Case Cicala

Realizzate dopo il 13 settembre 1864 dai fratelli Giacomo e Giovanni Cicala, configurano significativamente quel particolare fenomeno urbano che nell’Ottocento uniformò e razionalizzò, con cospicue e incisive realizzazioni, l’assetto territoriale della città.

Si compongono di quattro fabbricati rettangolari a tre elevazioni fuori terra compresi i mezzanini e presentano nelle facciate i caratteri compositivi peculiari delle “case in linea” ottocentesche messinesi.

A pianoterra, il passo modulare scandito dalle alte aperture architravate, originariamente di accesso a botteghe, depositi e anche stalle, viene ulteriormente sottolineato dai sei ingressi principali ad arco (tre per edificio), il cui compito, oltre che funzionale (accesso ai piani superiori delle abitazioni) è anche formale, stando ad evidenziare, in facciata, le singole unità architettoniche.

Tipici gli interni con atrio quadrato, nicchie incorniciate per statue, finestre ellittiche al livello dei pianerottoli della scala avvolgente, soffitti voltati a crociera con tracce di pitture decorative. Al primo piano tutta una serie di finestrelle rettangolari ed all’ultimo piano, con balconcini, conferiscono alla facciata un equilibrato e pacato ritmo compositivo nell’alternarsi dei pieni e dei vuoti. Da questo e dagli altri palazzi, situati in varie parti della città, si può ricostruire fedelmente il tipo edilizio di casa familiare del ceto medio messinese che, ovviamente, è prevalente su quello agiato e costituisce il tessuto connettivo della città. La sua formazione in pianta ed in alzato obbedisce a regole precise, quasi codificate, dettate dal modo di vita degli abitanti e ben rispondenti, a quanto sembra, se si mantiene e si diffonde per tutto il secolo XIX.

Una casa ottocentesca messinese del ceto medio si sviluppa generalmente su due o tre elevazioni fuori terra: il pianoterra è occupato da botteghe a conduzione familiare, depositi o anche stalle e siccome è forte desiderio dell’artigiano o del piccolo negoziante di realizzare il connubio “casa-lavoro” (“casa e putìa”), viene ricavato il cosiddetto “mezzanino” o piano ammezzato destinato all’abitazione, corrispondente alla seconda elevazione fuori terra, di bassa altezza (generalmente mt. 2,40) e collegato al pianoterra tramite scala lignea interna ad unica rampa.

Carenti in ogni caso, se non assenti del tutto, sono i servizi igienici frequentemente ricavati alla meno peggio con parziale chiusura dei balconi verso i cortili interni. Le camere sono comunicanti fra di loro per sfruttare al massimo lo spazio e in pochi casi viene inserito il corridoio di disimpegno.

Palazzo Arcivescovile

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Sulla via Primo Settembre, all’incrocio con Via Garibaldi, si incontra il Palazzo Arcivescovile. Distrutto dal terremoto del 1783, fu ricostruito su progetto del famoso architetto Francesco Saverio Basile. Il palazzo destava ammirazione per le decorazioni della facciata e per le elaborate colonne che fiancheggiavano il portone principale col balcone sovrastante. Nel 1848 si incendiò, insieme ad altri edifici, durante i moti rivo

Ricostruito alla meglio, ma in pessime condizioni, ha resistito in parte al terremoto del 1908. Nel 1915 giunse da Roma il decreto di approvazione del progetto per la costruzione del nuovo Palazzo Arcivescovile, con annesso Seminario. Progettato dall’ing. Fleres, i lavori furono ultimati nel 1924, anno in cui mons. Angelo Paino inaugurò i nuovi locali dove lui stesso abitò per poi ritirarsi in Seminario, che, nel frattempo, non era più nella sede arcivescovile ma trasferito nell'edificio di Viale Giostra.
L’attuale presule della città, mons. Calogero La Piana, è il centoduesimo Arcivescovo della città.

Palazzo Calapaj D’Alcontres

 

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Della seconda metà del ‘700, il palazzo Calapaj-D’Alcontres ancora esistente nella via S. Giacomo, di autore anonimo, rispecchia già quelli che saranno alcuni dei leit-motiv ottocenteschi: l’uso di festoni decorativi sopra le finestre, i giganteschi cantonali agli angoli, l’ampio cortile e scalinata all’interno.

Nonostante i diversi restauri, il palazzo è l’unico esempio rimasto integro di edificio signorile della classe agiata dell’epoca a tre ordini, con cornicione composito ornato da una serie di antefisse (le stesse usate da Saverio Francesco Basile, nel medesimo periodo, in Palazzo Avarna che sorgeva nella piazzetta antistante la chiesa dell’Annunziata dei Teatini al corso Cavour), festoncini appuntati sulle finestre e intelaiatura prospettica rettilinea che sottolinea ed esalta la struttura muraria interna.

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Data la particolare destinazione sociale, è chiaro che questo tipo abitativo ubbidisce a canoni ben diversi da quelli esclusivamente funzionali che sono alla base dell’edilizia del ceto medio: la casa diventa il mezzo per ostentare una posizione sociale raggiunta, con tutti gli annessi e connessi; ci vuole il locale per tenere cavalli e carrozza, quelli per la servitù; l’androne d’ingresso non deve solo contenere la scala ma essere un tripudio di arcate, fontane, statue; la massa strutturale deve dare l’impressione di solidità così come solida è la fortuna economica di quelli che vi abitano.
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Tale “status” sociale è in Palazzo Calapaj-D’Alcontres apertamente manifestato nella magniloquenza formale e decorativa della facciata principale di via S. Giacomo: l’ordine gigante dell’insieme portale-balcone centrale posto in gran risalto; le potenti paraste d’angolo interrotte dalla fascia-marcapiano che ricorre per tutta la facciata; la zoccolatura basamentale in pietra squadrata, inglobante le proporzionate e ben disegnate finestre del piano seminterrato.  Un gusto e una sensibilità particolare per il dettaglio rivela l’ignoto architetto nel disegno dei pseudo-balconi, appiattiti sulla facciata, con il cornicione pochissimo aggettante che diventa al tempo stesso mensola di calpestio ed elemento decorativo uniformante, alternandosi da rettilineo a leggermente incurvato. Ordine compositivo e rigore formale della facciata alla quale si contrappone la ben costruita “anarchia” distributiva dei pieni e dei vuoti nel prospetto laterale.

