Il Convitto Andrea Cappellini

 

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Carlo III di Borbone (1716-1788, re di Napoli con il nome di Carlo VII e poi re di Spagna con il nome di Carlo III ), esempio di sovrano illuminato, ebbe il merito, giovandosi di valenti ministri, di avviare importanti opere riformatrici, tra cui l’assistenza ai bisognosi con l’istituzione ante litteram di una catena di “Alberghi dei Poveri”; in seguito, Ferdinando I di Borbone (1751-1825), re delle Due Sicilie, nel 1791 ne istituì uno a Messina sul modello di quello esistente in via Foria a Napoli.
Il “gesto regale” di Ferdinando rappresentò, più che una sincera liberalità, la politica espressa eloquentemente con lo slogan “Tutto per il popolo, ma nulla con il popolo”. Coniato da Giuseppe, figlio e coreggente dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo (1717-1780), questa locuzione di due concetti opposti, sintetizza quel percorso politico che gli storici chiamano dispotismo illuminato, tanto radicato nelle monarchie del tempo. Ma, al di là dei motivi politici, l’incremento assistenziale ai poveri e bisognosi della città di Messina non poteva avere che effetti benefici, considerando il costante innalzamento della soglia di povertà.

Come sede del pio istituto, denominato La Casa dei Poveri, fu adibito, dopo opportuni restauri, il fabbricato dell’abolita Casa Gesuitica di San Francesco Saverio, sito in via Concezione n. 11.
Il prospetto, di stile baroccheggiante, del grandioso edificio a tre piani, presentava 13 aperture e 8 lesene bugnate: due ai lati del portone e tre in ciascun lato. L’originario finestrone sul portone, fu trasformato in un elegante balcone balaustrato, sostenuto da tre artistici mensoloni con teste di sirena; dal vestibolo, si accedeva al chiostro di pianta quadrata, con cinque arcate per lato e ventiquattro eleganti volte a crociera in giro.
A piano terra, vi erano le officine meccaniche e i laboratori, all’ammezzato la direzione, l’infermeria, le scuole e gli alloggi del personale, mentre al piano superiore (in alcuni ambienti era costituito da due piani) i dormitori.


Da Messina com’era oggi.

L’istituto ospitava circa 40 orfani poveri, per istruirli e avviarli all’esercizio di 10 mestieri secondo le loro attitudini; nel 1844, per soddisfare la maggiore richiesta di ricoveri, il fabbricato venne ampliato e, nel 1866, dopo l’Unità d’Italia, fu intitolato all’eroe di Lissa, Alfredo Cappellini, e, successivamente, in suo onore, fu eretto nel chiostro un monumento scolpito dal giovane convittore messinese Giovanni Scarfì.
In quegli anni, l’Istituto, comprendeva oltre la scuola primaria e i laboratori di meccanica, la scuola di musica e di disegno: attività educative che forgiarono molti bravi artisti, maestri di musica ed artigiani, che fecero onore a Messina (il convitto aveva istituito anche la banda musicale che, spesso, si esibiva “con onore” in piazza Duomo). Una ulteriore testimonianza del buon livello di istruzione scolastica, si evince dalla cronaca della cerimonia di premiazione degli alunni meritevoli delle scuole, svoltasi il 3 giugno 1883, tradizionalmente organizzata dal Municipio di Messina; in quell’anno, gli alunni delle scuole del convitto, diretto dal marchese Foti Scimone, erano 202, di cui molti furono i premiati.

