San Camillo

Sul viale Principe Umberto, circonvallazione della città, si erge la chiesa di San Camillo, fondata dai Padri Crociferi e aperta al culto nel 1932.

Al tempio si accede attraverso una scalinata balaustrata che dà luce e profondità a tutto il complesso,  oggi parzialmente deturpata da una vicina costruzione che ne impedisce la visione in tutta la sua bellezza. L’interno è a tre navate con colonnato in stile neoclassico.

Lunga 26 metri e larga 14, con un’altezza massima, alla navata centrale, di 13 metri, le pareti sono ricoperte da marmi intarsiati, tutti provenienti dalla chiesa settecentesca di S. Anna.

All’interno si conservano un quadro della "Madonna della Salute", del 1600; un reliquario d’argento nel quale si custodisce una parte del cuore di S. Camillo de Lellis, fondatore dell’Ordine dei Crociferi; un calice in argento di Filippo Juvarra; un gruppo scultoreo in legno che raffigura "S. Camillo  e un infermo"  e un pulpito in legno dorato.

San Francesco D'Assisi all'Immacolata

L’architettura della chiesa di S. Francesco d’Assisi all’Immacolata costituisce per Messina un fatto eccezionale, che non ha riscontro negli edifici chiesastici coevi, sia per l’impostazione generale, che per i particolari strutturali e decorativi.   

Nonostante abbia subito due notevoli ristrutturazioni e rifacimenti, subito dopo l’incendio del 1884 ad opera dell’arch. Giuseppe Patricolo e dopo il terremoto del 1908, che risparmiò le sole absidi, dall’arch. Francesco Valenti che ne spostò leggermente il primitivo sito e la ricostruì con assoluta fedeltà all’originale, mantiene ancora intatti i caratteri compositivi e spaziali delle origini.

Fondata nel 1254 dalle patrizie messinesi Violante Palizzi, Eleonora da Procida e Beatrice Belfiore, nonostante sia di notevoli dimensioni, la chiesa si compone di un’unica aula rettangolare, senza divisione in navate, con pianta basilicale a croce latina, transetto ed absidi terminali. Una soluzione indubbiamente ardita ed innovativa che consente, però, di cogliere in pieno e senza la mediazione di pilastri e colonne, la vastità spaziale ancor più accentuata dalla grande altezza.

Scrive lo storico dell’architettura Giuseppe Agnello: “Da qualsiasi punto, dall’ingresso, come dal più recondito angolo delle absidi, la visione del tempio si spiega libera e superba, in un dominio incontrastato di spazio e di luce, che è quasi in antitesi col suo carattere medievale”. Per il Toesca, tali caratteri compositivi e strutturali associati al vasto spazio adatto “per capacità, a riunire le folle alla predicazione”, sono tipici dei francescani che assunsero un ruolo rilevante nella definizione di un gotico italiano arioso, semplice e scarno.

La copertura dell’imponente navata, nello spirito del gotico italiano, è a due falde con struttura composta da grandi capriate lignee a vista, che sostituiscono le volte lapidee del gotico francese e sottolineano magistralmente il carattere povero dell’architettura francescana. Stessa rinuncia decorativa si riscontra nell’altissimo transetto, collegato alla navata mediante l’imponente arco trionfale ogivale, che abbraccia visivamente le tre absidi terminali. In queste ultime, si addensano gli elementi

          decorativi di gusto spiccatamente gotico, sottolineati da esilissime colonnine, inserite negli spigoli individuati dalle piante poligonali, dalle quali si dipartono a ventaglio leggere nervature costolonate ed impostate su capitelli con le tipiche decorazioni di foglie uncinate, che suddividono le volte in acutissimi spicchi.

