Adolfo Celi

 celiritratto.jpg

Adolfo Celi

Adolfo Celi (Messina, 27 luglio 1922 – Siena, 19 febbraio 1986) è stato un attore, regista e sceneggiatore italiano.

Nato a Messina, era figlio di Giuseppe Celi (prefetto di Grosseto e di Padova e Senatore del Regno) e di Giulia Mondello. Adolfo Celi cresce tra la Sicilia e il Nord Italia; tra le sue residenze c'è anche Padova. Grazie a una cinepresa amatoriale regalatagli dal padre incomincia a impratichirsi con la ripresa. Nel 1942 si'scrive all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico" di Roma. Qui conosce, tra i tanti, Vittorio Gassman, Mario Landi e Vittorio Caprioli, che gli trasmettono la passione per il teatro e per il cinema. È un grande amico di Renato Baldini.

Nel 1946 viene scritturato per il film Un americano in vacanza di Luigi Zampa, cui seguono due anni dopo Proibito rubare di Luigi Comencini e Natale al campo 119 di Pietro Francisci; nello stesso anno Aldo Fabrizi gli avanza una proposta che gli cambia la vita: la partecipazione al film Emigrantes, girato in Argentina.

Successivamente spostatosi in Brasile, si appassiona a questa terra, tanto che decide di rimanerci per quindici anni, prima al teatro TBC di San Paolo, poi fondando, con l'allora moglie Tonia Carrero e Paulo Autran, il Teatro Brasileiro de Comédia di San Paolo e la compagnia di prosa "Carrero-Celi-Autran"; agli inizi degli anni Cinquanta la produzione cinematografica Vera Cruz affida inoltre a Celi la regia dei film Caiçara (1950) e Tico-Tico no Fubá (1952).

Celi è considerato a tutt'oggi uno dei più importanti registi del Brasile: a lui si deve infatti la definizione di nuovi canoni di sperimentazione teatrale, cinematografica e televisiva, allora agli esordi. In Brasile Celi inizia anche una carriera di caratterista cinematografico, recitando nei film L'uomo di Rio (1963) e Agente 007 - Thunderball (Operazione tuono) (1965), che gli conferiscono una notorietà internazionale e ne favoriscono il ritorno in Italia.

Rientrato nei primi anni sessanta, trova un cinema molto diverso da quello che aveva lasciato e in pieno sviluppo. Si specializzerà nelle parti del "cattivo", sia nei film western o d'azione sia, con una certa autoironia, nelle commedie, dove interpreta frequentemente personaggi malvagi o potenti. A 45 anni è tra i pochi attori italiani che sappiano recitare anche in inglese e grazie alla bravura e alla preparazione professionale viene ingaggiato come protagonista o comprimario in numerosi film internazionali, tra cui: Il tormento e l'estasi di Carol Reed (1965); Il colonnello Von Ryan di Mark Robson (1965); Grand Prix di John Frankenheimer (1967); Masquerade di Joseph L. Mankiewicz (1967); Il fantasma della libertà di Luis Buñuel (1974).

IR10855952.jpg

 

Nel 1969 esce l'unico film italiano da lui diretto, realizzato con i suoi compagni d'accademia Vittorio Gassman e Luciano Lucignani: l'autobiografico L'alibi. In Italia il culmine del successo arriva quando entra a far parte del cast della fortunata trilogia di Amici miei (1975, 1982, 1985) nei panni del professor Sassaroli, un primario ospedaliero brillante ma annoiato dal lavoro, che si unisce alle allegre "zingarate" di un gruppo di amici fiorentini.

Diretto da Daniele D'Anza, nel 1972 interpreta il medico nazista nello sceneggiato Rai Il sospetto, oltre a vestire i panni del poliziotto italo-americano Joe Petrosino nello sceneggiato omonimo mentre, tre anni dopo, interpreta Don Mariano D'Agrò nello sceneggiato L'amaro caso della baronessa di Carini.

Il suo volto viene fissato nella memoria del pubblico italiano però con la partecipazione alla miniserie televisiva Sandokan (1976), diretta da Sergio Sollima, in cui interpreta il ruolo di lord James Brooke, acerrimo nemico della "Tigre di Mompracem", interpretata da Kabir Bedi. Sulla scia del successo del personaggio di Brooke, gli viene affidata l'eredità di Giampiero Albertini nello spot di un noto marchio di elettrodomestici. Nel 1981 prende parte al kolossal storico televisivo inglese I Borgia, in cui interpreta (dopo avere impersonato vari prelati e cardinali) la parte di Rodrigo Borgia, salito al soglio pontificio come Papa Alessandro VI.