Purtroppo le scosse sismiche, di varia intensità, che si susseguirono dal 1898 al 1905, causarono parecchi danni a numerosi edifici di Messina, compreso il Cappellini e nel 1902, i suoi amministratori ( Arigò Giuseppe, Sindaco di Messina; consiglieri: avv. Crisafulli Antonio e cav. De Pasquale; direttore ing. Prof. Arturo Tricomi, segretario Rodriguez Placido, economo Michele Mangano Saja, prefetto maggiore G.B. Crisafulli ) provvidero, non senza difficoltà economiche, a sanare i danni dell’edificio; la vita del convitto non fu facile: oltre ai problemi del reperimento di risorse economiche, gli amministratori dovettero rispondere del loro operato, a volte, censurato con l’ostentata moralità pubblica di quegli anni.
All’alba, del giorno 24 febbraio 1907, parecchi convittori, istigati e capeggiati da alcuni ribelli, si abbandonarono a gravi atti di disordine, indisciplina e danneggiamento. Il direttore, Capitano Spagnolio Benedetto, con responsabilità, invocò, una severa inchiesta su tutta la sua gestione dal 1 maggio 1904, anche perché i fatti divenuti di dominio pubblico, in modo non rispondente alla verità, erano di pregiudizio all’attività dell’istituto.

L’allora Presidente della deputazione G. Oliva, assistito dai deputati Tornatola e G. Arigò, svolse parecchie inchieste, dalle quali emersero infondate e illogiche le lamentele degli alunni all’origine della rivolta. Difatti, la vera occasione al disordine risultò essere l’addebito di una certa quota che veniva fatto ai ragazzi, se per incuria, sciupavano prima del tempo la giubba e i calzoni (la divisa ) che i ragazzi indossavano per pochi giorni al mese. La severa decisione della Commissione mise tutti d’accordo (nella società di allora, il concetto odierno di tolleranza poteva intendersi per stato passivo o debolezza): 11 convittori furono espulsi e altri 15 furono sospesi e rimandati in famiglia per 15 giorni.

Per l’esemplare attività assistenziale, senza fine di lucro, il Convitto, negli anni che seguirono, riuscì a reggere gli “attacchi” dei convitti gestiti da laici e religiosi; i 150 ragazzi (non pochi, se si considera la quantità di istituti operanti allora in città) ricoverati alla data del 28 dicembre 1908, erano mantenuti con le tradizionali rendite dell’istituto, dagli enti pubblici locali e con il contributo dei comuni di appartenenza dei ragazzi. Quella encomiabile operosità, si interruppe inesorabilmente per ben 24 anni, con il terremoto e, dopo, per l’ignavia degli uomini. Nella notte fatidica, crollò il lato sud dell’edificio sulle officine meccaniche, mentre il lato Nord ed altri ambienti si sfasciarono gravemente. Nel crollo persero la vita 50 convittori che alloggiavano proprio nei dormitori del lato Sud, la maggioranza dei ragazzi fortunatamente si salvò perché erano in congedo natalizio. Costoro, in attesa della ricostruzione del fabbricato, continuarono ad essere mantenuti, a cura degli amministratori superstiti del Cappellini, nel Convitto di Catania e in altri d’Italia, con le rendite (a causa delle gravi difficoltà del momento erano divenute esigui) dell’Istituto e il sostegno economico degli Enti.

(Per le implicazioni socioeconomiche post terremoto, nella esposizione che segue, faccio volentieri riferimento alla dotta opera di Andrea Giovanni Noto, Messina 1908).

Lo Stato monarchico e il regime fascista poi, “consolidarono militarmente” il potere nella città di Messina e, nel contempo, privilegiarono, finanziando oltre misura, il clero. Difatti, fino agli anni ’30, furono costruiti ben 14 complessi militari tra caserme e comandi, 132 chiese e altre 72 restaurate ed ampliate; mentre oltre 25.000 cittadini conducevano un’esistenza quasi primitiva che aggravava ancor più l‘emarginazione in periferici fatiscenti rioni baraccati. Già, il problema Messina, per il Governo, occupava uno degli ultimi posti nella graduatoria delle priorità di una mal fatta Unità, ed erano veramente tanti i problemi, ingigantiti e sommati a quelli creati dal disastro del 1908. La disgrazia, veicolata anche dalle due Guerre Mondiali, non ebbe più fine e si materializzava impunemente nella speculazione con sottile malvagità di uomini dalla “fine intelligenza, calati“ da altre regioni. (con queste considerazioni, si potrebbe anticipare al dopo terremoto, la nascita, o l’uso, della parola intrallazzo, coniata, secondo alcuni, nell’ultimo dopoguerra, per designare affari illegali con la connivenza di persone influenti). Inoltre, il “testimone” dell’incomunicabilità dello Stato monarchico con il Sud d’Italia, è stato passato ai giorni nostri!