In tutto questo, un ruolo fondamentale viene assunto dal cortile interno e dalle scale, elementi strettamente collegati fra loro e tesi al raggiungimento di vivaci effetti scenici e di dinamismo spaziale, intesi come momento di vita cittadina proiettato dall’esterno all’interno del costruito e assumendo i connotati di “piazza privata” con funzione di spazio urbano dove si correlano più stretti i rapporti sociali.

Palazzo degli Elefanti

     

Il Palazzo degli Elefanti, a destra, in una foto precedente al terremoto del 1908.
    A sinistra si eleva la massiccia mole del Grande Ospedale

Parecchi bei palazzi si affacciavano sulla via Porta Imperiale e di essi ne sono rimasti pochissimi, risparmiati dal terremoto e ridotti allo stato di rudere o quasi. I resti di uno di questi si trovano nelle vicinanze della chiesa della Madonna del Carmine, e sono riferibili, per lo stile, al sec. XVIII. Lo si può definire come uno degli ultimi esempi di quell’architettura nata dalla stretta ed omogenea collaborazione fra architetti e maestranze, dalla loro completa fusione ed interrelazione. Infatti, molto lentamente, nella prima metà dell’800, e, poi, con grande velocità negli ultimi trent’anni del secolo, si perverrà alla rottura di quell’equilibrio e di quell’accordo che erano stati sempre vivaci tra i progettisti e gli esecutori. L’architettura passerà totalmente nelle mani degli ingegneri che, presi dal gusto per l’imperante eclettismo, riesumeranno, con le loro opere, forme architettoniche gotiche e rinascimentali imitando frequentemente i capolavori del passato.

Del palazzo di via Porta Imperiale scrive Gaetano La Corte Cailler ne “Il mio Diario”, ristampato a cura e con note di Giovanni Molonia: “2 Febbrajo (Venerdì) [1912] – Gli sgombri in Via del Tirone e Via degli Angeli proseguono alacremente. Dietro il Palazzo rimpetto l’Ospedale, proprietà del Dr. Miceli ma che fu già dei Benedettini della Maddalena (dove abitò lungamente il Prof. Giacomo Macrì) e che presenta bella architettura, con portone decorato da due teste di elefanti (ricordo forse di un proprietario catanese) e che si crede architettura di Nicolò Francesco Maffei, vidi il giardinetto, che presenta ancora dei portici signorili con nicchie, vaschette ecc. Ultimamente, prima del disastro, eran ritirate colà alcune monache.

Sulla facciata che guarda in via Porta Imperiale si aprono il portale principale d’ingresso ed altri due portali  minori ad architrave. Il portale maggiore, dalle forme estremamente semplici, è affiancato da due teste di elefante scolpite, motivi decorativi atipici nel panorama architettonico locale.

Il piano superiore, andato parzialmente distrutto, è movimentato da tre balconi che sormontano i portali e di quello in corrispondenza della porta maggiore sono rimaste le sole forti mensole aggettanti, quasi identiche nel disegno a quelle del Monte di Pietà.

Palazzo del Banco di Sicilia

Sulla via Garibaldi, ad angolo con la via Primo Settembre, sorge il palazzo del Banco di Sicilia, unico edificio realizzato secondo l’idea originaria per la costruzione della nuova Palazzata che doveva sorgere lungo la via Vittorio Emanuele II.

Venne edificato nel 1929, su progetto di Camillo Autore, vincitore del concorso per la realizzazione della nuova Cortina del Porto.

Palazzo dell'Università degli Studi

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Dirimpetto al Palazzo di Giustizia, sulla via Tommaso Cannizzaro, si erge il complesso edilizio ricostruito dopo il terremoto del 1908 su una superficie di oltre 20 mila mq. e progettato dall’architetto Giuseppe Botto. Iniziati i lavori nel 1920, il plesso universitario venne inaugurato, solennemente, il 20 ottobre 1927. Costituito da sette palazzine ad una sola elevazione fuori terra, ha il suo ingresso principale dalla piazza di recente intestata al grande giurista messinese Salvatore Pugliatti. La palazzina centrale, oltre ad ospitare tutti gli uffici amministrativi ed il Rettorato, è anche sede dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti e della Società Messinese di Storia Patria.

Nell’Ateneo messinese insegnarono, fra gli altri, Giovanni Pascoli, Salvatore Pugliatti e Gaetano Martino. 

Palazzo dell’INA-INPS

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Percorrendo la piazza Antonello verso la via Consolato del Mare, si ammira il prospetto del Palazzo dell’INA-INPS, progettato dall’arch. Peressutti.

Le decorazioni della facciata sono sobrie e architettonicamente ben rifinite.

L'edificio è anche arricchito da una galleria  coperta a vetri che lo attraversa, attualmente non  fruibile perché chiusa ai due ingressi da robusti cancelli. Molto curate sono le soluzioni applicate ai quattro angoli del palazzo, con l'inserimento di fontane angoliere in stile eclettico neo-settecentesco.