Le Feste Religiose nella Riviera Ionica

 

 Le Feste Religiose nella Riviera Ionica

Il Santo che balla a Limina

San Filippo d’Agira giunse nella Valle d’Agrò nel I secolo, mandato dall’Apostolo Pietro con una missione ben precisa: scacciare i demoni e convertire tutti i pagani. Ancora oggi, dopo duemila anni, il Santo non è stato dimenticato, anzi il suo culto si è tramandato nei secoli di generazione in generazione, restando parte integrante della comunità di Limina. I liminesi impongono il suo nome ai bambini, costruiscono icone votive in suo onore, lottano anche con la Chiesa perché vogliono festeggiare il Santo a modo loro, dal punto di vista tradizionale e folclorico, e lo fanno con tanta fede e tanto ardore che la festa di San Filippo di Limina è fra le più partecipate e più caratteristiche del comprensorio.

La disputa con la Chiesa riguardava principalmente la celebre “‘Ddutta“, che consisteva in una gara fondata sull’equilibrio e la forza dei portatori del fercolo, che da un lato era portato a spalla dagli artigiani e dall’altro da pastori e contadini.

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La lotta con il Santo in spalla, che di religioso non aveva niente, consisteva nel riuscire ad incastrare la parte avversaria in un angolo senza uscita, in uno spigolo o in una parete.

La “‘Ddutta“ si svolse fino all’immediato dopoguerra, costò anche la vita ad un liminese che rimase schiacciato e fu abolita per le insistenze delle autorità religiose.

Oggi la festa, che si svolge il 14 agosto d’ogni anno, è rimasta sempre molto sentita e partecipata; al Santo sono dedicati tre giorni di festeggiamenti con chilometriche processioni, tutte a ritmo molto sostenuto, per concludersi in piazza con il caratteristico “Ballo“ con il fercolo del Santo che gira vorticosamente su se stesso, in mezzo alla gente che guarda e applaude.

Le corse e i balli tendono a rievocare l’attività di esorcista di San Filippo, quando rincorreva i possessi per scacciarne il demonio.

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Festa di Santa Lucia a Savoca

La Patrona di Savoca è Santa Lucia Vergine. La festa liturgica si svolge il 13 dicembre di ogni anno, ma, la solenne festa patronale, così come da tradizione, si svolge la seconda domenica d’agosto. Partecipano devoti dei paesi vicini con lunghi pellegrinaggi, per sciogliere voti ed anche per trascorrere una serata diversa dalle altre.

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La festa è animata da un personaggio camuffato da diavolo detto “diavulazzu”, o, nel gergo locale,“virseriu” per i gesti che fa con la sua “furcedda” nel corso dei festeggiamenti, per allontanare o farsi largo tra la gente. Indossa un abito rosso con un giubbetto pieno di sonagli ed una cintura di campanacci; ha il viso coperto da una maschera in legno, scolpita da un pastore nel XV secolo, in atteggiamento orrido con due grossi occhi e la bocca spalancata che mette in mostra i denti bianchi.

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Fa salti, boccacce, rincorre i paesani beffeggiandoli. Nelle ore pomeridiane fa il suo ingresso una grossa mandria di mucche addobbate con nastri colorati, guidate da un pastore che si ferma in un punto prestabilito dove, con una mano annoda una fune all’anello del giogo e con l’altra stringe i fianchi di una fanciulla raffigurante la Vergine e Martire Santa Lucia nell’atto di venire condotta, con violenza, al postribolo dal suo persecutore, Pascasio. Il diavolo precede questa scena, roteando il suo forcone per discostare la gente che si accalca e minacciando, di tanto in tanto, la Santa; seguono i tamburi, i soldati romani agli ordini di un centurione e, subito dopo, un drappello di uomini che, aggrappati alla corda, trascinano Santa Lucia. Ma la fede è più forte di tutto, e, a conclusione del corteo, la giovane Santa resta ferma e ben salda, malgrado la forza delle mucche aggiogate e gli sforzi umani, fugando, poi, quanti volevano condurla al luogo d’infamia.

 

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Festa della SS.Annunziata a Fiumedenisi

A Fiumedinisi la festa dell’Annunziata è celebrata il 24 e il 25 marzo d’ogni anno.

Il 24, nelle ore pomeridiane, i fedeli compiono un pellegrinaggio in un’antica chiesetta, l’Annunziatella, che si trova sul greto del torrente tra Fiumedinisi e Nizza Sicilia. Dopo la Santa Messa rientrano in paese, per prepararsi ad un’altro rito: quello dei “Viaggi”.

