“La Cittadedda ‘nfami china di cannuneri…”

Tra dolorosi ricordi e contemporanei rimpianti

di Enzo Caruso

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“La cittadedda  'nfamia china di cannuneri... Nna bbruciatu li quarteri, e vulemu la libbertà!”ccolto tutto l’odio del popolo messinese verso “l’infame” fortezza, rea di esistere non per difendere la Città da attacchi nemici, ma per tenerla soggiogata sotto il tiro dei suoi 400 cannoni.

Costruita subito dopo la rivolta antispagnola per sedare anche il più flebile alito di libertà e di indipendenza, la Cittadella nei suoi 200 anni di storia ha rappresentato il simbolo dell’oppressione e della tirannide.

Come avvenne per la Bastiglia dopo la Rivoluzione Francese, il primo pensiero della nuova Amministrazione comunale, all’alba dell’Unità, fu la richiesta di demolire il “Simbolo” e tutto ciò che le tetre mura avevano rappresentato.

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In quegli anni, l’importanza storica e artistica del monumento, una delle più imponenti fortezze d’Europa, che oggi si sarebbe rivelata un attrattore turistico dalle enormi potenzialità, passò in secondo piano rispetto al desiderio di riscatto di una città che, da quella fortezza, aveva visto “vomitare” su di essa, fuoco e proiettili, terrore e morte.

Oggi, pensare di demolire un castello o una fortezza, come la Cittadella, tra vincoli della Soprintendenza e “alzata di scudi” della società civile, sarebbe non solo impossibile, ma nemmeno pensabile. Lasciati alle spalle e dimenticati quei tristi giorni, le mura di quel triste luogo, sede del potere, intrise di sangue ed intrighi, testimoni di guerre e rivolte, ci appaiono come un libro di storia, sgualcito e semidistrutto da cui, con rimpianto, possiamo leggere solo un parte quello che ci avrebbe potuto raccontare sui Vicerè di Spagna, gli eserciti che ci hanno vissuto, i grandi ingegneri e le maestranze che ci hanno lavorato e i personaggi che vi hanno abitato.

Perché oggi, lontani mille miglia dai “fatti d’arme” e dai “tristi giorni” la storia è turismo, è fascino, è economia; ma quando si vive il presente della storia, quando si soffre e si subisce, allora: Giù le statue dei dittatori! Giù i palazzi che ne ricordano le atrocità!

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E’ comune la rabbia e il rimpianto per la scelleratezza che ha idotto i nostri precedessori a demolire la splendida struttura spagnola e a privarci di una delle cose che il terremoto avrebbe certamente risparmiato. La stessa sorte la subì l’odiata Bastiglia che, andando a Parigi, ci piacerebbe visitare, ma al suo posto troviamo solo una colonna in sua memoria.

Per comprendere il motivo della deplorevole demolizione della Cittadella, proviamo ad immergerci, attraverso le cronache del tempo, nei giorni immediatamente seguenti alla sua caduta ad opera delle truppe regolari del Generale Cialdini, avvenuta il 12 marzo 1861, dopo un’ora di cannoneggiamento dei nuovi cannoni rigati inventati pochi anni prima dal Generale Cavalli.

Politica e Commercio. 27 Marzo 1861 - Desiderio dei Messinesi

“La Cittadella di Messina non ha più ragione di esistere. Fondata dalla dominazione straniera, dopo una gloriosa ma infelice insurrezione, essa ha rappresentato i sospetti del dispotismo contro le aspirazioni di libetà e nazionalità dei cittadini. Venuta in possesso della Nazione, al cui Risorgimento Messina cooperò,  dal primo Settembre 1847 al 12 marzo 1861, con ogni sorta di sforzi e di sacrifici, la Cittadella sarebbe un anacronismo, una contraddizione: ESSA DEVE SCOMPARIRE:

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I Messinesi ne desiderano ardentemente la demolizione. Già nel 1848 era stabilito di smantellarla appena fosse caduta in mostro potere.

