Fontana del Nettuno

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Realizzata nel 1557 da Giovan Angelo Montorsoli, che firmò l’opera con un’iscrizione incisa sul bordo della vasca ottagonale, prima del terremoto del 1908 era ubicata sulla curva portuale di fronte alla “Palazzata”, e, nel 1934, venne trasferita nel sito che occupa attualmente per volere dell’allora prefetto Michele Adinolfi.

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Concepita come una mitica allegoria delle pericolose acque dello Stretto che nei favolosi mostri Scilla e Cariddi trovano la loro personificazione, sembra che alla sua ideazione abbia partecipato, così come per quella di Orione, Francesco Maurolico che fu l’autore delle iscrizioni in latino.

Dal centro della vasca, che poggia su un grande basamento quadrangolare a gradini ornato da pannelli in bassorilievo con raffigurazioni di tridenti, conchiglie e delfini e sui cui bordi sono graffite diverse iscrizioni, fra le quali, il nome dell’autore JO. ANG. FLOREN. SCULPSIT, s’innalza un piedistallo che accoglie agli angoli quattro cavalli marini idrofori, decorato dagli stemmi in bassorilievo dell’imperatore Carlo V con le colonne d’Ercole, il motto “plus ultra” e il collare dell’Ordine del “Toson d’Oro” e di Filippo di Spagna. Ai lati, permeate di intenso dramma tipicamente michelangiolesco, Scilla e Cariddi urlano cercando di divincolarsi dalle catene con le quali sono state ridotte all’impotenza da Nettuno, che si erge sopra di loro con un tridente sulla mano sinistra e un delfino la cui coda si attorciglia ad una gamba. Scilla è raffigurata con petto e viso di donna ed ha legate, sul ventre, teste di cani latranti e coda di pesce; anche Cariddi ha sembianze femminili, col ventre di lupa e coda di pesce.     

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Il braccio destro, ora proteso verso il mare, prima del sisma era rivolto in direzione della città in segno di affetto e protezione, e, ciò, aveva un suo logico significato, tenuto conto della storica vocazione marinara di Messina.

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La statua di Scilla, danneggiata dai colpi di cannone durante la rivolta antiborbonica del 1848, è stata sostituita da una copia eseguita da Letterio Subba nel 1858 e l’originale è custodito nel Museo Regionale, così come il Nettuno, la cui copia ottocentesca è una riproduzione fedele dovuta a Gregorio Zappalà, che la realizzò nel 1856.