Nella notte di Natale 1870, 150 anni fa.

 
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150 anni fa, nella Notte di Natale 1870, cadeva l’ultimo diaframma del primo traforo alpino, il Frejus.
Estratto da “La Galleria”, scritto inedito, quello che ho definito un guazzabuglio stinto, un mio e solo mio piacevole esercizio letterario.

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Nella notte di Natale 1870, 150 anni fa.
Che sia Natale si capisce solo dal freddo e mi lascio riscaldare da un tiepido, soporifero, Sole in Piazza San Carlo, la quale, considerando l’ora e la giornata, è deserta, come non mai. A chiudere gli occhi, potevo andare indietro nel tempo, sentire il rullare delle carrozze nelle vie adiacenti…

Nella penombra dei portici, solo alcuni uomini, coperti da voluminosi cappotti e cappelli in testa, stanno seduti davanti al Caffè San Carlo. Ai tavoli si avvicina di corsa, trafelato, un ragazzo con una sacca a tracolla e chiede dell’Ingegnere Sommeiller; non c’è, tutti conoscono Germain e stanno aspettando che arrivi, ma il ragazzo ha un dispaccio elettrico da consegnare, infila la vicina via Alfieri e, nel portone, al numero 22, incontra l’Ingegnere diretto in Piazza.

Sommeiller mette in tasca il telegramma, sa che porta notizie importanti e lo leggerà agli amici che lo stanno aspettando; regala dieci centesimi al ragazzo e lo invita ad accompagnarlo al Caffè.
Conosco a memoria il testo del messaggio; nella sequenza degli avvenimenti di quel Natale 1870 e dei giorni precedenti, è successivo di altri che hanno percorso l’etere, via cavo. Hanno scavalcato il valico del Moncenisio, prima che sia messo in disuso; per essi devo ricorrere alle fotocopie della Civica che porto sempre nel mio zainetto giallo “Invicta”.
Anche il mio orologio segna le quattro e venticinque del pomeriggio, il film al cinema è già iniziato e ormai punto per la proiezione successiva, tanto, io, a Torino, non ho premura. Mi sarebbe piaciuto leggere questa parte della Storia ai mezzibusti di marmo, testimoni vivi di quanto espresso, con la stessa intensità emotiva, dagli Ingegneri dai due fronti della Galleria; ma, come loro hanno completato un capolavoro, anch’io devo finire queste memorie senza ambizione,alternate, in viaggio fra il presente e il passato.

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Era di notte e agli uomini del Frejus dedico solo un pensiero e un arrivederci a quando sarà possibile. So che anche lassù mi ascoltano, la mia lettura, da Piazza San Carlo, giunge nell’atrio della Stazione di Bardonecchia e alla stele in memoria di Giuseppe Francesco Medail:
“ORE 22,00 circa del 22 Dicembre 1870, da Copello, Modane, a Borelli, Bardonecchia:

Nostri fuochisti stasera pretendono aver sentito perfino rumore dell’acqua nei buchi. Allo scoppio vostre mine, roccia vibra; sembrerebbe quasi che la distanza sia minore di quanto sarebbe dalle misure. A quest’ora solo circa m. 5,50 ci separerebbero. Sarebbe necessario a ogni buon fine prendere presto delle precauzioni, facendo ritirare personale da una parte quando fuochisti caricano dall’altra. Quanto è spinto innanzi foro sonda? In che punto della sezione è praticato? Firmato Copello.