Nelle due ricostruzioni della città, ebbero facile predazione gli speculatori e mediocri impresari, insieme a frotte di corrotti e infedeli funzionari, di qualsiasi livello, delle istituzioni; e, peggio ancora, l’ipotesi di una presunta “concorrenza” dello Stato monarchico, potrebbe essere reale, se le autorità di quel tempo erano più intenti alla ricerca di valori e a riempire le tesorerie e le banche di denaro, che i generosi di tutto il mondo civile inviavano per alleviare in breve tempo il dolore e i disagi dei sopravvissuti. Il “barbarismo burocratico” e la speculazione non lo consentivano, ed è chiaro che il maggior tormento della lenta ricostruzione fisica della città e del suo tessuto sociale, gravava pesantemente sulle classi più povere, dove i giovani, abbandonati a se stessi, si dedicavano ad ignobili mestieri nei ghetti baraccati (nell’immaginario collettivo dei vecchi messinesi, alcuni rioni baraccati erano sinonimo di delinquenza).

Il 6 febbraio 1912, ufficiali del regio Esercito, effettuarono dei sopraluoghi in edifici disastrati compreso quello del Cappellini, in previsione di adibire, con l’ottica ottocentesca, cioè, di accentrare nel cuore delle città i servizi principali, alcuni in caserme. E proprio il Cappellini, che poteva essere restaurato e restituito in tempi brevi alla sua antica missione, fu scelto per la nuova caserma della regia Arma dei Carabinieri. Rinviare ancora il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, non era giustificabile dopo ben 11 anni, anche se alcuni legittimano l’ostacolo della I Guerra Mondiale: i mezzi finanziari e in natura, derivanti dagli aiuti internazionali, da altre parti del paese, dallo Stato e dai cospicui valori recuperati dalle macerie e incamerati ope legis, potevano essere sufficienti, se costituiti in capitale intangibile; l’operosità, in tempi stretti, avrebbe anche attenuato i due fattori di sfacelo che si sommarono agli effetti del terremoto: l’opera distruttrice dei vandali e le ingiurie del tempo. Il mancato recupero dei molti edifici danneggiati e la dissennata ricostruzione di altri, cancellò importanti punti di riferimento dell’identità storica di Messina. Dopo tanti anni, dal gennaio del 1909, quando Leonida Bissolati e Gaetano Salvemini, invocarono la creazione di semplici convitti e scuole e di affidarli a direttori e maestri capaci di infondere negli orfani del terremoto i sani principi morali, che sono la struttura portante della società, venne una risposta ufficiale.

Nella seduta del Consiglio Provinciale del 27 febbraio 1923, il comm. Vinci, lasciò intendere che in quegli anni ostacoli di varia natura non permisero una sollecita definizione della ricostruzione del convitto ( per il nuovo Cappellini era stata indicata un’area a monte del torrente Boccetta ), e che l’area del vecchio convitto sarebbe stata utilizzata per la costruzione della Caserma Legionale dei RR. CC., negandola all’Unione Edilizia, che voleva edificare case per gli impiegati.
Il Consiglio fu relazionato, inoltre, che il ritardo nella ricostruzione, era da imputare al Genio Civile che, oberato di lavoro, non aveva elaborato e definito i progetti della nuova caserma: intervenne il Prefetto, comm. Frigerio, presente alla seduta, assicurando il suo impegno per una sollecita procedura della pratica ( caserma e convitto) presso le istituzioni competenti, mentre l’on. Crisafulli dichiarò che la Provincia, stante le difficoltà in cui si dibatteva il Genio Civile, era pronta a elaborare, accollandosi le spese, il progetto del convitto.