La presenza del gusto cistercense in certi particolari (com’è noto fu tale Ordine religioso ad introdurre lo stile gotico in Italia) è ravvisabile nell’uso dei tre occhi sul transetto, sormontanti le absidi: il valore simbolico che i cistercensi attribuirono al numero tre, associato alla Trinità e racchiudente un valore spirituale, trova applicazione nei tre occhi che idealmente possono essere uniti con delle linee immaginarie, formando, così, il triangolo simbolo della Trinità. Queste absidi furono anche dipinte, sospese tra realtà e sogno, nel paesaggio che fa da sfondo alla “Pietà” di Antonello da Messina, oggi al Museo Correr di Venezia.

San Giuliano

In via Garibaldi, dopo il Palazzo del Governo sulla destra, s’incontra la chiesa di San Giuliano.

Edificata dall’impresa ” Società Anonima Fer” su progetto dell’ing. Carmelo Umberto Angelini e realizzata dal 1925 al 1928, è ispirata allo stile moresco, con cupole semisferiche che coprono le sottostanti cappelle con finestre trifore.

Le due cupole più grandi sono poste, una all’incrocio delle navate col transetto e l’altra sul vestibolo; anche la torre campanaria è sormontata da una cupola. All’interno si possono ammirare il mosaico raffigurante il "Crocifisso con San Giuliano,  la Vergine e San Francesco", realizzato nel 1957 da Luciano Bartoli  e una grande tela del ‘700 con la rappresentazione del "Martirio di Santa Caterina".    

San Giuseppe

Sulla via Cesare Battisti, quasi dirimpetto al prospetto laterale dell’Università, sorge la Chiesa di San Giuseppe. Edificata nel 1938 su progetto di Bottari e Barbaro, conserva, come opera di maggiore importanza, un gruppo settecentesco in legno che successivamente è stato rivestito con una lamina in argento, raffigurante "San Giuseppe con il Bambino" e che molti storici hanno attribuito al messinese  Letterio Buceti.  Sicuramente questo gruppo statuario proviene dalla quattrocentesca chiesa di San Giuseppe al Palazzo, distrutta nel 1908 ed ubicata in via Primo Settembre, angolo viale San Martino.

Nel 1950 la chiesa è stata trasformata con l’applicazione di decorazioni in stucco che ne hanno cambiato completamente il disegno originale.

San Matteo

 

In una vasta piazza a Villa Lina, sorge la chiesa di San Matteo o San Matteo della Gloria, sede della parrocchia San Leonardo. Fatta edificare dall’Arcivescovo Angelo Paino e affidata ai PP. Salesiani, fu progettata dall’ing. palermitano Carlo Saladino Del Bono e realizzata dalla ditta Fratelli Cardillo fu Ignazio che la completarono il 30 luglio 1932. In stile eclettico con riferimenti stilistici al romanico e al gotico, è caratterizzata da due torri campanarie a pianta quadrata (elementi tipici nella tradizione architettonica del periodo normanno, vedi, ad esempio, la Cattedrale di Cefalù). L’ingresso è notevolmente posto in risalto da un “protiro” (piccola costruzione, generalmente una volta o un arcone sostenuti da pilastrini o colonne, addossata alla parete d’ingresso di una chiesa), elemento caratteristico del periodo romanico.

A pianta di croce latina con tre navate e transetto, unica abside centrale e due cappelle nelle pareti opposte del transetto, nell’ingresso laterale destro su via Monte Scuderi è stato ricollocato il portale originale di accesso al monastero di Santa Barbara crollato nel 1908. Dalle alte e slanciate profilature architettoniche che rivelano ancora, alla fine del Quattrocento, forme medievaleggianti tenacemente abbarbicate alle correnti stilistiche dell’epoca sveva ed aragonese mentre nel resto d’Italia il Rinascimento (nato a Firenze agli albori del XV secolo) è al suo apogeo, è notevole per l’armoniosa serie di esili colonnine che compongono due pilastri a fascio su cui imposta l’arco ogivale, nella cui periferia prosegue il motivo delle fasce sottostanti con nervature. Nella lunetta determinata dall’arco acuto e dall’architrave retto, incorniciata da una tipica serie di archetti ciechi traforati, si trova un grande altorilievo con la raffigurazione del Padre Eterno. Sull’architrave sorretta da due aggraziate mensoline sagomate raffrontate, al centro, spicca un piccolo tondo con un San Benedetto in bassorilievo e ai lati la data

Nelle sue linee complessive, il portale è molto simile alla quattrocentesca porta della distrutta chiesetta di Sant’Angelo dei Rossi a Messina.