Da Copello, Modane, Galleria, 23 Dicembre 1870, ore 4 pomeridiane a Ingegnere Borelli, Bardonecchia:
Noi faremo sparo mine alle ore 17,30 precise. Prima proveremo a battere con la mazza nove colpi, distinti in tre gruppi di tre. Se sentite, rispondete stesso mezzo subito dopo lo sparo Firmato Copello.
Da Copello, Modane, Galleria, 23 Dicembre 1870, ore 5 pomeridiane a Ingegnere Borelli, Bardonecchia:
In questo momento nostra perforazione finita; la vostra continua ancora. Come in mio precedente dispaccio, faremo sparo mine ore 5,30 precise, nostra pendola ufficio. Prima però proveremo battere con la mazza nove colpi distinti in tre gruppi di tre. Ciò alle 5,30 precise. Se sentite, rispondete stesso metodo subito dopo sparo. Firmato Copello.
Da Copello, Modane, Galleria, 25 Dicembre 1870 ore 3,45 pomeridiane, a Ingegnere Borelli, Bardonecchia:
Indizi prossimo incontro sempre più evidenti. Poco fa scalpello lasciato nel foro, oscillava e risuonava per colpi vostre perforatrici. Perforazione sarà finita fra un’ora circa. Dopo ascolteremo vostri colpi sonda. Per sparo contemporaneamente ci regoleremo come nostro telegramma stamane. Firmato Copello.”
Spesso la solennità di un avvenimento si sminuisce, finita l’attesa, con gesti ordinari, quotidiani, con pacche sulle spalle, strette di mano e altri segni di esultanza, fra amici seduti, nel nostro caso, in un Caffè, in Piazza San Carlo:
“Il 25 Dicembre dell’anno 1870, proprio il giorno in cui si festeggia la nascita di Colui, che nobilitò con l’amore le pene del lavoro, una neve fitta cadeva da mattina a sera sulla città di Torino.
Emanuele Filiberto sul suo cavallo di bronzo pareva Otello vestito di bianco; Carlo Alberto teneva alta la spada dinanzi al palazzo del primo Parlamento italiano.
Due grandi avvenimenti si compivano a un tempo: uno morale, della rivendicata Roma, l’altro materiale del traforo delle Alpi!
Scoccavano le cinque al Palazzo di Città, quando giunse da Bardonecchia un dispaccio elettrico con la lieta novella.”
Ecco il dispaccio consegnato a Germain e che egli stesso leggerà agli amici del Caffè San Carlo:
“Bardonecchia, 25 Dicembre 1870, ore 4 e 25 pomeridiane, all’Ingegnere Sommeiller, Torino:
 
In questo momento, ore 4,25 la sonda passa attraverso l’ultimo diaframma di 4 metri, esattamente nel mezzo. Ci parliamo da una parte all’altra. Il primo grido ripetuto dalle due parti fu Viva l’Italia. Venite domani. Firmato Grattoni.”
Con l’arrivo della sera, Piazza San Carlo si stava animando di gente che, passeggiando, cercava di smaltire i bagordi del pranzo di Natale; non più intorpidito dal calore del Sole, sono ritornato al presente, facendo il punto sulla mia presenza in quel salotto cittadino. Ero uscito da casa per andare al cinema, ma un tuffo nel passato mi aveva fatto saltare la prima proiezione ed ero ancora in tempo per la seconda; mi viene in mente che mi devo alzare alle tre e mezzo del mattino per un treno in partenza alle ore 5,10 per Casale Monferrato e decido di rinunciare al film di Bergman.
Dai tavoli del Caffè San Carlo erano spariti gli uomini impellicciati, Germain, il ragazzo con la sacca a tracolla e, naturalmente, anche la neve. Forse si erano lasciati per darsi appuntamento l’indomani, 26, Santo Stefano, per l’ultima mina in Galleria:
 
“Alle cinque del mattino del giorno 26 Dicembre, una quarantina di persone, tutte imbacuccate e impellicciate, silenziose per sonno e freddo, saliva nei vagoni, dai quali un’ora dopo scendeva a Susa.
Colà una fila di vetture ci attendeva e, presto occupate dalla brigata viaggiante, si mossero al trotto di quattro vigorosi cavalli, lasciando a destra l’antica Susa sepolta nella neve. Salita la vallata della Dora Riparia e dopo un’allegra colazione a Oulx, si trovarono a Bardonecchia verso il mezzogiorno.
 
Qui il Sommeiller strinse la mano all’altro console dell’impresa, l’instancabile e arguto Grattoni, che aveva vicino l’ingegnere Borelli, il quale, da quattordici anni ha diretto i lavori dal lato italiano mentre il Copello ne aveva la direzione dalla parte francese; a essi faceva corona la gente aristocratica e democratica del luogo.
Alle ore due pomeridiane, lasciate cappe e pellicce, tutti si alleggerirono vestendosi “alla minatora”, giacca di tela e cappello incerato. Un grande vagone fatto a carroccio tutto pavesato, portava la banda di suonatori; un altro fu invaso dal volgo, mentre due minori accoglievano la gente dotta, a dimostrazione che neppure sotto terra si trova la sognata uguaglianza perfetta!
I vagoni erano tirati da cavalli e da mule, e a lenta corsa, come conviene a comitiva trionfale, percorse la grande galleria già tutta rivestita e compiuta, larga otto metri, a due fila di rotaie, e lunga circa seimila metri. Via via che ci inoltravamo, si faceva maggiore il calore, però si respirava benissimo per gli buffi continui di aria compressa mandati da fuori per lunghi tubi che danno poi moto alle macchine perforatrici, le quali fanno l’uffizio dello scalpello preparando i fori per le mine.
 