Nell’arco di due anni, dopo il raggiungimento dell’intesa istituzionale, fu affidato l’incarico progettuale all’ing. Alessandro Giunta, e la costruzione all’impresa del cav. Ettore Basile, sotto la direzione dell’ing. Giuseppe Marino. Il 12-6-1925, si svolse la cerimonia della posa della prima pietra del convitto che sorgerà su un’area di mq. 11.500 tra il viale R. Margherita e il viale Boccetta; in quella occasione, l’Arc. di Messina A. Paino, celebrò la Messa solenne in suffragio dei convittori periti nel terremoto.
Il 20-10-1925, il Consiglio Superiore dei LL. PP., approvò il progetto della Caserma Legionale dei RR. CC., che venne resa, in parte, operativa, il 23-12-1932, ed intitolata il 5-6-1936 al cap. Bonsignore, caduto eroicamente in Africa Orientale.
Con il decisivo impulso del Consiglio di amministrazione del convitto, presieduto dall’avv. Carlo Donati, e composto dal barone Salleo e dal comm. Federico Sofio, e il ritrovato senso di responsabilità degli amministratori provinciali, il nuovo Cappellini, alla presenza del sen. Nunziante, venne inaugurato il 16 aprile 1932. La nuova struttura capace di 250 posti, nel solco dell’antica missione filantropica, ha istruito e addestrato numerosi giovani nello studio, nei laboratori ed officine moderne, di cui fu dotato, raggiungendo una convincente ripresa, tanto da indurre, in seguito, il Comitato Centrale per gli orfani di guerra ad inviargli i propri ragazzi.

Dopo circa 10 anni di tranquilla, quanto benefica, attività, venne la II Guerra Mondiale e, tra maggio e giugno del 1943, l’ospizio e l’area adiacente subirono sensibili danni a causa, e non solo, delle bombe durante tre distinte incursioni aeree.

Già dopo i primi bombardamenti, i più importanti uffici della città, erano stati trasferiti al Cappellini, mentre il grande ricovero omonimo, scavato nella collina retrostante, oltre che da rifugio alla popolazione, servì anche per archivi e materiale vario sia civile che militare.
Nel contesto delle riparazioni dei danni bellici più urgenti e delle ricostruzioni dopo, il Genio Civile era nelle medesime condizioni del dopo terremoto: enorme mole di lavoro, pochi mezzi finanziari e con una non completa organizzazione dei servizi. In quegli anni si fece abitualmente ricorso al cottimo fiduciario, che dimezzava le procedure e consentiva di risparmiare sull’importo dei lavori. Per le riparazioni più urgenti da farsi al Cappellini, fu approntata una prima perizia nel marzo del ’44, approvata e finanziata dalle autorità alleate di occupazione.
Successivamente il Commissario prefettizio, comm. F. P. Giglio, del Cappellini, chiese al Genio Civile la demolizione delle opere difensive, quali paraschegge e tramezzi esistenti nell’istituto.
In quella occasione sollecitò il sig. Podestà (sic) di Messina a farsi rilasciare dal comando dell’A.M.G.O.T., l’autorizzazione di inizio lavori di riparazione dei tetti, ad evitare ulteriori danni all’immobile a causa delle infiltrazioni di acque piovane, che compromettevano il funzionamento dei vari uffici che ivi avevano sede temporanea. Dalla relazione dell’ing. capo del Genio Civile, A. Ghersi, i danni consistevano: nel crollo parziale del tetto, dei soffitti, nella distruzione di infissi e vetri. Ghersi, inoltre, fece presente che le relative riparazioni erano urgenti, per il duplice motivo: ricoverare gli orfani, e per il buon funzionamento di importanti uffici allocati nello stabile, quali: l’A.M.G.O.T., la Regia Questura, la Regia Prefettura, il Comando pompieri, Municipio, Croce Rossa. Ancora nel 1946, era chiesto l’interessamento del Prefetto, Giannitrapani, per la riparazione anche di danni di lieve entità ( i guasti derivanti dall’uso dell’immobile venivano messi nel calderone del risarcimento dei danni di guerra. Danni che, “producevano” perizie, cottimi fiduciari e la revisione prezzi a “completamento delle opere di prima priorità” !).
Tale andazzo doveva essere ben radicato se, ancora, dopo cinque anni dalla fine della guerra distruttrice, il Prefetto, dott. Strano, si rivolse con fermezza all’ingegnere capo del G.C.: in dipendenza della costituzione a Messina di un Reparto Mobile aggiunto di P.S. (questo reparto fu poi assorbito dalla preesistente Compagni Mobile Guardie di P.S.), hanno fissato la loro residenza a Messina alcuni ufficiali di nuova assegnazione (…) non essendo possibile trovare alloggi privati ( anche per l’altissimo livello delle pigioni ) o alloggi I.N.C.S, o case popolari, si è venuti nella determinazione di adibire a tal uso l’ex infermeria dell’Ospizio Cappellini, limitatamente al periodo in cui questo sarà ancora adibito a caserma della Compagnia Mobile Guardie di P.S., al più presto possibile.Qualche giorno prima la Prefettura aveva comunicato all’Assessorato Regionale del Lavoro e della Previdenza ed Assistenza Sociale, la consegna dei locali dell’infermeria del Cappellini, lasciati liberi dai 150 agenti sui 200 ospitati, mentre per gli altri 50 a data da destinarsi, stante il protrarsi dei lavori alla caserma Zuccarello (attuale caserma Calipari).