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I “Viaggi” sono un’atto penitenziale che i fedeli, per voto, compiono in ginocchio per 300 metri, dalla Chiesa di San Pietro alla Chiesa Madre; procedono per due a ginocchia scoperte ed appoggiandosi ad una candela accesa. E’ ovvio che li sostiene una grande fede perchè il percorso è particolarmente faticoso e l’appoggio alla candela è solo simbolico. E’ uno spettacolo indescrivibile e bello, ma triste, carico di speranza o di disperazione: è dall’espressione del volto di chi compie il “ Viaggio” che si capisce se si chiede o si è già ricevuto la grazia.

La festa religiosa dell’Annunziata si celebra il giorno 25 con le funzioni sacre, e, nel pomeriggio, con la processione della statua dell’Arcangelo Gabriele e della Madonna, che è adornata da un manto di velluto nero coperto d’oggetti in oro offerti dai fedeli.

 

Casalvecchio Siculo

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Centro agricolo su uno sprone del versante orientale dei monti Peloritani, con 1.152 abitanti su una superficie di 33,4 kmq., sorge a 400 metri sul livello del mare.

Casalvecchio è molto antico e lo si può dedurre anche dal susseguirsi delle varie denominazione che ha avuto: già esisteva in epoca bizantina essendo citato in una scrittura aragonese del 1351 con la sua denominazione greca Palachorion cioè vecchio casale e successivamente con la traduzione latina di Rus Vetus. Nel periodo della dominazione araba della Sicilia prese il nome di Calathabieth. Nel 1862, dopo l'Unità d'Italia prese il nome definitivo di Casalvecchio Siculo per distinguerlo dal Casalvecchio di Puglia.

In epoca saracena godeva di una propria autonomia che perse nel 1139 con la fondazione in epoca normanna di Savoca. Artefice ne fu il re Ruggero II di Sicilia, che facendo costruire un castello in quel luogo, assoggettò tutti i casali circostanti e li riunì sotto la nuova denominazione di Baronia di Savoca.
Fino al 1492, a Casalvecchio, era presente un'importante e laboriosa comunità ebraica: se le origini della presenza ebraica nel territorio casalvetino non sono ben chiare, esistono tuttavia preziosi documenti, risalenti al 1409 ed al 1470, dai quali si evince che tra Savoca e Casalvecchio, in quegli anni, dimoravano circa 250/300 ebrei, ripartiti in circa 50/60 famiglie.

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I giudei casalvetini e savocesi erano soprattutto abili tessitori e tintori e non mancavano quelli dediti alla lavorazione del ferro e della seta ed alla coltivazione della canna da zucchero e della vite. Il gruppo più consistente di ebrei era dislocato nel centro abitato di Casalvecchio, ove esiste ancora una via del centro storico nominata "Strada della Judeca" e in quello vicino di Savoca. Di tale comunità giudaica facevano parte anche persone economicamente agiate, ciò si evince dal fatto che, nel marzo 1492, quando venne emanato l'editto di espulsione da parte di re Ferdinando II d'Aragona, i notabili savocesi e casalvetini del tempo non si fecero scrupoli per accaparrarsi più ricchezze possibili tra quelle confiscate agli ebrei.

Nel centro storico di Savoca, (quartiere San Michele) accanto alla duecentesca Chiesa di San Michele, esistono ancora i ruderi di quella che fu la sinagoga. Anche nella toponomastica e nei cognomi locali sono rimaste evidenti tracce di questa consistente presenza ebraica.
Vari furono i tentativi compiuti dal Vecchio Casale per riacquistare la perduta autonomia e celebre restò quello del 1603 quando riuscì ad ottenere dal Viceré l'indipendenza dalla giurisdizione di Savoca. Ma breve fu la durata, a causa delle ingerenze di Messina, del cui distretto faceva parte Savoca: infatti nel 1606 la Curia Straticoziale di Messina decretò il ritorno di Casalvecchio nello stato di prima.

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Fu il 1795 l'anno in cui Casalvecchio riacquistò definitivamente e completamente l'autonomia civile ed ecclesiastica, per effetto di un Real Dispaccio del 6 luglio 1793 e grazie anche all'impegno di Fra Ludovico di Gesù Maria dell'ordine degli Agostiniani Scalzi. Come primo arciprete fu nominato l'Abate dr Onofrio Casablanca che rimase in carica dal 1796 al 21 dicembre 1812 data della sua morte. Di lui si conserva, nella sacrestia della chiesa madre, un ritratto ad olio su tela di cm 70x90 con una iscrizione in latino: Abate Onofrio Casablanca maestro di belle lettere e di filosofia, Professore di diritto canonico e Dottore in Sacra Teologia, Esaminatore Sinodale della Gran Corte Archimandritale della città di Messina, di questa città Casalvecchio, Arciprete e parroco.