Tornato al teatro negli anni ottanta, Adolfo Celi viene ricoverato per infarto la sera della rappresentazione teatrale dei Misteri di Pietroburgo di Dostoevskij al Teatro di Siena. Vittorio Gassman prende il suo posto sul palcoscenico. Il 19 febbraio 1986 Celi muore per un arresto cardiocircolatorio.

Grazie all'associazione DAF di Giuseppe Ministeri e al Comune di Messina, nel 2006 è stata posta per il ventennale della scomparsa una targa commemorativa nella casa natale di Celi in via Brescia nel Quartiere Lombardo. Gli è stata inoltre intitolata una via nella zona sud della città e si è svolta una cerimonia alla presenza di Kabir Bedi, che recitò con Celi in Sandokan. Con quell'esperienza, Celi riuscì a prendere il volo verso Roma. "Sono nato nel Quartiere Lombardo... e ho ancora tantissimi amici di grande intelligenza e profonda cultura. È vero che il terremoto, ma anche il secondo conflitto mondiale, hanno fatto abbandonare a molti la città. Dopo la maturità, nel 1940, sentivamo fortissima l'aria del continente e l'inizio dei bombardamenti contribuì a far lasciare Messina", ha raccontato Celi.

Adolfo Celi è stato sposato tre volte: con Tonia Carrero dal 1951 al 1963, con Marília Branco dal 1964 al 1965 e con Veronica Lazar dal 1966 fino al 1986.

Con Veronica Lazar ha avuto due figli: Alessandra (1966), attrice, e Leonardo (1968), autore del documentario Adolfo Celi, un uomo per due culture, realizzato nel 2006 per ricordare il padre sempre a vent'anni dalla scomparsa e presentato nel 2008 alla Festa del Cinema di Roma nell'ambito della rassegna organizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo Adolfo Celi e i ragazzi tornati dal Brasile.

È sepolto al Cimitero monumentale di Messina.

Angelo Paino

paino.jpg

Angelo Paino

Terzo figlio di Onofrio Paino e di Anna De Stefano, Angelo veniva alla luce il 21 giugno 1870 nell'isola S. Marina di Salina nelle Eolie. Chiamato dalla voce del Signore ancora ragazzo, indossava poi l'abito sacro e preparava la sua vita al grande ministero sacerdotale.  A Napoli conseguiva la laurea in Teologia e Diritto Canonico e Civile, e, a Roma la laurea in Filosofia presso la Pontificia Accademia di S. Tommaso.

Il 16 settembre 1894, a ventiquattro anni, diventava sacerdote e dal 1906 al 1908 assumeva la direzione del Seminario di Trapani. Il 20 aprile del 1909 lo raggiunse la nomina a Vescovo di Lipari dove, fra le tante realizzazioni, col suo personale contributo di centinaia di migliaia di lire creava un ospedale – ospizio ed a Salina donava perfino la sua casa paterna per l'istituzione di un asilo infantile.  Ma l'Arcivescovo di Messina, mons. D'Arrigo,  lo voleva come suo coadiutore  per l'opera immane di ricostruzione  della città distrutta  dal terremoto del 1908 e così, nel 1921 , rinunziava alla sede di Lipari per diventare vicario generale dell' arcivescovo.

Alla morte di mons. D'Arrigo, Angelo Paino veniva nominato nel 1923 arcivescovo di Messina e per tutta  la sua vita si dedicò, anima e corpo, alla rinascita della  città: ben 132 chiese costruite ex-novo;  72 chiese restaurate ed ampliate;  133 case canoniche e conventi; 7 istituti di istruzione media  e superiore; 12  grandi istituti ed ospizi di beneficenza ed assistenza; 9 asili infantili; 2 biblioteche, praticamente la ricostruzione dell' Archidiocesi messinese.

E, ancora, fece realizzare la stele votiva della Madonnina del porto, fondò e dotò la famosa " Biblioteca Painiana", istituì la Pinacoteca e la Galleria d'Arte nel Palazzo Arcivescovile. 

Morì a Messina il 29 luglio 1967, a 97 anni, e il suo corpo tumulato nella grandiosa Cattedrale che due volte egli fece risorgere dalle macerie: dopo il terremoto del 1908 e dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale.   