L’assessore, (firma illeggibile) intervenne sulla questione del Cappellini, chiedendo ai responsabili una definizione di un preventivo di spesa per il ripristino degli arredi, suppellettili, del vestiario e della biancheria, e la redazione di un piano finanziario relativo alla gestione dell’ospizio, sulla base delle rendite, dei contributi aggiornati che corrisponderanno il Comune e la Provincia e dalle entrate << ricavabili dalla cessione dei locali per l’esercizio delle officine, nonché di altri proventi e delle spese occorrenti per il mantenimento dei fanciulli che potranno essere ospitati.
Si torna a parlare del Cappellini, il 30-06-49, in occasione della visita in città del Presidente della Regione Siciliana, on. Franco Restivo: il prefetto, dott. Strano, relazionando sui problemi della città, evidenziò le carenze dell’assistenza pubblica : Mancano a Messina idonei istituti di ricovero e di educazione; vi sono enti ed associazioni particolarmente benemeriti che compiono sforzi ammirevoli; ma la soluzione del problema non può venire che dalla realizzazione di programmi ben superiori alle forze e alle possibilità locali; l’unico istituto maschile che assolveva già questa funzione, l’Ospizio Cappellini, non è ancora in grado di funzionare; in ogni caso esso è di gran lunga insufficiente con i suoi 200 posti rispetto al numero assai più grande di ragazzi che dovrebbero essere assistiti. La lucida relazione sulla triste realtà assistenziale a Messina, ebbe riscontro positivo dal Governo Regionale, che il 16 luglio 1949 stanziò, oltre i quattro milioni già versati per la riparazione dei danni bellici, un ulteriore contributo di 4 milioni per il completamento dell’attrezzatura del Cappellini. Finanziamenti che, incanalati nei mille rivoli della speculazione ammantata di politica e burocrazia, certamente, non potevano bastare per il completamento dei lavori,. Quale è il motivo della decisione del prefetto, di sciogliere, il 19 luglio, il Consiglio di amministrazione del Cappellini e a nominare il barone Carmelo Salleo commissario prefettizio?
Nello spazio di un giorno!! Riunitosi il Consiglio provinciale, venne deliberata l’opposizione al decreto prefettizio che, in definitiva e a buon ragione, censurava la lentezza nell’operato dell’Amministrazione Provinciale, la quale ricorse al Consiglio di Stato che, con decisione del 14 marzo 1950, annullò il decreto prefettizio, (l’impossibilità di consultare gli atti, per un approfondimento di questa e di altre vicende del convitto, è dovuta alla dispersione di gran parte della documentazione, che avrebbe dovuto e dovrebbe, se riordinata la rimanente, costituire l’Archivio Storico Provinciale.)
Il quotidiano La gazzetta di Messina e delle Calabrie, del 2-11-1950, riporta la cronaca della riapertura del Cappellini avvenuta il giorno prima con il ricovero di 11 ragazzi orfani.