In quel periodo il paese contava chiese n. 4 Preti n. 23 anime n. 1433 come si legge nell'Archivio Archimandritale di Messina. Evidentemente intraprendere la vita ecclesiastica era una tradizione fortemente radicata a Casalvecchio e infatti dal 1826 al 1958 sono stati ordinati 47 sacerdoti casalvetini come risulta dalle ricerche e dagli scritti compiuti dell'arc. Mario D'Amico. Nel 1817, dopo l'abolizione del feudalesimo in Sicilia, il comune di Casalvecchio venne inserito nel Circondario di Savoca, allora facente parte al Distretto di Castroreale.

Molti furono i caduti nelle varie guerre e fra di essi si distinguono il tenente Elia Crisafulli, medaglia d'oro (guerra 1915/18); il mar. Antonino Lo Schiavo, medaglia d'oro (guerra 1940/45); il sergente maggiore Paolo Casablanca, medaglia d'argento (guerra italo-turca 1911 e deceduto nella guerra del 1915/18).

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Il paese ha raggiunto una notevole espansione demografica fino agli anni trenta quando contava quasi 5000 abitanti ed era il comune più popoloso dell'intera vallata.
Nel 1929 perse nuovamente la tanto agognata autonomia e con un decreto di Benito Mussolini fu aggregato insieme a Savoca al comune di Santa Teresa di Riva, tanto da far scrivere in un suo libro ad Alberto Alberti, noto pedagogista casalvetino, "Nacqui in un paese che non c'era. Abolito per decreto di Mussolini...".

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Riacquistò definitivamente l'autonomia il 12 luglio 1939 con la legge n. 861 del 22 maggio 1939, perdendo tuttavia alcune frazioni rispetto al 1929: Misserio, Fautarì, parte di Contura e Mallina, che rimasero a Santa Teresa di Riva (le ultime due passarono poi a Savoca all'atto della ricostituzione di questo comune nel 1948). Il paese quindi andò incontro ad un progressivo ridimensionamento del numero di abitanti anche per un processo di emigrazione dovuto a mancanza di lavoro. Periodicamente torna a popolarsi nel periodo estivo per il ritorno degli emigrati.

La Chiesa Madre dedicata a S. Onofrio (sec. XVII) conserva un'acquasantiera marmorea del 1686, una tela di Gaspare Camarda (1622) e la statua di "S. Onofrio" in argento realizzata dallo scultore messinese Giuseppe Aricò.

Da visitare la chiesa di S.Teodoro (sec. XVI) che custodisce dipinti del pittore casalvetino Antonino Cannavò (sec. XVII); quella dell'Annunziata (sec. XVI) che conserva un dipinto di autore anonimo raffigurante l' "Annunziata" (sec. XVII), una scultura lignea con l' "Angelo Annunziante" (1742) di Francesco De Nardo e una tela con "S. Antonio Abate" (1760) di ignoto autore e la chiesa di San Cosimo (sec. XVIII).

Una visita a parte e particolarmente approfondita merita la chiesa dei SS. Pietro e Paolo d'Agrò, sulla sponda sinistra del torrente omonimo.

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Realizzata, in origine, dai monaci basiliani verso il 560, fu distrutta dagli Arabi e ricostruita nel 1172 dall'architetto Gerardo il Franco, come si legge nell'iscrizione in greco antico sull'architrave del portale d'ingresso. Abbandonata dai monaci nel 1794, si caratterizza per la particolare policromia ottenuta con l'uso di laterizio rosato, dell'arenaria gialla, del candido calcare e della nera pomice lavica.

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Festa di Sant'Onofrio

Tradizionalmente la festa di Sant'Onofrio, anziché il 12 giugno (suo giorno canonico, e in cui si svolge solo una semplice processione), si svolge nella seconda domenica di settembre e si protrae durante l'intera settimana con varie manifestazioni. Ogni sera si svolgono diverse sagre: della salsiccia, dei maccheroni, della porchetta, del pane condito, tutte innaffiate dal vino locale ed accompagnate da vari gruppi musicali. Una serata è dedicata alla commedia teatrale.

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Il sabato pomeriggio si svolge il tradizionale gioco delle pignatte e musticheddi: si tratta di una tipica "pentolaccia", infatti vari concorrenti bendati si alternano nel tentativo di colpire con un bastone delle pentolacce di terracotta ripiene di premi o acqua ed appesi in alto su una fune fra gli schiamazzi e il disturbo degli spettatori. La serata del sabato si conclude con un concerto sinfonico della banda comunale e con lo sciccareddu, un asinello stilizzato (fatto di canne, legno e carta e ricoperto da innumerevoli giochi pirotecnici) portato sulle spalle da una persona che ballando al suono della banda gira per la piazza spaventando e divertendo la folla.