La chiesa di Santa Barbara, con annesso monastero denominato di Santa Maria di Malfinò in quanto fondato nel 1195 dal cavaliere messinese Leone Malfinò, nel 1348 passò dal rito greco a quello latino e sorgeva nella Contrada San Mercurio (in prossimità dell’isolato 269 in via del Vespro). Da questo sito si trasferì nella Contrada dei Carrai e infine, nel 1575, sulla salita del colle del Tirone, nelle vicinanze dell’attuale chiesa del Carmine. La chiesa sorse su progetto di Andrea Calamech e nel 1725 venne ristrutturata dall’architetto Giovanni Cirino.

In San Matteo si può ammirare anche una fedele riproduzione del portale d’ingresso all’antica scuola di Arti e Mestieri che prima del 1908 si trovava nella piazzetta della Chiesa di San Gregorio (attuale via XXIV Maggio).

Sul soffitto piano cassettonato, nel punto d’incrocio della navata maggiore con il transetto dove si sviluppa una volta dal sesto ribassato, si trova un affresco del pittore Giovanni Russo rappresentante la “Visione di San Giovanni Bosco” e altri due grandi dipinti dello stesso autore raffiguranti “San Matteo” e “San Leonardo”. Degno di attenzione è un fonte battesimale, a sinistra del portale d’ingresso, composto da un alto piedistallo in marmo rosso venato con scolpito uno stemma vescovile e recante la data 1719, sormontato da una conca in graniglia di cemento, di epoca moderna, in un buon stile romanico. Nelle due cappelle opposte del transetto, sono stati ricollocati due splendidi altari settecenteschi a tarsie marmoree e sculture a tutto tondo provenienti da chiese distrutte dal terremoto.

San Tommaso il Vecchio

Di questo piccolo tempio, nella sua “Guida per la città di Messina” del 1841, così scriveva Giuseppe Grosso Cacopardo: “…Imboccando nella strada della Pace, s’incontrava la graziosissima chiesa di S. Tommaso, di squisita architettura forse del Montorsoli, i cui ruderi ancor si vedono entro il giardino de’ Padri Teatini…”.

Questa breve descrizione è l’unica di epoca anteriore al sisma del 1908 relativa alla chiesa di S. Tommaso “il Vecchio” che sorge in via Romagnosi. Bisogna, infatti, arrivare al 1915 per poter avere il primo studio monografico, anche se breve, scritto da Gaetano La Corte Cailler che la ipotizza edificata nel sec. XVI, “…accanto il palazzo del barone della Motta e vicino le case di Ant. Cesare Aquilone ed il palazzo dei La Rocca, disegno del Montorsoli”. Formava, allora, angolo con le antiche vie “dei Cartari” e “degli Spatari” (le attuali S. Cristoforo e Romagnosi), così denominate perché lungo di esse si affacciavano parecchie botteghe di fabbricanti di carta e di spade.

Il La Corte commette l’errore di considerarla eretta nel Cinquecento, in ciò tratto in inganno dall’anno 1530 che si vede graffito a conclusione di un’iscrizione dedicatoria nel cornicione di coronamento della facciata principale, anno che si riferisce, invece, ai cospicui rifacimenti effettuati in occasione della dedicazione a S. Tommaso Apostolo. A testimonianza di questo evento venne incisa sulla larga cornice in pietra della facciata la seguente iscrizione in due righe, oggi mutila nelle parti iniziale e finale: “D. Thomae A.P./ (T)ibi Dive Sacravimus aedem da pro terrenis aeternae Palat(ea)/Reddere Magna Potestalia Rex imdus te Duce stru(xit)/MDXXX”.