La riapertura della antica e benefica istituzione fu festeggiata senza clamori: il cappellano del convitto, mons. Rando attorniato dai ragazzi, dal Direttore con il personale e dal dott. Brandaleone, benedisse i rinnovati locali delle aule scolastiche, i moderni laboratori di falegnameria, ebanisteria, calzoleria, sartoria, gli ampi dormitori e quelli della refezione. La tradizionale scuola di musica non era più attiva, se durante la cerimonia del 22-11-1952, per la consegna di borse di studio, nella sala Laudamo della Scuola di Musica erano presenti dieci ragazzi del convitto Cappellini, istruiti gratuitamente al Liceo Musicale.
Ma, non era finita. Difatti: la relazione del Genio Civile, firmata dall’ingegnere capo, E. Zappulli, rammentava che l’esecuzione dei lavori di riparazione del Cappellini, furono eseguiti in due lotti, come da perizie del 18-9-1948 e 18-3-1950, per l’ammontare di 11 milioni. E che, non erano stati previsti i lavori da eseguire nei locali dell’infermeria (furono lasciati liberi alla fine del 1950 dal Commissario di P.S. dott. Gargea, da lui occupati per abitazione), officina e fonderia, cappella ( non fu più ripristinata ), pavimentazione e impianto elettrico di alcuni cortili e rete telefonica, per i quali era stato già compilato un estimativo di spesa di L.4.800.000.
aL’allora direttore dell’Ospizio di Beneficenza “ A. Cappellini “ Sezione Casa di Rieducazione per Minorenni – Messina (intestazione negli atti amministrativi), tenente colonnello del Genio, Leonardo Ferraro, con lettera del 26-7-52, informava direttamente il Provveditore alle OO. PP. di Palermo, dott. S. Scimone, che i lavori previsti nella prima perizia furono completati prima del suo insediamento e che bisognava intervenire per riparare quei danni ai locali che erano stati provocati dai molteplici enti locali e militari che hanno sostato o transitato al Cappellini(…) adiacente al Cappellini esiste il migliore rifugio antiaereo di Messina e per questo l’ospizio ha ospitato la Prefettura, la Provincia, la Questura, i Vigili del Fuoco, l’U.N.P.A, e successivamente vari reparti degli Alleati. Il Provveditore rassicurò che, non appena le formalità burocratiche sulla perizia per i lavori non previsti saranno ultimate, si procederà all’appalto e inizio lavori e, che non appena le disponibilità economiche lo consentiranno disporrà, per l’esecuzione di altri lavori a completamento.

In seguito i convittori raggiunsero il numero di 90, di cui 60 destinati dal ministero e 30 dal comune e provincia di Messina .

Dal 28 dicembre 1908, alla riapertura del convitto (16 aprile 1932), trascorsero ben 23 anni.
Dai bombardamenti del 1943 alla riattivazione (1 novembre1950), passarono altri 7 anni!
La tormentata esistenza della storica istituzione di assistenza ai ragazzi svantaggiati, definiti provocatoriamente dal giornalista Cogliandolo Nino: Cani perduti senza collare-corrigendi e ricoverati al Cappellini dopo 170 anni dalla sua fondazione, cessava definitivamente alla fine degli anni ’60.
Nel 1969, la Provincia Regionale di Messina, ha riannodato, in parte, il filo della tradizione, destinando i locali dell’ex convitto a Liceo Scientifico Statale “Archimede“.
Andrea Bambaci