La domenica, nel primissimo pomeriggio, accompagnato ed annunciato dal suono di un tamburo, gira per le strade del paese il caratteristico camiddu, un cammello di legno e stoffa con due persone sotto e un cammelliere che lo tiene a bada. Si tratta di un'antica tradizione che affonda le sue radici nella storia e nelle beghe politiche con la vicina Savoca: infatti un tempo rappresentava un vero e proprio sfottò nei confronti di Savoca, che vista da Casalvecchio ha proprio l'aspetto di un cammello. Propriamente il cammelliere (Casalvecchio) doma e controlla il riottoso cammello (Savoca). In serata si svolge la sontuosa processione della preziosa statua d'argento di Sant'Onofrio.

Forza D'Agrò

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Forza d'Agrò è un comune italiano di 885 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia.
Fa parte del comprensorio della Valle d'Agrò e all'Unione dei comuni delle Valli joniche dei Peloritani ed è situato su un cucuzzolo alla quota di 420 m s.l.m.

Il primo insediamento risale al X secolo, con il nome di Vicum Agrillae, mentre l'attuale denominazione risale al XIV secolo.
I monumenti più rilevanti sono la chiesa madre, dedicata alla Santissima Annunziata (secolo XVI), il convento Agostiniano, la chiesa della Santissima Trinità ed il castello normanno (XIV secolo), del quale rimangono soltanto dei ruderi.
Come un balcone sul mare Jonio, dal suo belvedere è possibile ammirare la costa da Messina a Siracusa, con Taormina e Castelmola, la baia di Giardini-Naxos e l'imponente mole del vulcano Etna.

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Nel 1971, il centro storico di Forza d'Agrò (assieme a quello della vicina Savoca) è stato scelto da Francis Ford Coppola per l'ambientazione di numerose scene presenti in tutti i film della saga della famiglia Corleone, a partire da Il padrino.

Numerosi ritrovamenti archeologici, effettuati negli anni scorsi, nei pressi del castello della Forza testimoniano che il sito era frequentato sia in età preistorica che in epoche successive come il periodo greco, ellenistico e romano. Il sito di Forza d'Agrò sorgeva infatti sulla linea di confine tra la sfera di giurisdizione della polis greca di Messana e quella di Naxos.
In epoca saracena e normanna, il villaggio era ubicato in contrada Casale, nella parte occidentale del monte Calvario. Distrutto da una frana, venne riedificato attorno al 1300 nel sito ove oggi noi lo ammiriamo. Dell'antico centro abitato rimangono i resti della chiesa di San Michele Arcangelo, probabilmente di epoca bizantina.

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Nel 1116, il villaggio era denominato Agrilla e Re Ruggero II il Normanno lo proclamò terra inalienabile donandolo all'Abate del monastero dei Santi Pietro e Paolo d'Agrò che vi esercitò per secoli il mero e misto imperio. L'amministrazione del villaggio era affidata ai Due Giurati che duravano in carica un anno e venivano sorteggiati estraendo i nomi da una lista di persone gradite all'Abate. Tra le cariche esistenti all'epoca si ricordino: il Iudice, che amministrava la giustizia nel villaggio, il Capitano Giustiziere che amministrava l'ordine pubblico, il Baglivo che aveva poteri di polizia campestre ed infine la commissione dei Deputati che aveva una miriade di poteri tra cui la manutenzione e la cura del castello. Gli abitanti di Forza d'Agrò erano obbligati a coltivare i campi dell'Abate e a donare ai monaci del convento, nei giorni di Natale e Pasqua due galline e una capra.

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Nel 1282, durante la Guerra del Vespro, Re Pietro III di Aragona ordinò ai forzesi di inviare trenta arcieri nella vicina Taormina agli ordini di Giovanni Chelamidi. Nel 1302, passa sotto la giurisdizione dello Strategoto Messinese ed è inclusa nella comarca di Taormina. Nel XV secolo, Forza d'Agrò conosce un periodo di grande espansione edilizia, vengono costruiti il Duomo della Santissima Annunziata e la Chiesa della Triade.

Scorcio del paese con la chiesa della Santissima Trinità
Nel 1433 Forza d'Agrò è citata in alcuni capitoli che la città di Messina presentava a Re Alfonso per la provvigione dei frumenti. Nel 1468 venne inglobata nella minuscola Diocesi Archimandritale di Savoca. Verso il 1595 il Castello Normanno venne restaurato ad opera dei deputati del paese. Nel 1540, nel paese di Forza d'Agrò ci sono 302 case e vivono 1.138 abitanti. Nei primi mesi del 1649 il paese venne danneggiato da un sisma che provocò tra l'altro il crollo della quattrocentesca chiesa Madre della Santissima Annunziata, la quale venne subito riedificata. È nel 1654 che il paese raggiunge il suo più alto picco demografico: contando 1.947 abitanti e 499 case. In occasione della Rivolta antispagnola di Messina del 1674-1678, Forza d'Agrò rimase fedele alla Spagna e per questo, nel 1676, venne occupata dai francesi che la privarono dei numerosi privilegi attribuiti dai normanni e la fecero passare sotto la dipendenza militare di Savoca. Domata la rivolta, nel 1678, gli spagnoli ripristinarono la situazione politica antecedente al 1676.