Nello scorso Settembre la rappresentanza Comunale, per mezzo di una deputazione appositamente spedita a Napoli, ne fece richiesta al Dittatore (Garibaldi, ndr); ora si stanno preparando petizioni al Parlamento che saranno sottoscritte da migliaia e migliaia di firme.

Le avite tradizioni e le recenti sventure han reso universalmente abborrito questo monumento di nostra secolare oppressione. Ai nostri padri ricordava i feroci eccessi della tirannide spagnola, vendicatasi di una città che, sola fra le siciliane, osò insorgere contro di essa; a noi ricorda gli efferati bombardamenti, le stragi, l’incendio del 1848, le minacce del generale Russo e del maresciallo Fergola che, ben due volte in meno di un anno, costrinserso la gran parte della popolazione a cercare ricovero nelle campagne.

Senza la Cittadella i mali della rivoluzione non sarebbero stati per noi, più gravi nel 1848 e più lunghi nel 1860, che per tutte le altre città della Sicilia.

Finchè le sue mura non saranno gettate al suolo, non ci crederemo liberi davvero, né saranno vendicate le antiche e recenti sventure; non avremo colto il più desiderato frutto della vittoria.[…] Se il trionfo della tirannide fe’ sorgere la Cittadella, il trionfo della libertà deve rovesciarla. E’ consuetudine che il simbolo sparisca al tempo stesso dell’idea; gli edifizi debbono cadere insieme colle istituzioni se non si vuole che il popolo, contemplando i vecchi emblemi, resti attaccato alle vecchie teorie.

Il Cristianesimo trionfante rovesciò templi e statue dei Pagani; Parigi diroccò la Bastiglia.

L’era delle rivoluzioni in Italia è chiusa.

Dal punto difensivo la Cittadella ha poco valore, come dimostrò Cialdini che la ridusse alla resa con poche batterie campali allestite in soli dodici giorni”.

Ma unificato il territorio nazionale, la Commissione Permanente per la Difesa dello Stato composta dalle più alte cariche militari e istituita per redigere un Piano Generale di difesa dei confini nazionali, inviduò la Zona Falcata come un dei siti di alto interesse strategico dal punto di vista militare. Pertanto, anziché accogliere la richiesta di demolizione della Cittadella, il Governo approvò un progetto di restauro degli edifici danneggiati dal cannoneggiamento di Cialdini, che la Prefettura annunciò pubblicando la notizia su appositi manifesti che vennero affissi in città.

Ecco la reazione dei messinesi di cui si fece portavoce il quotidiano “Politica e Commercio” il 29 Marzo 1862, prioprio un anno dopo la caduta della Cittadella:

“La Prefettura ha pubblicato mercoledì il manifesto che ordina l’appalto dei restauri, già fissato dal Ministero della Guerra, per la Cittadella, SS. Salvatore, Lanterna e per i due forti Gonzaga e Castellaccio; relativamente alla Cittadella si precisa che dai restauri sono esclusi i due bastioni rivolti verso Messina e dovevano demolirsi a spese del Municipio.

La popolazione, reagì indignata strappando tutti i manifesti affissi in città, compresi quelli attaccati alle colonne del Municipio, sotto gli occhi delle Sentinelle della Guardia Nazionale.

La protesta crebbe minacciosa da parte della cittadinanza pronta aostacolare l’appalto dei restauri e l’inizio dei lavori.

La Gazzetta invita il Governo a evitare il malcontento popolare col pericolo di convertire l’affetto dei cittadini in avversione.

Se si ritiene che una Cittadella debba essere necessaria alla difesa dlla città, si propone una nuova costruzione al Faro”.

Il mese successivo, così replicava:

2 aprile 1862. “Sappiamo da sicura fonte che il Signor Prefetto abbia esposto al Ministro della Guerra i sentimenti di malcontento che la pubblicazione dei Manifesti per l’appalto dei lavori di restauro della Cittadella han prodotto in Messina e che il Ministero abbia assicurato di riferire in merito al Consiglio dei Ministri.

Secondo alcuni chiarimenti avuti, i restauri sono limitati ai rifacimenti delle coperture di alcuni Magazzini e di abitazioni danneggiate durante il bombardamento contro la Cittadella ad opera di Cialdini.