Antonello da Messina

antonello.jpg

Antonello da Messina

Uno dei più grandi pittori rinascimentali, nasce nel 1430 nella contrada detta dei "Sicofanti" (nella zona di Messina che oggi gravita vicino al Monastero di Montevergine, in via 24 Maggio ). I primi rudimenti dell'arte li apprende dal padre Giovanni Michele de Antonio, marmoraro, e, verso il 1450, si reca a Napoli per studiare e perfezionarsi presso la bottega di Colantonio. E' il periodo dei dipinti giovanili, il "San Girolamo penitente", "Santa Eulalia", "Santa Rosalia", " Madonna col Bambino e due Angeli reggi-corona ", nei quali Antonello manifesta il gusto fiammingo, allora in gran moda a Napoli, e particolare interesse nei confronti della pittura ad olio. Ritorna a Messina nel 1455 per sposarsi con Giovanna Cuminella, mettere al mondo i figli Jacopo, Caterinella, Finia e aprirvi bottega.

E' questo il  periodo più fecondo della sua attività con la realizzazione di Madonne, Crocifissioni, Ecce Homo, ritratti e gonfaloni per le Confraternite siciliane. Nel 1473 dipinge, per conto del Monastero di San Gregorio a Messina, il celebre omonimo polittico oggi al Museo Regionale della sua città natale, e, nel 1474, si reca a Venezia dove esegue la "Pala di San Cassiano" e il " San Sebastiano". Ritorna a Messina nel 1476 dove muore tre anni dopo. Il suo corpo, per volontà testamentaria, viene sepolto nella cripta della chiesa S. Maria dil Gesù Superiore a Ritiro, con indosso il bruno saio francescano.

Antonio Saitta

 saitta2.png

 Antonio  Saitta  (1903 – 1987) libraio, poeta,gallerista

Da giovane iniziò la sua attività come libraio nella Libreria Ferrara, poi,  con una cooperativa di soci subito dopo il primo conflitto mondiale, nella Libreria dell'O.S.P.E. in via Tommaso Cannizzaro che, tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta, si trasferì a piazza Cairoli.

Stimolato dalla frequentazione con i letterati che si incontravano in libreria, Antonio Saitta diventò anche poeta dialettale e  gallerista d'arte.

Così nacque il "Fondaco" nel vano cantinato della libreria dove si tenevano le mostre e gli incontri serali dei frequentatori abituali quali Vann'Antò (Salvatore Di Giacomo), Salvatore Pugliatti, Salvatore Quasimodo e tanti altri che si aggiungevano, dagli allievi dell'Università, docenti  pendolari, pittori, poeti, letterati, musicologi alle altre personalità che giungevano in città. Proprio qui nacque la scapigliata “Accademia della Scocca” e l’idea di celebrare le riunioni per il conferimento di onorificenze e dignità agli accademici, durante cene-conviviali nei rinomati ristoranti di Ganzirri e particolarmente nelle trattorie, visto che tutti i convitati erano raffinati esponenti della cultura che apprezzavano il buon cibo, il buon vino ed anche la chiassosa compagnia.

Una compagnia molto amalgamata e  unita, appunto, come in una "scocca" di pomodoro: per questo Saitta usò spesso l'espressione "una scocca di amici".

Era il 1949 e questi conviviali erano sempre annunciati da un invito scritto dallo stesso Saitta su carta di pasta e illustrato dagli artisti della “Scocca”, quali i fratelli Zona o Giuseppe Vanadia..

Con la morte di Antonio Saitta scomparve l'ultima delle figure mitiche, dopo Vann'Antò,  Pugliatti e Quasimodo, che fecero della libreria dell’ OSPE il centro più vivace e prolifico della vita intellettuale e culturale di Messina.

Saitta vinse diversi premi fra i quali, nel 1953,  il Primo premio di poesia «Sicilia» e il Premio De Gasperi di poesia dialettale. Nel 1956 la Camera di Commercio di Messina gli conferì la medaglia d'oro di benemerenza.