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Il terremoto del 1693 cagionò danni in tutto il villaggio e lesionò la chiesa Madre che era stata appena riedificata. Tra il '600 ed il '700 Forza d'Agrò conobbe un secondo periodo di sviluppo edilizio e demografico: vennero, in questo periodo, edificati alcuni palazzi signorili appartenenti alle famiglie più facoltose del paese. Sono tuttora visibili il Palazzo Mauro, il Palazzo Miano, il Palazzo Garufi.
Nel 1812, in Sicilia venne abolito il feudalesimo; nel 1817 il comune di Forza d'Agrò fu inserito nel Circondario di Savoca, facente parte al Distretto di Castroreale. Nel 1860, con l'Unità d'Italia, soppressi i distretti ed i circondari borbonici, la municipalità forzese fu inserita nel mandamento di Santa Teresa di Riva. Nel 1948 la frazione rivierasca di Sant'Alessio si staccò dal comune di Forza d'Agrò diventando comune autonomo col nome di Sant'Alessio Siculo.

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Nella seconda metà del XX secolo Forza d'Agrò ha scoperto le sue potenzialità turistiche; è stata scelta come set di svariati film di successo, sono stati edificati svariati alberghi e ristoranti ed è diventata una delle mete turistiche più rinomate in Sicilia, essendo dotata di alcuni punti panoramici di grande suggestione.

Giardini Naxos


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Giardini-Naxos è un comune italiano di 9.325 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia, nono comune più grande della città metropolitana, distante circa 40 chilometri a sud-ovest da Messina e circa 39 chilometri da Catania.

Anticamente chiamata Naxos, al vecchio nome del comune Giardini, su proposta della Pro Loco recepita dal consiglio comunale, con legge regionale n. 13 del 1978 si aggiunse "Naxos" per ricordare la sede dell'antica colonia greca, e quindi il nome divenne Giardini-Naxos; il 1º gennaio 1847 ottenne l'autonomia da Taormina.

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Il territorio è una striscia prevalentemente pianeggiante, di forma pressoché rettangolare. Situata sul mar Ionio nella Sicilia orientale.
Confina a nord e a ovest con il Comune di Taormina, a est con il mare Jonio a sud è separato dal fiume Alcantara con il Comune di Calatabiano in provincia di Catania.

Le coordinate geografiche del Comune sono: 37° 50' di latitudine Nord e 2° 49' 12'' di longitudine est del meridiano di Monte Mario (Roma).
L'altimetria del centro va dai 5 ai 39 m sul livello del mare, il punto più elevato del Comune raggiunge i 210 m nel quartiere Mastrissa.

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L'inverno è caratterizzato dalla mitezza; in questa stagione la temperatura media si aggira sui 12 °C. In dicembre le giornate sono spesso soleggiate e in gennaio-febbraio, che sono i mesi relativamente più freddi, la temperatura media non si discosta molto dai 10 gradi sopra lo zero. Eccezionalmente il termometro si avvicina a zero gradi Celsius. In questi mesi invernali si verificano prevalentemente le rare precipitazioni atmosferiche. La neve e il gelo sono fenomeni quasi sconosciuti.

La primavera, invece, si affretta a venire e provoca una precoce fioritura delle piante; la serenità del cielo è una costante di questa stagione, in cui il termometro si innalza di un paio di gradi, con una media generale di 18 °C.
A giugno si è in piena estate; in luglio-agosto si raggiunge il massimo della temperatura, con una media estiva intorno ai 28 °C, a settembre invece la temperatura diminuisce sensibilmente.
L'autunno rispetto alla primavera è più piovoso ma con la stessa temperatura media di 18 °C.

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Nell'attuale collocazione di Giardini-Naxos, presso Capo Schisò, nel 734 a.C. dei coloni calcidesi fondarono quello che è stato ritenuto per molto tempo il primo insediamento greco in Sicilia. Alla nuova colonia venne attribuito il nome di Naxos come l'omonima isola nel Mar Egeo. Nonostante rimase un centro di modeste dimensioni mantenne il suo valore simbolico, in quanto venne eretto un altare in onore di Apollo Archegetes, ed era il punto di partenza degli ambasciatori greci in ritorno alla madrepatria.