Ora, le disposizioni già date, i chiarimenti somministrati sulla poca importanza dei lavori da effettuarsi alla Cittadella e gli incarichi già affidati per il da farsi, ci devono convincere che il Governo del Re Galantuomo non è sordo ai giusti reclami dei Popoli; che le nostre speranze per la demolizione della Cittadella si consolidano; che un migliore avvenire è riservato ai futuri destini di Messina”.

Ma a dispetto di ogni attesa, nel 1863, il Forte S. Salvatore, la Cittadella e tutta l’area circostante passarono sotto la giurisdizione della nuova amministrazione militare; nella Cittadella e nella spianata di S. Ranieri vennero insediati il Distretto Militare, la Direzione Artiglieria, il Comando di Artiglieria, la Stazione Torpediniere, l’Artiglieria da Costa… In merito poi alla Cittadella, se ne valutò vantaggioso il riutilizzo relativamente al fronte a mare, per la capacità di sostenere il Bastione Don Blasco e supportare la Batteria Lanterna, grazie alle sue  numerose batterie.  

Vennero, a tal proposito, proposti una serie di interventi di adeguamento dei parapetti, dei salienti, delle cannoniere e la costruzione di traverse.

A causa invece dei molteplici difetti strutturali legati all’altezza dei parapetti del fronte a terra della fortezza, alla presenza di numerose riservette esposte ai tiri delle artiglierie e di polveriere situate all’interno bastioni S. Diego, S. Francesco e Norinberga,  si propose di destinarne  i locali ad alloggiamento di truppe.

Nel 1899 le opere della Cittadella, la Lanterna il Forte S. Salvatore venivano ammodernate per la difesa del porto e, insieme alle fortificazioni costruite sulle due coste, divenivano parte integrante del Piano Generale di Difesa dello Stretto di Messina.

Di seguito le batterie di cannoni, che vennero approntate nelle singole strutture[1]:

- Batteria Lanterna

- CITTADELLA

- Controguardia di S. Stefano

- Bastione di S. Stefano

- Bastione di S. Diego

- Rivellino di Porta Grazia

- Bastione di S. Francesco

- Bastione Norinberga

- Rivellino S. Teresa

- Opera Carolina

- Forte S. SALVATORE

- Batteria Nord

- Batteria Campana

- Batteria Fico Basso

Fu solo dopo il terremoto del 1908, con il trasferimento degli Uffici Militari, dei magazzini e dei depositi nella zona di Bisconte-Cataratti che, ad esclusione dell’area occupata oggi dalla Marina Militare, la restante porzione della Zona Falcata, venne restituita al Comune e ripartita tra diversi Enti con una convenzione firmata il 5 luglio 1918[2].

Il 26 agosto 1921, con la consegna delle aree da parte del Comune all’Ente Porto, tutto era pronto per la demolizione.

Il 21 marzo 1922 il Bastione Norimberga veniva raso al suolo e l’Eco di Messina e delle Calabrie così  pubblicava:

“Oggi i suoi potenti bastioni crollano, squarciati dalla dinamite e fra qualche anno la Cittadella sarà sparita. Per quanto essa raccogliesse in se dolorosi e penosi ricordi, noi non possiamo non rimpiangere questa scomparsa, dapoichè è un altro pezzo della nostra vecchia Messina che scompare, un’altra vestigia dei secoli trascorsi che si cancella per sempre.

[…] Là dove sorgeva la vecchia e tetra Cittadella palpiterà invece un giorno tutta una nuova vita commerciale e industriale, la nuova vita di questa martoriata città”.

Ai posteri l’ardua sentenza!

 

[1] Caruso V. - Il Piano Generale per la difesa dello Stretto di Messina – in Lo Curzio M, Caruso V. – La Fortificazione permanente dello Stretto di Messina, EDAS, 2007

[2] Saja M. La perdita dell’Agorà – in DRP, Rassegna di studi e ricerche, La penisola di S. Raineri, a cura di N. Aricò, 2002