Il vicesindaco di Messina, On. Giovanni Ardizzone, in una nota inviata all'assessore alle politiche scolastiche Salvatore Magazzù, scrive:

  “Tra gli altri, forse non molti (purtroppo), spicca il sodalizio che, attorno alla celeberrima Libreria dell’Ospe (con le sue complementari figure associative del “Fondaco” e della “Accademia della Scocca”), si è costituito ed ha operato negli anni '50 - '80 nella nostra Città. Vann’Antò, Quasimodo, Pugliatti e Saitta sono stati fonti anche di eredità culturali non tutte valorizzate e certamente non concretamente incrementate dopo la loro scomparsa rispettivamente nel 1960, 1968, 1976 e 1987”.  

Pertanto, “a parte ogni altra auspicata iniziativa di rinascita di quei valori culturali che la vita di questi illustri concittadini ha saputo esprimere, è sembrato opportuno completare l’intestazione, a loro nome, di altrettanti istituti scolastici”. E a tal proposito “acquisita ormai da tempo l’intestazione di scuole a Vann’Antò, a Quasimodo ed a Pugliatti (per quest’ultimo ben 2, a Giardini Naxos e a Castanea) – scrive ancora il vicesindaco – rimane adesso da completare queste intestazioni nel nome, altrettanto illustre, di Antonio Saitta”.

“Si ricorda che proprio già all’indomani della sua scomparsa, il quotidiano locale in prima pagina ne dava la triste notizia con una fotografia che ritraeva Pugliatti, Quasimodo e Saitta (nella “terza pagina” della Gazzetta del Sud dell’11 agosto 1987, un primo articolo commemorativo di Antonio Saitta). Nel frattempo il Consiglio Comunale di Messina, riunito in seduta straordinaria, deliberava l’assegnazione all’illustre scomparso di un loculo nella zona del Gran Camposanto destinata ai messinesi illustri. Ed è proprio lì che Saitta è stato sepolto ed è oggetto di costanti manifestazioni di affetto, come fanno fede i fiori sempre freschi che adornano il loculo”.

“Sembra a questo punto doveroso -  conclude il vice sindaco -  intestare ad Antonio Saitta un plesso scolastico, che sarebbe stato individuato per il momento nella scuola elementare di S. Margherita, sita a distanza di pochi decine di metri dalla villa dove l’illustre poeta-libraio saggista trascorse gli ultimi anni della sua vita, conclusasi proprio lì il 10 agosto 1987”.

Antonio Bonfiglio

image0011.jpg

Antonio Bonfiglio, scultore messinese (1895-1995)

Nato a Messina il 16 gennaio 1895, Antonio Bonfiglio fu un grande artista, conosciuto sia in Italia che all’estero come scultore, pur avendo esperienza anche come pittore, valido esponente dell’arte siciliana del Novecento.
Ad appena tredici anni frequentò l’Istituto “Alfredo Cappellini” di Messina, diventando allievo del maestro Saccà, valente modellatore del legno. Pochi mesi dopo a Messina giunse il terremoto, che gli fece perdere tutta la sua famiglia.
Il giovane Antonio dovette trasferirsi a Catania, andando a studiare per quattro anni presso la scuola di “Arte e Mestieri”, seguendo gli insegnamenti del Garuglieri, eccellente intagliatore del legno, approfondendo così la sua passione.
Per perfezionare meglio gli studi in questo campo, si trasferì nel 1912 a Roma per frequentare i corsi serali degli ”Incurabili” e poi quelli di Plastica e Architettura del Museo. Per mantenersi gli studi, durante il giorno lavorava come intagliatore del legno.

Antonio Bonfiglio ricordò i difficili anni in cui era stato soldato, decidendo di realizzare due opere che in qualche modo volevano rendere onore ai caduti in guerra: nel 1934 fece un prezioso monumento, inaugurato il 5 luglio dello stesso anno all’ingresso della caserma “Stefano Cutugno”, sede del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Messina e tre anni più tardi un sarcofago con la statua raffigurante il milite ignoto, posta al centro della cripta del Sacrario di Cristo Re.
Tra gli anni Quaranta e Cinquanta insegnò Discipline Plastiche presso il Liceo Artistico “Mattia Preti” di Reggio Calabria, dove viene tuttora ricordato come un’artista insuperabile. Nel periodo in cui stette in questa città ebbe anche l’incarico di costruire una statua bronzea denominata Athena Promachos, posta all’interno del monumento dedicato a Vittorio Emanuele III.
Nel frattempo partecipò a diverse esposizioni internazionali (Atene, Barcellona, Budapest, Parigi e Taormina). In Francia venne particolarmente rispettato.