Durante la guerra del Peloponneso Naxos si schierò con Atene, ma quando nel 413 a.C. la spedizione militare ateniese in Sicilia fallì, il tiranno siracusano Dionigi il Vecchio la fece radere al suolo e fece costruire sull'altura sovrastante Tauromenion (Taormina). Il territorio venne donato ai Siculi e gli abitanti furono venduti come schiavi.

Il nome Naxos permase nel tempo anche in epoca romana e nell'Itinerario Antonino del III secolo d.C. viene citato come località per lo scambio di cavalli lungo la strada consolare in direzione Siracusa. Nel periodo bizantino sulle spoglie della colonia greca si andò a formare un piccolo centro abitato, questo diventò l'approdo strategico per la vicina Taormina. Il periodo di dominio arabo ha lasciato numerosi toponimi come quello del vicino fiume Alcantara o dello stesso Capo Schisò.

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Durante il XV secolo nelle campagne adiacenti al centro abitato si diffuse la coltivazione della canna da zucchero e il paese iniziò ad essere militarmente protetto grazie alla costruzione di un torrione quadrangolare sull'estremità di Capo Schisò, della Torre Vignazza e all'ampliamento di un vecchio castello medievale. Nel 1719 per il crescente numero di abitanti si formò la comunità parrocchiale intitolata a Maria Santissima della Raccomandata.
Giardini dal 1º gennaio 1847 ottenne l'autonomia da Taormina e nell'agosto del 1860 dalla sua baia partì Garibaldi con la sua truppa per dirigersi sulle coste calabresi.

Dall'800 in poi nel territorio si svilupparono, oltre che la pesca, attività legate all'agricoltura, soprattutto di agrumi, all'artigianato in ferro battuto e in ceramica.

Negli ultimi decenni queste attività sono quasi del tutto scomparse e si è cercato di riconvertire l'economia del paese guardando verso il turismo come principale fonte di sostentamento, costruendo strutture ricettive e sfruttando la vocazione turistica del litorale. Oggi Giardini-Naxos è, assieme alle contigue Taormina e Letojanni, una delle località balneari più popolari della Sicilia orientale.

Itala

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Itala è un comune italiano di 1.556 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia.
Fu soppresso nel 1928 e aggregato a Scaletta Zanclea, da cui riacquistò l'autonomia nel 1947.

Itala confina a Nord col comune di Messina, a Nord-Est con Scaletta Zanclea, a Nord-Ovest con Alì e Fiumedinisi, ad Est con il Mar Jonio e a Sud con Alì Terme. Dista 22 km dal centro di Messina, la sua altimetria arriva fino a 1253 m s.l.m. del monte Scuderi, e si estende per 10,68 km².

Il centro di Itala dista dalle rispettive frazioni: Marina 2,8 km; Croce 1,5 km; Borgo 100 m; Mannello e Quartarello 200 m. La Marina, che si estende per circa 1,8 km, è collegata con Itala Centro mediante la strada provinciale 29 ed è attraversata dalla strada statale 114 Orientale Sicula.

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Lo studio dell'origine del nome "Itala" è stato oggetto di ricerche soprattutto per via della somiglianza col nome "Italia". Secondo lo storico Giuseppe Costanzo Buonfiglio, il nome "Itala" deriverebbe dal suo mitico fondatore "Re Italo", figlio di Enotro.

L'archeologo e filologo danese Frederik Poulsen, invece, in uno studio sull'origine del nome "Italia" sosteneva che il nome "Italia" venne utilizzato per la prima volta presso il territorio di Messina e precisamente nel V secolo a.C., in una località dove viveva una popolazione degli "Enotri", e che avevano per emblema un toro chiamato "Vitulus".

Con l'arrivo dei Greci, dalla parola Vitulus fu eliminata la consonante V, e rimase soltanto la parola "Itulus" che diede il nome alla popolazione degli Enotri. Dagli Enotri, si sarebbero poi distinte le popolazione degli Itali, Morgeti e Siculi. Successivamente, secondo Poulsen, il nome "Italia" venne esteso a tutta la penisola.

Nella zona tra Messina e Taormina, rimase un luogo che conserva ancora tale nome, Itala appunto.

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La Chiesa Arabo Normanna dei Santi Pietro e Paolo per quanto non si conosca l’esatta data di inizio dei lavori, risulta per certo da un atto di donazione del 1093 a Gerasimo, primo abate della chiesa, che a tale data la costruzione non era stata ancora ultimata ma è facile supporre che lo fu nel corso dell’anno seguente.
Dopo due secoli di dominazione araba, riappare con la chiesa di San Pietro in Itala il tradizionale impianto basilicale a tre navate suddivise in quattro campate da arcate ogivali che si slanciano dalla base di capitelli a forma di campana scolpiti con disegno stilizzato di vegetali secondo uno stile caratteristico delle decorazioni fatimite.

