che dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, il complesso architettonico è stato restaurato negli anni Ottanta, prodigio di architettura manierista che, fortunatamente, ancora oggi possiamo ammirare in tutto il suo splendore, svettante sulla via 24 Maggio.

E, con esso, evocare dalle brume del passato storie di miseria e grandezza, di lusso e povertà, di vita e di morte barocca.