Tornato a Messina, dal 1954 al 1965 insegnò presso l’Istituto Statale d’Arte “Ernesto Basile” di Messina, su incarico dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione, Gaetano Martino, altro grande messinese.
Negli anni della ricostruzione, Antonio Bonfiglio era uno di quegli artisti che si distinsero di più nel partecipare attivamente alla realizzazione di molte opere pubbliche e private.

A lui si devono molte opere realizzate nella sua città d’origine, come ad esempio le decorazioni esterne dei prospetti del Palazzo Municipale. Alcune statue o busti, per lo più realizzati in bronzo, raffiguravano personaggi famosi, quali:
-Antonello di Messina (1953), posto nello scalone interno del Municipio di Messina;
-Antonio Martino, posto lateralmente al Palazzo municipale di Messina;
-Giacomo Venezian, posto nell’Università degli studi di Messina;
-Giuseppe Mazzini, situato nell’omonima villa;
-Ludovico Fulci, nell’omonima piazza;
-Luigi Rizzo (1965), sul lungomare di Milazzo;
-San Francesco d’Assisi (1965), posta nel sagrato antistante la Chiesa dell’Immacolata a Messina;
Altre erano vere e proprie opere d’arte presso importanti edifici di Messina, tra cui:
– un monumentale altorilievo sormontante il grande portale del palazzo Ina sulla cortina del porto dal lato del mare, raffigurante gli operai mentre erano intenti alle opere di ricostruzione della città dopo il terremoto;
– un bassorilievo marmoreo allegorico inneggiante al lavoro, posto sulla parete dell’ex palazzo Littorio, oggi uffici del Catasto;
-un bassorilievo bronzeo raffigurante l’ingresso di Giuseppe Garibaldi a Messina, collocato sull’edificio di via Garibaldi all’inizio di piazza Cairoli.
-il puttino acquaiolo della fontana Arena, tra il Torrente Boccetta e la via G. Longo;
-alcune figure bronzee di illustri personaggi messinesi nelle pareti del vestibolo d’ingresso della Camera di Commercio;
-il rifacimento della statua di Santa Barbara, che abbelliva il Duomo di Messina prima di andar distrutta dal terremoto;
-il San Pietro in marmo bianco, all’interno del Duomo;
-il Fonte battesimale con San Giovannino in bronzo per la chiesa di San Nicolò all’Arcivescovado;
-gli abbellimenti del Palazzo della Galleria Vittorio Emanuele, con la decorazione delle parti ornamentali dei prospetti interni ed esterni al percorso vetrato;
Nel 1948, Bonfiglio aveva anche realizzato un bozzetto per la realizzazione di un nuovo monumento della città, un Colapesce (simbolo mitologico della città) che, in base al progetto, avrebbe dovuto porsi all’interno della fontana della piazza adiacente la Stazione di Messina. Di questo progetto non se ne fece nulla, e ne rimase solo il bozzetto originale posto all’interno del Municipio, nella stanza del sindaco.
Della sua arte se ne può trovare traccia anche in altre città:
-a Catania, dove per la fontana della villa Bellini realizzò alcuni puttini
-a Salina, con una grande statua marmorea raffigurante la Madonna, posta sulla facciata del Santuario;
-a Castell’Umberto, con un busto marmoreo della Madonna Assunta, che sormonta il portone principale della Chiesa madre.
Dopo aver trascorso ben ottanta anni di attività artistica dedicati con passione, morì nel 1995 a Condrò, in provincia di Messina, (la sua tomba, realizzata da lui, è adornata da una scultura raffigurante il volto della Madonna e del Cristo morto) dove aveva vissuto i suoi ultimi giorni, da centenario quasi dimenticato.

Antonio Maria Jaci

 jaci.png

Antonio Maria Jaci

Nato a Napoli il 15 ottobre 1739 da Nicolò, napoletano e da Agata Ferrara, messinese, la sua città fu sempre Messina nella quale giunge ancora ragazzo, dopo la morte dei genitori, per andare a vivere con lo zio materno Annibale. A Messina si dedica allo studio della filosofia e della matematica presso il Collegio dei Gesuiti, conseguendo la laurea in fisica, matematiche e medicina.