Di evidente richiamo paleocristiano è invece la copertura della navata centrale a doppio spiovente con capriate lignee che diviene unico nelle navate laterali Analogamente, il presbiterio, che risulta rialzato rispetto al piano dell’aula, presenta tre absidi semicircolari visibili anche all’esterno. In corrispondenza della campata centrale si trova una struttura turrita, abbondantemente rimaneggiata e coronata da una cupola emisferica poggiata su tamburo a nicchie angolari cilindriche sui cui lati quattro finestrelle danno luce al presbiterio.
Esternamente l’edificio si caratterizza per la complessità del disegno determinato dall’intreccio di pietra calcarea e laterizio nonché per l’alternanza di archi trilobati ed a rincasso, alternativamente ciechi e luciferi.

La Chiesa e Convento di Santa Venera, risalente all'epoca seicentesca.
La Chiesa Madre consacrata alla Madonna del Piliero, la cui intitolazione deriva dalla dominazione spagnola e dal santuario di Saragozza dedicato a Nostra Signora del Pilar. All'interno conserva una croce dipinta del XIV sec. e un crocifisso ligneo del '700.

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La Chiesa della Madonna della Catena, che si trova presso la frazione di Borgo, risalente al sedicesimo secolo, che conserva una bella tavola del 1510 raffigurante La Madonna della Catena fra i SS. Pietro e Paolo. 

 

La Riviera Ionica - Alì

       La Riviera Ionica-Alì 

 

Da Capo Peloro a Giardini, dalla punta estrema della Sicilia al fiume Alcantara che costituisce il confine naturale tra la provincia di Messina e quella di Catania, si svolge un tratto di meravigliosa costa incastonata tra i monti Peloritani, i Nebrodi, Monte Scuderi e la Valle D’Agrò; qui s’ incontrano i centri di Scaletta, Itala, Alì, Nizza di Sicilia, Fiumedinisi, Roccalumera, Furci, Santa Teresa Riva, Sant’Alessio Siculo.

La Riviera Ionica

Subito dopo si svolge la Valle D’Agrò, con i centri abitati di Antillo, Limina, Forza D’Agrò, Casalvecchio Siculo, Savoca, Mongiuffi Melia, Roccafiorita, incorniciati in un paesaggio incantevole e suggestivo.

Il Castello di Capo Sant’Alessio segna il confine con il territorio di Taormina, con Letojanni, la splendida e suggestiva Isola Bella e l’incantevole baia di Giardini Naxos, limite di confine che, salendo verso i ridenti centri montani, conduce alle Gole dell’Alcantara, Francavilla Sicilia, Motta Camastra, Moio Alcantara, Malvagna, quasi tutti a ridosso delle falde dell’ Etna. Proseguendo nell’ascesa, si raggiungono Roccella Valdemone e Floresta.

Tutti questi centri (108 complessivamente nella provincia di Messina), si affacciano sulla splendida costa bagnata dal Mare Ionio, Comuni di notevole importanza per l’economia siciliana, e, principalmente, per tutta la comunità messinese. Collegati tra loro da autostrade e confortevoli strade interne, hanno quale centro di attrazione la celebre Taormina, polo turistico internazionale di notevole interesse artistico e culturale, divenuta famosa grazie ai suoi estrosi e famosi frequentatori.          

Elegante, con un salotto buono (il Corso Umberto I) dove sono presenti splendidi negozi con le maggiori griffe internazionali ed in cui, grazie anche ai tanti prestigiosi eventi culturali -  uno per tutti, “Taormina Arte” - Taormina è considerata una delle città più belle, più accoglienti e più affascinanti della Sicilia, questo suo nobile aspetto è dovuto essenzialmente al suo ricco patrimonio storico-monumentale ed alla caratteristica del paesaggio circostante: da una parte il mare con la sua attraente spiaggia, tipico aspetto della zona costiera siciliana, dall'altra le montagne e i rilievi collinari, che ne fanno, come è stata definita, la “Perla del Mediterraneo”.

Numerose sono le manifestazioni e gli eventi realizzati a Taormina. Scenario d’eccezione di concerti (musica classica e leggera), opere teatrali, opere liriche, grandi serate di spettacolo spesso riprese da emittenti radiotelevisive, è il suggestivo Teatro greco-romano. Dal 1983, gli eventi più significativi sono realizzati nell’ambito di “Taormina Arte”, il “Taormina Film Fest” e i “Nastri d'Argento”.