Nel 1585, essendo stato trasferito il Conservatorio delle Vergini Riparate nel palazzo del barone Vincenzo Villani della Motta, la chiesa venne dedicata alla Madonna riparatrice delle Vergini e nel 1607 fu acquistata, insieme al Conservatorio, dai frati Teatini venuti a Messina in quell’anno, grazie anche ai forti contributi economici della Contessa Giovanna La Rocca Cibo e dell’arcivescovo Simone Carafa. Edificata, poi, dirimpetto ad essa, nel 1663, la chiesa dell’Annunziata dei Teatini su progetto dell’architetto modenese Guarino Guarini, la chiesa rimase compresa nel vasto giardino del convento con accanto gli avanzi del Conservatorio, oggi scomparsi. In seguito alla soppressione delle corporazioni religiose, avvenuta con la legge del 7 luglio 1866, il Convento dell’Annunziata venne ceduto al Comune per uso scolastico ed il giardino venduto a privati insieme alla chiesetta. Questa fu, quindi, adibita a forno ed in tale stato rimase fino al terremoto del 1908.

Tipologicamente e stilisticamente, la chiesetta di S. Tommaso “il Vecchio” si può ricondurre a due precise e diversificate epoche architettoniche: quella normanna e quella rinascimentale. Se l’apparato murario esterno tradisce, infatti, la sua origine medievale, l’interno dimostra inequivocabilmente l’adattamento della struttura perimetrale, teso al raggiungimento di una perfezione compositiva e spaziale tipicamente cinquecentesca. La chiesetta costituirebbe, quindi, un’importante e significativa testimonianza architettonica di epoca normanna, sorta fra il 1061 e il 1101 sotto il Gran Conte Ruggero quale momento di una ripresa e rilegittimazione dell’Ordine monastico basiliano. L’esterno è caratterizzato dal nitido involucro murario parallelepipedo dal quale emergono l’abside ed il tamburo con la cupola, ridotti ad elementi spaziali dalle semplici ed essenziali linee geometriche. Compositivamente, la chiesa si presenta come composta da due parti: una corrispondente al santuario a pianta quadrata, centrica, con unica abside orientata ad est e coperta da cupola leggermente depressa, impostata su tamburo circolare bucato da quattro finestre e coronato da una leggera cornice perimetrale in mattoni che sottolinea il passaggio alla cupola, e, un vano rettangolare che costituisce l’unica navata, coperto da volta a botte lapidea. L’interno, con le decorazioni a cornice in pietra con profilature scure su fondo chiaro degli archi, dei piedritti e del coronamento del tamburo, richiama suggestioni brunelleschiane che evidenziano l’intelaiatura prospettica ed i rapporti proporzionali dell’insieme.

Santa Caterina

Percorrendo la Via Garibaldi, dopo la piazza Ludovico Fulci, s’incontra la Chiesa di Santa Caterina.

Progettata dall'architetto romano Cesare Bazzani e inaugurata nel 1932, sorge sullo stesso sito dove esisteva un monastero dedicato a Santa Maria Valverde, e, precedentemente al 1336, un tempio di Venere di età classica.

La chiesa, dedicata alla Santa Vergine e Martire di Alessandria d’Egitto è stata edificata nel 1926 – 29 su progetto di Cesare Bazzani (Accademico d’Italia) e aperta al culto il 12 marzo del 1932.

Precedentemente era un antichissimo luogo di culto dal momento che in epoca romana vi si trovava il tempio di Venere.

La chiesa disposta con fronte prospiciente la Via Garibaldi, ha pianta a croce latina con una navata centrale alta mt 14,80 e due navate laterali alte mt 8,70 che inglobano il transetto.