Giunti alla galleria di recente scavata, detta di piccola sezione, la quale è pure munita di rotaie per il servizio dei lavori di spurgo, e non ha che due metri di larghezza, scendemmo e, scortati da minatori con le loro lucerne, procedemmo per l’oscura e caldissima bolgia verso la parete che ancora tramezzava il sotterraneo.
Non vi starò a dire dell’aspetto, ora infernale, di quella gente nuda sino alla cintola, con le fiammelle in mano, che sembravano demoni, sebbene fossero buonissimi diavoli, e ora buffo per l’inciampare nelle traverse, per il tuffar i piedi nelle pozze dagli inesperti della camminata. Giunti al fondo della grotta, ci trovammo innanzi a una parete dello spessore di un metro e mezzo, forata dalla sonda; da questo pertugio si parlava con quelli venuti da Modane e, stendendo il braccio, gli Italiani stringevano la mano ai Francesi, attraverso la roccia.
 
 
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Lungo fu lo attendere, come sempre avviene a chi aspetta cosa desiderata. Erano le cinque e venti minuti al tempo medio di Roma, quando a un tratto scoppiarono le mine; i diversi colpi parevano di vicini cannoni, e forti erano le scosse dell’aria per cui furono spente tutte le lucerne.
Una violenta corrente ci avvolse in denso fumo; nessuno parlava, ma tutti tossivano, come quando in chiesa si addensa l’incenso; più d’uno ne soffrì seriamente finchè, per un buon quarto d’ora, si rimase al buio in quella fetida nebbia. Sgombrata la breccia, tutti si fecero a correre in avanti e passare uno per volta dal magico foro.
Il forte soffio che montava da Modane buffava rena in viso, ma tanta era la smania di vedere l’ultima scena di questo trionfo dell'intelligenza umana, che nessuno vi badava e tutti si lanciavano animosi attraverso la breccia, non già per ferire i nemici, bensì per abbracciare gli amici, ansiosi quanto noi di vedere atterrato l’argine che ci teneva divisi. Abbiamo poi saputo che l’incontro è avvenuto a 5.153,30 metri dall’imbocco Nord e a 7.080,25 metri dall’imbocco Sud.
Di là c’erano la banda musicale di Modane e molta gente di quella borgata.
 
Dopo cordiali strette di mano e alte grida di “Viva l’Italia”, ripassammo il pertugio insieme all’ingegnere Copello, che fu il primo a venire da Modane a Bardonecchia attraverso la sotterranea via. Nella grande galleria ritrovammo le vetture e una tavola servita di rinfreschi; ma tutti però avevano piuttosto voglia d’aria e di luce e, preferendo i veicoli alle bottiglie, presto si venne all’aperto, dove in fatto di aria ve ne era della freschissima, perchè il termometro segnava otto gradi di gelo, e in fatto di luce quella delle stelle, perchè già era notte.
 
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Un brindisi fu portato al Re, altro alla memoria di Cavour e fu encomiato Menabrea come scienziato, che nel lavoro ebbe salda fede e vi diede aiuto come uomo di Stato …
Il Sommeiller, tenendo discorso famigliare pieno di brio e di nobili sentimenti, si rivolse al Grattoni, dicendogli queste precise parole:
-Amico, non averti a male di quanto sto per dirti: se è vero che io Sommeiller nulla avrei fatto senza di te, tu pure nulla avresti fatto senza di me! -
Si strinsero la mano quei due valenti, e non so dire quanta lieta emozione sentissero gli astanti per quella schietta prova di reciproca stima che si davano due uomini i quali, uniti nel compiere un’opera che renderà gloriosa una generazione intera, riconoscevano senza invidia il merito l’uno dell’altro per la parte sostenuta …
 
A tarda notte si stava ancora chiacchierando e fumando; poi ognuno cercò riposo della lunga e faticosa giornata.”
Gli ingegneri Grattoni e Sommeiller mandarono il seguente dispaccio all’onorevole Quintino Sella, ministro delle finanze, a Firenze:
“Bardonecchia, 26 Dicembre 1870, ore 23,30:
A voi, che fin dal principio aveste fiducia con Camillo Benso Conte di Cavour, mandiamo un saluto annunziando l’ultima breccia aperta alle ore quattro e minuti venticinque, con passaggio di circa tre mila operai, cogli ingegneri in testa, al grido di Viva l’Italia! Viva Vittorio Emanuele!
Ingegneri Grattoni e Sommeiller
 
 
 
Paolo Ullo