 

 Alì

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Arroccato sulle giogaie di una collina, fra Itala ed Alì Terme, Alì  è un paese aperto, un paese in cui il senso del chiuso presente nelle viuzze e nei vicoli della parte alta, muore nella parte bassa e precisamente nella piazza "Duomo", l'unica del centro abitato e nella rotabile asfaltata, che si apre con la qualifica di bivio, ad Alì Terme e che collega i due centri urbani dopo un ripidissimo percorso di sei chilometri, tra oliveti e terreni scoscesi, con strapiombi di oltre 100 metri.Sino ad una diecina di anni addietro, Alì Superiore era sede di varie fabbriche (casse e cassette per imballaggio, gesso, scagliola e ghiaccio), che davano lavoro a buona parte degli abitanti.

La Chiesa Madre dedicata a S. Agata, iniziata nel 1564 e ultimata nel 1582, costituisce un bell'esempio di architettura tardo–rinascimentale sul tipo di quelle realizzate in Sicilia dal Montorsoli, dal Calamech, da Iacopo del Duca e da Camillo Camiliani.

All'interno, nell'altare del SS. Sacramento, bellissimo tabernacolo in legno intagliato e dorato (1650); Coro ligneo intagliato con 25 stalli, opera degli scultori messinesi Santi Siracusa e Giuseppe Controscieri (fine secolo XVIII); dipinti raffiguranti il "Cuore di Gesù" (1828) di Letterio Subba, il Buon Pastore (sec.XIX) e la "Madonna col Bambino in gloria di angeli e Santi" (sec. XIX) di Letterio Subba, una "Madonna" (1852) di Michele Panebianco, una statua marmorea di San Sebastiano di Rinaldo Bonanno (sec. XVI).

Da visitare le chiese del SS. Rosario (1624) che custodisce il sepolcro marmoreo con busto di D. Pietro Fama (sec. XVII) e una tavola della "Madonna del Rosario" ricoperta da manta d'argento (sec. XVI); dello Spirito Santo edificata nel 1445 con rifacimenti nel secolo XVI; di Santa Maria degli Angeli e Convento dei Cappuccini (1574) e l’Oratorio delle Anime del Purgatorio (1717). Di particolare interesse il Palazzo Maggiore (fine secolo XVI inizi secolo XVII) e il Palazzo Fama (sec. XVI –XVII) con fontana interna, in stile manieristico michelangiolesco.

Le Gole dell'Alcantera

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Le Gole dell'Alcantara, dette anche Gole di Larderia, sono situate nella Valle dell'Alcantara in Sicilia dove termina la catena montuosa dei Peloritani tra i comuni di Castiglione di Sicilia e di Motta Camastra.

Sono delle gole alte fino a 25 metri e larghe nei punti più stretti 2 metri e nei punti più larghi 4-5 metri. Il canyon naturale, a differenza di quanto comunemente si pensa, non è stato scavato nel corso di migliaia di anni dall'acqua.
Il fiume Alcantara scorre tra pietra lavica che forma il suo alveo caratteristico. Sul territorio di Motta Camastra in località Fondaco Motta si trova la gola più imponente e famosa dell' Alcantara, lunga più di 6 km e percorribile in modo agevole per i primi 3.

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La particolarità di questa gola consiste nella struttura delle pareti, create da colate di lava basaltica (povera di silicio ma ricca di ferro, magnesio e calcio). La lava si è poi raffreddata molto velocemente creando forme prismatiche pentagonali ed esagonali, che richiamano la struttura molecolare dei materiali che la costituiscono.

L'aspetto del fiume nel tratto delle Gole è ritenuto risalente alle colate di magma degli ultimi 8.000 anni. Le tesi più recenti individuano tre successive colate da fenditure e bocche apertesi nell'area di Monte Dolce, nel versante medio-basso etneo; le colate si mostrano sovrapposte lungo la parete sinistra del fiume. La colata più antica è quella che ha raggiunto capo Schisò, sul mare. I basalti colonnari visibili nelle Gole sono quelli della colata meno antica e sarebbero il prodotto del raffreddamento rapido causato dalla presenza dell'acqua del fiume; essi formano strutture prismatiche di differenti configurazioni, a "catasta", ad "arpa", ad andamento radiale. Le formazioni verticali, a "canna d’organo" raggiungono in alcuni casi i 30 m.

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Da Messina percorrere la SS n.114 (che va fino a Catania), deviare presso Giardini Naxos verso la SS n.185, direzione Francavilla di Sicilia e dopo dodici chilometri si raggiungono le Gole dell'Alcàntara. Via Autostrada da Messina: imboccare l'Autostrada A18 in direzione Catania ed uscire a Giardini Naxos. Da Catania: imboccare l'Autostrada A18 in direzione Messina ed uscire a Giardini Naxos. Dall'uscita dell'autostrada proseguire per dodici chilometri in direzione di Francavilla di Sicilia. Altro tragitto provenendo dalla Bronte -Randazzo è recarsi a Castiglione di Sicilia e da qui proseguire per Naxos.