Presenta un gusto classicheggiante con motivi desunti dall’architettura di Filippo Juvarra (il campanile, la cupola ed il prospetto timpanato sembrano realizzati su modello della Basilica di Superga) cui lo stesso Bazzani, in una sorta di omaggio all’architetto messinese, dichiarò di volersi ispirare, nonostante la preferenza per la tradizionale pianta a croce latina suggerita dallo spazio disponibile per l’edificazione, quest’ultimo corrispondeva all’incirca al sito della chiesa, dedicata alla stessa santa, esistente sino al terremoto del 1908.

La storia

A partire dal 1330 questa chiesa si lega a quella del Monastero di Santa Maria Valverde, situato nella contrada detta "Carrai" o Carrara" oltre le mura della città, fatto costruire verso il 1255 da una non ben identificata regina di Cipro, come si desume da una bolla di papa Alessandro IV. Secondo un'antica tradizione il monastero fu fondato da Piacenza, figlia di Boemondo principe di Antiochia. Per due volte è trasferito sempre più vicino, dentro le mura nella contrada del Paraporto. Il 12 maggio 1330, per concessione del vescovo Guidotto de Habbiatis, la Chiesa di Santa Caterina viene annessa al monastero agostiniano di Santa Maria Valverde (Gallo).

Le monache vivevano sotto la regola di Sant’Agostino e ciò, secondo il Samperi spiega anche il termine Valverde che si richiamava alla località della Brabanzia dove gli agostiniani avevano il loro centro più importante, dopo la cacciata dall’Africa successiva all’invasione dei Vandali.
Nei pressi della Chiesa di S. Caterina, nel XVI secolo fu collocata una fonte, detta di "Giovane con anfora", attribuita a Rinaldo Bonanno (1545-1600). L'opera attualmente si trova al museo ed è stata, recentemente, sottoposta ad un intervento di restauro.

In seguito al terremoto del 1693 il monastero divenne inagibile. Cedettero in particolare le strutture del vecchio tempio di Venere, sui cui ruderi era sorto. Le suore lo fecero abbattere e su quella stessa area edificarono un nuovo monastero con interno chiesa preterremotobella chiesa dedicata a S. Caterina d'Alessandria, a navata unica con abside semicircolre. Una lapide collocata nella chiesa ricostruita così diceva: Questo tempio già sacro a Venere e riconsacrato a Santa Caterina Vergine e Martire, è stato ricostruito di sana pianta in questa più spendida forma l'anno 1705. L'interno fu decorato con marmi policromi a commesso.

La chiesa ricca di importanti opere d'arte, presentava una fitta decorazione della volta con la comparsa della Santa Vergine Caterina alla reggia; un sobrio altare maggiore dal consueto disegno tardosettecentesco, circondato dai riquadri affrescati da Paolo Filocamo, il quadro dell'altare raffigurava Maria Valverde con a sinistra S. Agostino ed a destra San Giambattista; pareti con affreschi realizzati dai fratelli Filocamo nel 1729, scene del Vecchio e del Nuovo Testamento e della vita della Santa. Nella tribuna a lato dell'altare maggiore sulla destra, la Natività, a sinistra la Deposizione del Cristo; nelle altre pareti il matrimonio mistico di S. Caterina.

Seriamente danneggiato dal successivo terremoto del 1783 ed in seguito ricostruito, fu gravemente scosso dal sisma del 1908. Crollarono il tetto e parte dei muri laterali.

Interamente abbattuto per consentire la nuova ripartizione topografica urbana, l'attuale complesso chiesistico, ricostruito per volontà del nuovo Arcivescovo mons. Angelo Paino dalla ditta Giacomo Martelli su progetto dell'architetto Bazzani, venne aperto la culto il 12 marzo 1932. La sua erezione canonica risale però all'8 dicembre 1944 ed il riconoscimento giuridico da parte dello Stato al 22 dicembre 1945.

Il 6 dicembre 1964, rettificando l'erronea precedente denominazione popolare, la chiesa fu definitivamente consacrata a Santa Caterina d'Alessandria, Vergine e Martire. Il toponimo Valverde, invece, che ricorda l'antico monastero, rimase alla piazza antistante.