A soli 18 anni, nel 1757, decide di abbracciare la vita ecclesiastica ma, arriverà al sacerdozio soltanto nel 1765, a causa delle sue povere condizioni economiche. Nel 1780 si reca a Napoli dove il Collegio Nautico ha bisogno di un professore, ma Jaci è povero e, soprattutto, sconosciuto e senza alcuna raccomandazione. Senza speranza se ne torna a Messina dove gli viene offerto l'incarico di docente di Filosofia e Matematica presso il Seminario Arcivescovile, con un modestissimo compenso.

Qui, su incarico dell'Accademia Peloritana dei Pericolanti, realizza una perfetta meridiana all'interno della Cattedrale e inventa l'"ampolletta mercuriale", d'importanza capitale per la nautica, che consentiva l'esatto calcolo della longitudine durante la navigazione in mare aperto. Pubblica, a causa delle sue modeste condizioni economiche, poche opere di alto interesse scientifico mentre tutta l'altra sua cospicua produzione rimase purtroppo manoscritta e dispersa:  " L'orizzonte della longitudine, ossia la nuova macchina con la quale due osservatori, visionando gli astri, possono calcolare la longitudine, la latitudine e l'azimut della nave " (1798); "Dissertazione sulla facile soluzione delle equazioni cubiche e del caso irriducibile con un solo metodo  " (1808); "La longitudine in mare, ovvero una nuova aggiunta all'orizzonte" (1813).

Abbandonato da tutti, ormai completamente cieco e con un modesto sussidio di 50 lire mensili accordatog

Carlo Falconieri

carlo-falconieri.jpg 

Carlo Falconieri

Nato a Messina il 20 ottobre del 1809, giovanissimo vi esordiva come scrittore d'arte: aveva appena venti anni quando diede alle stampe, a Firenze, un suo erudito e particolareggiato studio su un dipinto del pittore Andrea Suppa, conservato nella chiesa messinese della Santissima Annunziata dei Teatini.

Nella sua città si forma artisticamente presso la scuola del pittore Letterio Subba, ma il suo spirito ribelle ed avventuroso lo porta a partecipare alle prime sollevazioni liberali fino al 1827, anno in cui gli viene offerta da Francesco I la direzione dei Pensionati delle Belle Arti a Roma.

Il temperamento irrequieto lo porta ancora a vagabondare e, nel 1831, è a Firenze per poi tornare nuovamente a Roma, dove rimane per circa 12 anni. Insieme agli architetti Francesco Gasperoni e Giuseppe Servi fonda un giornale d'informazione e di critica artistica, " il Tiberino", in difesa del neoclassicismo e in aperta condanna del romanticismo. Nel 1833 progetta un cimitero monumentale a Napoli e, tornato nella sua Messina nel 1842, perchè chiamato dal Senato in occasione delle feste  secolari della Madonna della Lettera con l'incarico di eseguire una "macchina" per i fuochi pirotecnici, progetta e realizza la fontana celebrativa per la piazza Ottagona ( oggi in piazza Basicò), il Palazzo del Peculio Frumentario e un tempietto destinato ad accogliere il monumento a Francesco Maurolico, all'interno dell’ odierna Villa Mazzini (1859). Ma la sua opera messinese più bella, fortunatamente ancora esistente, è la villa–castello che realizza per Tommaso Landi nel 1847, su un'altura dominante il Torrente Boccetta.

Riaffiora ancora una volta la sua indole ribelle di autentico patriota e, nel 1848, è fra le barricate a combattere durante i moti rivoluzionari  messinesi antiborbonici: in conseguenza di ciò è costretto all'esilio e riprende la congeniale vita di peregrinazioni in Italia e all'estero, accompagnata da intensi studi e ricerche. In questo periodo, ricadono i quattro anni di residenza a Londra, dove Falconieri esegue lavori a Buckingam Palace e progetta un imponente e scenografico cimitero  che non sarà realizzato.  Seguono il teatro Chiabrera a Savona (1853), la Corte Superiore di Cassazione a S. Maria Novella e il Ministero degli Affari Esteri al palazzo della Signoria, a Firenze. Nel 1865 è ingegnere-architetto del governo italiano e proprio a lui, in occasione del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, viene affidato il prestigioso e invidiabile incarico di adattare, nel palazzo Vecchio e nel teatro Medici agli Uffizi, le sedi delle due assemblee legislative.

Carlo Falconieri morirà lontano dalla sua Messina, cui il suo animo si era sempre rivolto con memore tenerezza, il 15 marzo 1891, trovando sepoltura nel Campo Verano a Roma.