S. Giovanni di Malta

La chiesa di S. Giovanni di Malta, secondo la tradizione, fu fondata da S. Placido e dedicata a S. Giovanni Battista il 28 luglio del 540 dal vescovo di Messina Eucarpo. Distrutta dal pirata saraceno Mamuka nel 541, quando trovarono la morte il fondatore, i suoi fratelli Eutichio e           

Vittorino e la sorella Flavia, fu ricostruita dai Benedettini e quindi donata dal Gran Conte Ruggero, nel 1099, ai Cavalieri Gerosolimitani. Eretta a Priorato nel 1136, vi alloggiò Papa Alessandro III nel 1165 ed Eleonora, figlia di Carlo di Napoli, nel 1302. Il 4 agosto 1588, nel corso di lavori interessanti le fondazioni mentre era Gran Priore di Sicilia dell’Ordine Gerosolimitano fra’ Rinaldo Di Naro, vennero portate alla luce delle sepolture con resti umani, identificati per quelli di S. Placido e dei suoi fratelli. Per l’occasione la chiesa venne ricostruita su progetto degli architetti Francesco e Curzio Zaccarella, padre e figlio, mentre alla tribuna lavorarono Camillo Camiliani e Jacopo del Duca; i lavori terminarono nel 1653. Danneggiata dal terremoto del 1783, crollò in parte in quello del 1908. Conserva il pregevole sarcofago marmoreo che custodisce le spoglie del grande Francesco Maurolico (1494- 1575).

Secondo Giuseppe Samonà, la tribuna è da attribuire all’architetto fiorentino Camillo Camiliani in quanto egli, nel 1590, approntava i capitoli per l’appalto della nuova costruzione sulla base dei suoi disegni progettuali. La più antica testimonianza che indica quale autore Jacopo del Duca, è quella di Placido Samperi nel 1644, e, tra l’altro, il del Duca tenne anche la carica di architetto del Senato fin dal 1592. I lavori hanno inizio nel marzo del 1591, quindi, sono abbandonati per essere poi ripresi nei primi anni del sec. XVII e portati a compimento, con il resto della chiesa, nel primo ventennio dello stesso secolo. Tenuto conto che il Camiliani, in quel periodo, era continuamente in giro per la                                 

Sicilia ad assolvere l’incarico ricevuto di ispezionare tutte le fortificazioni e torri costiere esistenti, progettandone di nuove dove lo avesse ritenuto necessario, è plausibile che Jacopo del Duca portasse avanti i lavori, in sostituzione del Camiliani, stravolgendone totalmente il progetto originario.

L’impianto della tribuna è cinquecentesco, con limpida e lineare inquadratura architettonica ottenuta con l’appiattimento degli elementi decorativi contro la parete muraria di supporto, dalla quale aggettano in contenuti spessori. Lo schema compositivo dell’unico ordine di paraste che ingabbiano la facciata con

continuità dal basso verso l’alto, costituisce elemento acquisito dall’ordine gigante romano, come si può vedere anche nelle absidi michelangiolesche della Basilica di S. Pietro; le campiture tra parasta e parasta, tessute da una sottile trama di mattoni a vista che esalta e fa emergere i vani curvi in nicchia, hanno profondi legami con la cupola di S. Maria di Loreto e con la facciata di Santa Maria in Trivio, entrambe opere romane di Jacopo del Duca. 

L’intenzione manifesta è, dunque, quella di conferire al prospetto, nella sua globalità, la veste di uno scenografico monumento funerario di michelangiolesca suggestione, dietro al quale stanno le spoglie dei martiri, creando una composizione a vani curvi poco comune in Sicilia, ma che ha la sua diretta filiazione nell’architettura religiosa romana del Cinquecento. L’apparato architettonico della tribuna costituisce, comunque, un prezioso documento per la città, in quanto elemento di transizione dal manierismo al barocco: barocca è, infatti, la concezione anticlassica del telaio spaziale, scandito dalle alte paraste, senza soluzione di continuità. Ciò dimostra, eloquentemente, quanta differenza c’era tra Jacopo del Duca ed Andrea Calamech, entrambi operanti a Messina alla fine del Cinquecento; entrambi permeati di manierismo michelangiolesco, ma decisamente anticlassico il primo, quanto, invece, era legato ad un conformismo classicheggiante, il secondo.